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Unicef denuncia l’ipocrisia globale: milioni di bambini con disabilità esclusi mentre il mondo finge di celebrarli

Bambini con disabilità: dati drammatici su violenza, salute, scuola. Unicef: raggiunti 5 milioni in 140 Paesi

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Unicef denuncia l’ipocrisia globale: milioni di bambini con disabilità esclusi mentre il mondo finge di celebrarli

Quante occasioni può perdere un bambino quando il mondo attorno a lui non è progettato per accoglierlo? La domanda, che introduce la mobilitazione dell’Unicef in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, apre uno squarcio su una realtà che resta troppo spesso fuori dal quadro pubblico: milioni di minori in tutto il mondo vivono condizioni di svantaggio che incidono sulla loro salute, sulla loro istruzione e sulla possibilità di esercitare diritti che dovrebbero essere garantiti senza eccezioni. A ricordarlo è Nicola Graziano, presidente di Unicef Italia, che sottolinea come i bambini con disabilità risultino penalizzati in quasi tutti gli indicatori fondamentali di benessere.

Il quadro delineato dall’organizzazione è globale e non fa distinzioni nette tra Paesi ricchi e Paesi poveri. La disparità nasce nella primissima infanzia e si amplia negli anni, alimentando una spirale che restringe progressivamente gli orizzonti. Una spirale costruita da barriere fisiche, culturali e istituzionali che isolano il bambino e ne condizionano profondamente il percorso di vita. Dai dati emerge con chiarezza l’impatto della disabilità sul benessere generale: chi nasce o cresce con una condizione invalidante affronta ostacoli diffusi e spesso invisibili, che lo espongono a rischi maggiori in ogni fase dello sviluppo.

La prima emergenza riguarda la violenza. Secondo l’Unicef, i bambini con disabilità — in particolare le bambine e le adolescenti — hanno da tre a quattro volte più probabilità di subire abusi, maltrattamenti e negligenza rispetto ai loro coetanei. Il rischio aumenta nelle situazioni di emergenza, dove vengono a mancare i servizi essenziali e i supporti necessari. È un moltiplicatore di vulnerabilità che rende urgente il rafforzamento dei sistemi di protezione, chiamati a raggiungere per primi proprio chi è più fragile. Per queste ragioni, l’Unicef insiste sulla necessità di strutture capaci di intercettare i segnali precoci e intervenire con tempestività.

Sul fronte sanitario la frattura diventa ancora più evidente. I minori con disabilità presentano un rischio del 34% superiore di soffrire di ritardi della crescita, un 53% in più di sviluppare sintomi legati a infezioni respiratorie acute e un 25% in meno di ricevere cure adeguate e stimoli precoci. A pesare è anche l’accesso limitato agli ausili tecnologici, strumenti che possono cambiare radicalmente la qualità della vita ma che restano fuori portata per la maggioranza delle famiglie nei Paesi a basso e medio reddito. Qui solo tra il 3 e il 10% di chi avrebbe bisogno di dispositivi assistivi riesce realmente a ottenerli. Una percentuale che racconta tutta l’iniquità di un sistema globale che continua a distribuire opportunità in modo sproporzionato.

C’è poi la barriera meno visibile, quella dello stigma, che pesa come un marchio soprattutto nell’adolescenza. Tra i 15 e i 19 anni, i ragazzi con disabilità hanno il 51% di probabilità in più di sentirsi infelici e mostrano un rischio molto maggiore di subire discriminazioni. In questa stessa fascia d’età, il suicidio rappresenta la terza causa di morte, un dato che trasforma la tutela del benessere psicologico in un’urgenza prioritaria. Non basta. Gli adolescenti con disabilità hanno il 41% di probabilità in più di sentirsi esclusi e aspettative di vita inferiori del 20%. Anche le punizioni fisiche risultano più diffuse: i rischi di subire violenze corporali severe aumentano del 32%. È un contesto che impone strategie di prevenzione mirate e capaci di guardare oltre i confini sanitari, includendo la sfera emotiva e sociale.

Il divario educativo completa il quadro delle disuguaglianze. I bambini con disabilità hanno il 47% di probabilità in più di abbandonare la scuola, il 49% in più di non iniziarla mai e il 42% in meno di acquisire competenze di base in lettura, scrittura e matematica. Il gap cresce con l’aumentare dell’età e si fa particolarmente marcato tra chi presenta disabilità gravi. È un’emorragia di opportunità che spegne i talenti prima ancora che possano manifestarsi. Per questo la scuola è uno dei campi centrali dell’azione Unicef: inclusione significa non solo accesso fisico, ma anche didattica adattata, docenti formati e tecnologie assistive adeguate.

Nel 2024, l’organizzazione ha intensificato i suoi programmi raggiungendo circa 5 milioni di bambini con iniziative volte a favorire l’inclusione in oltre 140 Paesi. Si tratta di interventi che spaziano dal supporto educativo alla distribuzione di dispositivi assistivi, dal rafforzamento delle reti di protezione ai progetti pensati per abbattere le barriere all’accesso ai servizi. È un lavoro che non risolve da solo la complessità della questione, ma che traccia una direzione precisa: mettere i diritti dei minori al centro dell’agenda globale.

Ora la sfida è trasformare dati e analisi in cambiamento reale. La richiesta dell’Unicef è chiara: rafforzare i servizi sanitari di base, rendere accessibili gli ausili tecnologici, investire in scuole inclusive, costruire reti di protezione efficaci e agire con decisione sulla salute mentale per combattere stigma ed esclusione. Un percorso che non può essere delegato a una singola istituzione ma che chiama in causa governi, comunità, famiglie e sistemi educativi. La promessa di non lasciare indietro nessun bambino, avverte l’Unicef, non può restare uno slogan: deve diventare un impegno misurabile e verificabile.

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