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La Juve affonda ma c’è ancora chi se la prende con gli allenatori

Gli azzurri dominano con mezzo organico fuori uso, mentre la Juventus continua a illudersi che il problema sia l’allenatore: ma il nodo è la qualità: povera, insufficiente, lontanissima dai tempi d’oro

La Juve affonda

La Juve affonda ma c’è ancora chi se la prende con gli allenatori

Il risultato dice una cosa semplice: Napoli superiore, Juventus inerme. Ma la partita di ieri va oltre il punteggio, perché mette a nudo — una volta per tutte — la differenza di “cilindrata” tra le due squadre. Due progetti opposti, due identità lontane anni luce. Da una parte l’armata plasmata da Antonio Conte, capace di dominare con sette titolari fuori; dall’altra la Juventus di Luciano Spalletti, costretta a inseguire con un centrocampo che non regge né ritmi né idee.

E non stiamo parlando di assenze qualunque. Al Napoli mancavano De Bruyne, Anguissa, e altri cinque giocatori di spessore: metà colonna vertebrale della squadra. Eppure, l’organizzazione ha retto come se niente fosse. Elmas, adattato nel ruolo di Lobotka, ha risposto con una prova intelligente e ordinata. McTominay, sempre più uomo-cerniera, ha giganteggiato fisicamente e tatticamente. Beukema, Rrahmani e Buongiorno hanno rimesso insieme una difesa che Conte ha rivitalizzato come fosse un laboratorio di ricostruzione.

Insomma, chiunque giocasse, il Napoli appariva compatto, feroce, fedele al suo allenatore. Conte ne ha fatti dei soldati: ognuno sa cosa fare, ognuno corre per quello vicino. E i risultati si vedono.

Dall’altra parte, la Juventus. Una Juventus che, nonostante Spalletti, continua a sembrare una copia sbiadita della squadra che dominò per nove anni. Mancano uomini, manca qualità, manca soprattutto la capacità di reggere l’onda d’urto quando l’avversario sale di livello. Ci si aggrappa alle fiammate dei singoli, come quella di Yildiz, brillante quanto incompreso, sostituito — certo — in un momento sbagliato, ma non al punto da cambiare il giudizio complessivo.

Il tema vero è che questa Juve non ha giocatori all’altezza dei suoi obiettivi dichiarati. Continuano le lamentele per le scelte dell’allenatore, ma arriva un momento in cui è necessario guardare in faccia la realtà: il problema non è la panchina, è il centrocampo, impoverito, lento, prevedibile. Giocatori che non riescono ad alzare il livello, a fare ordine, a dettare il ritmo. Mentre Napoli corre, Juventus annaspa.

Eppure, parte della tifoseria bianconera insiste a ragionare da nobile decaduta: si critica Spalletti, si critica ogni sostituzione, si invoca un cambio di gioco come se fosse possibile trasformare una Panda in una Ferrari solo cambiando l’autista. Ma non è così che funziona il calcio.

Il Napoli ha mostrato cosa significa essere squadra: produzione di gioco, intensità, identità, anche con l’infermeria piena. Ha mostrato cosa significa avere un progetto, uno spirito, un allenatore seguito dalla rosa come un comandante. Hanno sopperito alle assenze con mentalità. E questo fa tutta la differenza del mondo.

La Juventus, invece, resta prigioniera delle sue difficoltà strutturali: errori di mercato, anni di confusione societaria, giocatori non all’altezza della maglia. È più di un lustro che non è competitiva, e la partita di ieri è solo l’ennesima conferma.

La verità, ormai lapalissiana, è che il divario non l’ha creato la partita di ieri: la partita di ieri lo ha semplicemente mostrato in mondovisione.

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