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Pensioni minime, l’Italia si prende gioco dei suoi anziani: tre euro in più al mese e la chiamano rivalutazione

Mentre l’età pensionabile aumenta e le tutele spariscono, milioni di anziani vivono con assegni che non bastano neppure a fare la spesa

Pensioni minime

Pensioni minime, l’Italia si prende gioco dei suoi anziani: tre euro in più al mese e la chiamano rivalutazione (foto di repertorio)

In Italia la povertà non fa rumore. Soprattutto quando riguarda i pensionati, categoria che da anni subisce ritocchi al ribasso, promesse non mantenute e “aumenti” che sembrano più uno schiaffo che un aiuto reale. L’ultimo capitolo arriva con il decreto del ministero dell’Economia, pubblicato in Gazzetta ufficiale: rivalutazione fissata all’1,4%, che per le pensioni minime significa un aumento da… 3,13 euro al mese. Non uno zero in più: tre euro. Il prezzo di un caffè e un cornetto, quando va bene.

L’importo salirà così a 619,80 euro. Una cifra che dovrebbe bastare, nelle intenzioni del legislatore, a vivere. Sopravvivere, semmai. Perché anche quest’anno si ripete la liturgia del ritocco simbolico — 1,8 euro nel 2025, poco più di 3 nel 2026 — mentre l’inflazione reale continua a mordere su spesa, bollette, affitti, farmaci. Tutto aumenta, tranne quello che serve davvero ai più fragili.

E non c’è nessuna correzione nella manovra in discussione al Senato. Le minime restano così, con la sola maggiorazione dell’1,3% già introdotta un anno fa e confermata. Il governo lo chiama sostegno. I pensionati lo chiamano abbandono.

Diverso il discorso per gli assegni sociali maggiorati, le famose “pensioni al milione” volute da Silvio Berlusconi per over 70, persone con disabilità e redditi bassi. Qui la legge di bilancio prevede aumenti più consistenti: +8 euro nel 2025, +12 nel 2026. Ma le platee non sono paragonabili: 2,3 milioni prendono la minima, 1,2 milioni beneficiano dell’assegno sociale. Per la maggioranza assoluta dei pensionati, dunque, il piatto resta vuoto.

E mentre gli assegni minimi avanzano a passi invisibili, un’altra notizia passa quasi sotto silenzio: dal 1° gennaio 2027 tornerà l’adeguamento automatico dell’età pensionabile alla speranza di vita. L’asticella salirà di un mese nel 2027, due mesi nel 2028. Tre mesi in più in totale, proprio quella misura che il governo aveva promesso di sterilizzare. Una promessa che non esiste più.

Una deroga c’è, ma riguarda solo l’1% dei lavoratori: chi svolge attività gravose o usuranti. Tutti gli altri — disoccupati, caregiver, invalidi, precoci — restano completamente scoperti.

Come se non bastasse, la manovra mette la parola fine alla stagione della flessibilità in uscita: Quota 103 cancellata, Opzione Donna eliminata dopo anni di limature e restringimenti. Una chiusura netta, che costringerà migliaia di persone a restare al lavoro più a lungo, spesso in condizioni di salute non compatibili con l’età.

Così, mentre le grandi narrazioni sulla “crescita” e il “rilancio” monopolizzano il dibattito politico, l’Italia reale vive un’altra storia. Una storia fatta di anziani che devono scegliere se pagare il riscaldamento o comprare i farmaci, di pensionati che aiutano figli e nipoti con assegni che non bastano neanche a loro, di una generazione che ha costruito il Paese e che oggi si ritrova con aumenti da tre euro.

Sono numeri scritti nella legge, ma soprattutto nelle vite quotidiane di milioni di persone. E raccontano una verità semplice e scomoda: in Italia, chi è in pensione è sempre più solo.

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