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Trump attacca l’Europa: “Leader deboli, Russia in vantaggio, immigrazione fuori controllo”

Nell’intervista a "Politico" il presidente USA descrive un’Europa “in declino”, invita Zelensky a indire elezioni nonostante la legge marziale e sostiene che Mosca sia in posizione di forza: cosa è verificabile e cosa è propaganda politica

Trump attacca l’Europa: “Leader deboli, Russia in vantaggio, immigrazione fuori controllo”

Trump attacca l’Europa: “Leader deboli, Russia in vantaggio, immigrazione fuori controllo”

Una sala illuminata da luci fredde, un registratore sul tavolo, domande che si susseguono senza pause. Il ritmo si spezza quando arriva la frase che riporta tutto alla durezza dell’attualità: «Penso che siano deboli». Il “sono” di Donald Trump è diretto ai leader europei, descritti come un establishment privo di direzione, condizionato dal “politically correct” e da un’“immigrazione fuori controllo” che, secondo lui, starebbe trascinando il continente verso il declino. Le dichiarazioni arrivano in un colloquio con Politico, ripreso e analizzato da Le Monde il 9 dicembre 2025, nel pieno di una settimana già segnata dalla pubblicazione a Washington della nuova Strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump, un documento che tratteggia l’Unione come un alleato problematico, quasi in errore di prospettiva.

Nell’intervista, il presidente USA insiste su alcuni concetti che costruiscono un quadro politico molto netto: l’Europa sarebbe “debole”, la Russia si troverebbe “in posizione di forza” nella guerra contro l’Ucraina, le politiche migratorie dell’Unione Europea sarebbero “disastrose”, l’invasione del 2022 “non sarebbe mai avvenuta” se lui fosse stato alla Casa Bianca, e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dovrebbe indire nuove elezioni e valutare con maggiore apertura proposte di pace che, secondo lui, Kiev non avrebbe nemmeno analizzato. Un insieme di messaggi che puntano a due risultati: spingere Kiev verso un compromesso negoziale e mettere pressione sull’UE affinché riveda le sue politiche interne e il suo posizionamento verso Mosca.

Il contesto americano spiega il tono e la sequenza delle uscite pubbliche. La nuova Strategia di sicurezza nazionale, presentata pochi giorni prima, propone una lettura dell’Europa come area esposta a una “cancellazione civile”, causata dalle migrazioni e da un eccesso di regolazione, e suggerisce un sostegno indiretto alle forze politiche considerate “patriottiche” e più vicine alla visione americana. Nel documento, l’idea di fondo è che gli Stati Uniti debbano “aiutare” l’Europa a correggere la rotta. Non stupisce che a Berlino e Bruxelles siano arrivate reazioni severe.

Friedrich Merz

Friedrich Merz

Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha rilanciato il tema dell’autonomia strategica europea, definendo “indesiderabili” ingerenze americane nelle dinamiche democratiche dell’Unione. Il presidente del Consiglio europeo António Costa ha ricordato che l’UE non accetta condizionamenti politici da Paesi alleati e pretende rispetto per le scelte dei cittadini europei, pur confermando la volontà di mantenere relazioni costruttive con Washington. Due posizioni diverse ma convergenti su un punto: la cooperazione non esclude la difesa delle prerogative europee.

Il passaggio sull’Ucraina merita un’analisi più puntuale. Trump sostiene che Mosca si trovi in vantaggio, che “la forza prevale” e che Kiev debba prendere atto della situazione. È un’affermazione politica, non un dato verificabile in termini assoluti. Dopo quasi quattro anni di guerra, la Russia non controlla completamente il Donbass e la linea del fronte è rimasta instabile. È vero che Mosca dispone di un apparato demografico e industriale più ampio, mentre l’Ucraina ha subito perdite e distruzioni enormi. Ma i rapporti di forza dipendono dalle fasi del conflitto, come mostrano analisi militari occidentali che descrivono un confronto lungo e incerto. In questo quadro, l’idea di una “posizione di forza” appare più funzionale alla linea negoziale americana che alla fotografia del campo.

L’altra formula ricorrente dell’ex presidente, «se fossi stato presidente, l’invasione non sarebbe mai avvenuta», rientra nelle narrazioni controfattuali che non possono essere provate. Il Cremlino l’ha valorizzata per legittimare retroattivamente l’aggressione, mentre Kiev l’ha respinta come manipolazione politica.

