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C'era una volta la sanità pubblica, oggi c'è solo quella del bancomat. Evviva i Pm

Milioni scomparsi, conti ritoccati e intramoenia in rosso: l'inchiesta che scuote la sanità piemontese e lascia i pazienti in attesa

C'era una volta la sanità pubblica, oggi c'è solo quella del bancomat. Evviva i Pm

L'assessore regionale Federico Riboldi

È curioso come in Piemonte certe cifre, quando diventano troppo grandi per essere comprese, prendano improvvisamente il vizietto di scomparire. Si volatilizzano, si sciolgono, evaporano. Prendi i sette milioni che la Città della Salute avrebbe dovuto utilizzare per ridurre le liste d’attesa: un giorno ci sono, il giorno dopo qualcuno decide che forse non si possono incassare e zac, spariscono dal bilancio 2024, cancellati con un tratto di penna dal direttore generale Livio Tranchida. Una mossa salutata a novembre con toni trionfali, quasi eroici, dallo stato maggiore della Regione. Oggi quegli stessi toni suonano come un vecchio ritornello stonato.

A dire che qualcosa non torna non sono giornali, opposizione o “soliti noti”: sono i medici della Cgil, gente che in quegli ospedali ci lavora davvero. In una lettera all’azienda ospedaliera non si limitano a chiedere dove siano finiti quei soldi: chiedono, con una calma che nasconde una furia comprensibile, perché mai si sia deciso di rinunciare a quel credito senza combattere, senza provare, senza pretendere chiarezza. Una domanda che pesa come piombo, soprattutto da quando la Guardia di Finanza è entrata in corso Bramante per portarsi via bilanci, delibere, regolamenti, appunti, e tutto ciò che può aiutare la Procura della Repubblica a capire se quella cancellazione aveva basi solide o se era solo un modo elegante per liberarsi di una grana.

Il problema, però, è che il buco da sette milioni è solo una briciola sul pavimento rispetto alla montagna di anomalie che da anni accompagna l’intramoenia piemontese. Anomalie che oggi mostrano una trama degna di un manuale di contabilità creativa. Nel 2016 l’allora direttore generale Gian Paolo Zanetta firma una delibera che apre il fondo di perequazione — quello destinato ai medici impossibilitati a fare attività privata — anche a figure che con la medicina c’entrano meno del citofono all’ingresso: relazioni con il pubblico, economato, affari legali, recupero crediti, personale amministrativo vario. Tutti, tranne chi per legge avrebbe dovuto beneficiarne. I medici scoprono la cosa solo ora. E non la prendono bene.

Quando, pochi giorni fa, Tranchida sospende finalmente l’erogazione di quegli extra, la toppa non basta più: il danno non è solo economico, ma di fiducia. E su questo scenario già imbarazzante si innesta un’altra domanda della Cgil: come è possibile che con meno ricavi rispetto al 2023, nel 2024 il fondo perequativo incida comunque come il Fondo Balduzzi, mentre l’anno precedente valeva la metà? Qualcuno potrebbe rispondere ironicamente che in Piemonte la matematica è un’opinione. Ma no, qui la matematica non è un’opinione: è un sospetto.

E mentre tutto questo accade, c’è chi continua a ripetere che il bilancio 2024 è stato un “risultato straordinario ottenuto in sei settimane”. A dirlo - manco a dirlo - è stato l’assessore Federico Riboldi, circondato dai soliti sostenitori pronti a battere le mani. Ora, con la Procura che indaga, la Finanza che acquisisce atti e la direzione regionale di Antonino Sottile che deve ancora esprimersi, quell’entusiasmo appare più come un fuoco d’artificio sparato in pieno giorno: tanto rumore, poca sostanza.

Poi c’è la parte più surreale, quella che rasenta il grottesco. Per anni gli ex dirigenti della Città della Salute, oggi imputati, hanno scritto nei questionari dell’intramoenia che non c’erano spazi sufficienti per svolgere l’attività privata dentro gli ospedali. E lo facevano senza mai verificare, senza mai controllare, senza mai chiedere agli uffici un semplice censimento. Bastava dire “non c’è posto” e tutto scivolava verso il privato: comodo, rapido, funzionale.

I pm Giulia Rizzo e Moreno Amendola, coordinati dal procuratore Giovanni Bombardieri, lo hanno scritto chiaramente: nessuna ricognizione è mai stata effettuata. E infatti, quando nell’agosto scorso il commissario Thomas Schael ha chiesto una verifica vera, era venuto fuori che posti ce n’erano a decine. Alle Molinette: 135 sale visite al piano terra. Al Regina Margherita: 41 sale visita e ambulatori di urologia. Al Sant’Anna: ambulatori di colposcopia, isteroscopia, diagnostica prenatale, andrologia.

