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01 Dicembre 2025 - 19:56
Pediatra (foto d'archivio)
La Regione Piemonte festeggia, brinda, si auto-incensa. Nel Grattacielo Piemonte, questa mattina, è stato firmato l’Accordo Integrativo Regionale sulla Pediatria di Libera Scelta e subito è scattato il solito rito dell’autolode.
Il presidente Alberto Cirio e l’assessore alla Sanità Federico Riboldi parlano di “salute universale”, “rafforzamento dell’assistenza territoriale”, “passo decisivo”, come se ogni loro atto amministrativo fosse un nuovo miracolo. Non sfiora mai loro l’idea che un accordo, per quanto decorato di buone intenzioni, non possa generare professionisti dal nulla. Perché questo è il vero buco nero della sanità piemontese: la Regione continua a raccontare un mondo ideale in cui i pediatri esistono, sono distribuiti capillarmente e sono pronti a trasformare la rete territoriale. Ma nella realtà, quella che vivono le famiglie, i pediatri non ci sono proprio. Non è una sfumatura. È il punto centrale.
I dati più recenti, elaborati da Fondazione Gimbe, sono un macigno: in Piemonte mancano 108 pediatri di libera scelta rispetto al fabbisogno. E anche quelli che ci sono lavorano in condizioni che dovrebbero far vergognare qualsiasi amministratore regionale: più di 1.100 bambini a testa, record nazionale. Un pediatra dovrebbe seguire circa 600–850 piccoli assistiti; in Piemonte ne segue quasi il doppio. E mentre la Regione parla di “presa in carico continuativa”, il cittadino che vive a Settimo, Moncalieri, Rivarolo o nelle valli non riesce nemmeno a trovarne uno. In molte zone della provincia di Torino ormai è normale doversi rivolgere a un pediatra di un comune diverso, oppure restare in lista d’attesa per settimane. Nei comuni montani la situazione è drammatica: bandi deserti, incarichi che nessuno vuole, ambulatori chiusi perché non c’è nessuno da mettere dietro una scrivania.
Eppure il comunicato regionale, in un esercizio di ottimismo creativo, celebra la nascita o il rafforzamento delle AFT, le Aggregazioni Funzionali Territoriali. Una sigla elegante, moderna, accattivante. Ma resta una sigla. Perché un’aggregazione funziona se hai i professionisti da aggregare. Altrimenti è come inaugurare un aeroporto senza piloti: puoi farci le conferenze stampa, ma gli aerei non decolleranno mai. La Regione insiste nel parlare di coordinamento, di “rafforzamento delle cure primarie”, di “modelli organizzativi avanzati”. Avanzati rispetto a cosa, se la base – il numero dei medici – è carente? È come vantarsi della qualità della cucina mentre il frigorifero è vuoto.
Il comunicato racconta con compiacimento anche l’impegno economico: la Regione ha aggiunto 5 milioni di euro al fondo della pediatria. E allora? Cosa cambia quando il problema non è il fondo, ma la mancanza di pediatri? Che cosa se ne fa una valle del Canavese di un’indennità maggiorata, se da mesi nessun pediatra accetta l’incarico? La verità, che la Regione non ha il coraggio di ammettere, è che la programmazione del fabbisogno è stata fallimentare per anni. Non sono state previste borse sufficienti. Non è stata pianificata la sostituzione dei pediatri in pensione. Non sono stati resi attrattivi i territori difficili. Non è stata costruita una rete territoriale solida. Ora i nodi vengono al pettine, e il pettine si spezza.
La Corte dei Conti, in una delle sue analisi più severe, ha già denunciato che in Piemonte mancano non solo i pediatri, ma anche i posti letto pediatrici negli ospedali e le strutture territoriali adeguate. È una doppia carenza: la mancanza del medico sul territorio obbliga molti genitori a rivolgersi ai pronto soccorso pediatrici, che a loro volta scoppiano. Un circolo vizioso che produce bambini in attesa per ore, reparti al collasso e personale esausto. E mentre questo accade ogni giorno, Cirio e Riboldi parlano di “rafforzamento della prevenzione” e “governo clinico” come se fosse sufficiente inserire parole importanti in un documento per cambiare la realtà.
Il comunicato regionale non accenna nemmeno per sbaglio al dato più inquietante: secondo le stime nazionali, entro il 2028 andranno in pensione 2.600 pediatri di famiglia. Significa che il Piemonte, già oggi in affanno, rischia di perdere ulteriori pezzi senza alcuna garanzia che vengano rimpiazzati. Gli specializzandi in pediatria ci sono, ma sempre più spesso scelgono l’ospedale o il privato, non la medicina territoriale. Le aree periferiche continuano a non essere attrattive. E anche se aumentassero domani le borse, l’effetto lo vedremmo tra anni. Anni in cui le famiglie piemontesi continueranno a vivere nella precarietà sanitaria.
Nel frattempo, la realtà quotidiana è questa: genitori che non trovano un pediatra libero, pediatri che visitano a ritmi insostenibili, bambini che finiscono in pronto soccorso per problemi da ambulatorio, territori scoperti, comuni che chiedono alla Regione interventi immediati e non ricevono risposte. E più si allarga la forbice tra le dichiarazioni istituzionali e la vita reale dei cittadini, più emerge la verità: la Regione parla di una sanità che non esiste. Dipinge un Piemonte in cui tutto funziona, mentre il Piemonte vero è costretto ad arrangiarsi.

Il paradosso è che l’Accordo Integrativo Regionale sarebbe anche uno strumento utile, se arrivasse in un contesto dove i pediatri ci sono e hanno bisogno di essere coordinati. Ma in un contesto di carenza cronica, rischia di essere un manuale di istruzioni senza prodotto. La Regione continua a costruire strutture teoriche – AFT, Case della Comunità, modelli organizzativi – ignorando che senza personale tutto questo non serve. Le Case della Comunità, in particolare, sono l’emblema di questo scollamento: inaugurate, fotografate, pubblicizzate, ma spesso incomplete, sottodimensionate, prive dei medici necessari.
Insomma, mentre Cirio e Riboldi celebrano con toni trionfali il loro “passo decisivo”, fuori dal palazzo resta un Piemonte in cui i genitori devono fare telefonate infinite per trovare un pediatra, in cui i territori fragili restano scoperti, in cui la medicina territoriale è ancora un miraggio. L’accordo firmato è un documento curato, pieno di parole altisonanti e buoni propositi, ma non risolve il fallimento di anni di cattiva programmazione. Non porta nuovi pediatri sul territorio. Non alleggerisce i carichi di lavoro. Non garantisce un’assistenza più accessibile. È, alla fine, un vestito elegante messo su un corpo malato.
E finché la Regione continuerà a confondere la comunicazione con la realtà, le firme con i risultati, le sigle con i servizi, i bambini piemontesi resteranno senza ciò che serve davvero: un pediatra che li segua. Tutto il resto è propaganda.
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