La parte più controversa riguarda l’invito a Zelensky a “indire elezioni”. La legislazione ucraina è molto chiara: la Costituzione e la legge sul Regime giuridico della legge marziale vietano lo svolgimento di elezioni nazionali durante la legge marziale. Dal 2022, questa condizione è stata prorogata più volte dal Parlamento ucraino, anche nel 2025. Non esiste nessun vuoto di potere, perché la Costituzione stabilisce che il presidente in carica resta in carica fino all’insediamento del successore. Nel febbraio 2025, la Verkhovna Rada ha riaffermato l’impossibilità di votare durante la guerra e la piena legittimità dell’attuale presidente. Le autorità elettorali hanno aggiunto motivazioni pratiche: milioni di sfollati, territori occupati, assenza di un meccanismo sicuro per il voto dall’estero, rischi enormi per seggi ed elettori. Lo stesso Zelensky ha indicato che le elezioni si terranno entro novanta giorni dalla fine della legge marziale, ma non prima.

Perché allora insistere? Perché proporre elezioni immediate significa esercitare pressione politica: mettere in discussione la legittimità di Kiev e spingere verso un negoziato accelerato. Trump afferma che l’Ucraina non avrebbe nemmeno letto l’ultima proposta di pace americana, un punto non verificabile ma coerente con la strategia di presentare Washington come l’unica forza realmente impegnata a fermare il conflitto.

L’immigrazione è il terzo pilastro dell’attacco pubblico all’Europa. Secondo Trump, sarebbe il motore del decadimento europeo. I numeri raccontano altro. Nel 2024, secondo Eurostat, i cittadini non UE rappresentavano il 6,4% della popolazione europea e le persone nate fuori dall’UE il 9,9%, percentuali nettamente inferiori rispetto agli Stati Uniti, dove nel 2025 la popolazione nata all’estero era stimata al 15,8%. Gli attraversamenti irregolari delle frontiere UE registrati da Frontex nel 2024 sono stati circa 239.000, con un calo del 25% rispetto al 2023 e una nuova riduzione nei primi mesi del 2025. L’Unione ha inoltre approvato il nuovo Patto migrazione e asilo, che rafforza procedure, controlli e rimpatri. Non si tratta di una situazione priva di problemi, ma la tesi del “disastro” non è supportata dai dati.

Questo non significa che l’immigrazione non ponga sfide rilevanti, dalla gestione dei richiedenti asilo ai tempi delle procedure. Significa però che un discorso politico che non distingue tra flussi regolari, irregolari e asilo rischia di costruire una narrativa funzionale, più che una descrizione accurata. Non è un caso che Trump evochi modelli come quello del premier ungherese Viktor Orbán, puntando su un’agenda identitaria che valorizza chiusura e sovranità nazionale.

Sullo sfondo di tutto restano i rapporti con la NATO. La Casa Bianca insiste sulla necessità che gli europei aumentino la spesa militare, evocando la minaccia di riconsiderare l’impegno statunitense se i partner non “pagano abbastanza”. La pressione è costante e si intreccia con la questione ucraina: nel settembre 2025, Trump aveva perfino suggerito che Kiev avrebbe potuto recuperare tutto il territorio occupato se sostenuta in modo adeguato da UE e Alleanza Atlantica. Poi è tornato a parlare di “vantaggio” russo e di necessità di un compromesso. Una dinamica che mostra come il linguaggio oscillante del presidente USA sia spesso una forma di pressione politica.

Alla fine dell’intervista resta una ricostruzione in cui l’Europa viene descritta come lenta, incerta, quasi immobile. Una rappresentazione che ignora il contributo europeo all’Ucraina, spesso superiore a quello americano, e che appare utile soprattutto a motivare un’accelerazione del negoziato. Le parole scelte – “deboli”, “declino”, “disastro” – non sono semplici giudizi: funzionano come strumenti politici. Inquadrano l’UE come un problema e alimentano l’idea che Washington debba condizionare più direttamente le scelte europee.

Il negoziato che si intravede è quindi su tre livelli. Il primo è la guerra in Ucraina, con la pressione affinché Kiev accetti una trattativa. Il secondo è l’immigrazione, usata come leva per accentuare le divisioni tra gli Stati membri. Il terzo è il rapporto transatlantico, che tende verso una dimensione più transazionale, con l’Europa invitata a seguire ritmi e priorità americane. In Europa cresce la convinzione che l’autonomia strategica sia una necessità per evitare di essere trascinati in equilibri decisi altrove. A Kiev, la priorità resta la difesa del Paese e della legalità costituzionale. In questo scenario, le parole del presidente americano contribuiscono a definire un clima negoziale che potrebbe incidere sulle scelte dei prossimi mesi. Sarà la politica, più che la retorica, a stabilire se le pressioni porteranno a compromessi o resteranno parte di un confronto duro tra alleati.


Fonti utilizzate: Politico, Le Monde, Eurostat, Frontex, Verkhovna Rada, Strategia di sicurezza nazionale USA 2025.

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