Il risultato è una fotografia del sistema che definire “disordinato” è cortese: attività spostate verso privati senza ragione, numeri scritti senza riscontri, controlli che funzionano un anno sì e cinque no. E non è finita: nel lungo dossier che ha portato all’apertura del filone principale dell’inchiesta ci sono cifre che oscillano tra i 7,3 milioni contestati in sede penale, i 10 milioni individuati dalle analisi più recenti e perfino le stime tecniche che raggiungono i 120 milioni. Una forbice che fa tremare i polsi e che racconta anni di bilanci abbelliti, aggiustati, ritoccati. Una specie di Photoshop contabile.

Livio Tranchida

Dentro questo quadro si inserisce la saga del Fondo Balduzzi: sette milioni mai riscossi in dieci anni, forse perché la trattenuta del 5% prevista dalla legge potrebbe non essere mai stata formalmente recepita da una delibera interna. Un dettaglio che sfiora il comico, se non fosse tragico: milioni di euro che potrebbero essere svaniti per un atto amministrativo mancante. Un foglio. Una firma. Una pagina in un faldone.

Non stupisce allora che l’intramoenia, invece di portare entrate, nel 2024 sia andata in rosso di oltre 400 mila euro. E che la direzione si ritrovi ora a dover ritoccare tariffe, convocare tavoli, minacciare la sospensione dell’intera attività se non si trova un accordo con i sindacati. In altre parole: una macchina che avrebbe dovuto finanziare la sanità pubblica oggi rischia di spegnersi perché costa più di quanto incassa.

E non basta ancora. La Procura ha infatti anche aperto un fascicolo “modello 45”, senza indagati, senza accuse formali, ma con un chiaro obiettivo: capire se tutto ciò sia il frutto di errori, di inerzie, o di qualcosa di più. Sul tavolo c’è anche la relazione redatta da Davide Di Russo per conto dell’assessorato regionale alla Sanità: secondo lui, gli 1,73 milioni di credito Balduzzi non sarebbero né esigibili né dovuti. Ed è proprio su questa interpretazione che Tranchida ha ripulito il bilancio, cancellando tutto.

Il documento ha già superato il vaglio del collegio sindacale, mancha la firma di Antonino Sottile, poi finirà in giunta da Alberto Cirio e infine andrà al Ministero dell’Economia. E lì, la frase “sette milioni eliminati” potrebbe pesare come un macigno.

La politica, intanto, si muove. La pentastellata Sarah Disabato ha presentato un’interrogazione all’assessore Riboldi ricordando che le risposte ricevute finora sono state “zero chiarezza, zero trasparenza”. 

Sullo sfondo c’è il processo principale, quello che coinvolge sedici ex dirigenti accusati di falso in bilancio e truffa aggravata. Una lista di nomi da convegno di management sanitario: Giovanni La Valle, Gian Paolo Zanetta, Silvio Falco, Beatrice Borghese, Nunzio Vistato, Valter Alpe, Rosa Alessandra Brusco, Davide Benedetto, Maria Albertazzi. E poi il collegio sindacale al completo: Alessia Vaccaro, Renato Stradella, Paolo Biancone, Andreana Bossola, Giacomo Buchi, Andrea Remonato, Giuseppe Antonio Giuliano Stillitano. Tutti a processo dal 5 febbraio 2026.

La sensazione è di una sanità pubblica che da anni naviga senza bussola, con il timone bloccato e il mare in tempesta. Una sanità che dovrebbe curare, rassicurare, guidare, e che invece si ritrova a inseguire carte, milioni spariti, fondi smarriti, finanza, procure, commissioni regionali e un’ombra di opacità che sembra allungarsi di settimana in settimana.

E tutto questo mentre i cittadini aspettano. Aspettano visite, esami, interventi. Aspettano risposte che non arrivano mai. Entrano negli ospedali alle due del pomeriggio e non trovano un medico che sia uno: corridoi deserti, telefoni che squillano a vuoto, sportelli chiusi come in una domenica d’agosto. Tutti in altre faccende affaccendati, oppure impegnati a illustrare con impeccabile cortesia il tariffario dell’intramoenia: “Carta di credito, prego. Fa 200 euro con ricevuta, 150 senza... ". È questa la fotografia più crudele: una sanità che dovrebbe essere pubblica ma è costruita con la porta della libera professione spalancata e quella dei diritti chiusa a chiave.

C'era una volta la sanità pubblica, oggi c'è solo quella del bancomat. Evviva i Pm

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