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Case della Salute, il grande trucco della Regione: nessuna chiusura… ma intanto le “superano”

Mentre l’ASL TO3 comunica ai sindaci il superamento del modello, l’assessore Riboldi rassicura che “non cambia nulla”. Cittadini nel panico, opposizioni sul piede di guerra e una Giunta Cirio che continua a giocare con le parole sulla pelle dei territori

Case della Salute, il grande trucco della Regione: nessuna chiusura… ma intanto le “superano”

Riboldi, Disabato, Canalis

La Regione continua a ripetere che va tutto bene. Che nessuno si agiti. Che tutto rimarrà com’è. E ogni volta che lo fa, puntualmente, qualcosa si sgretola. Questa volta tocca alle Case della Salute di Pianezza, Beinasco, Cumiana e Vigone, storici presidi territoriali dell’Asl TO3, nate vent’anni fa e diventate un fiore all’occhiello della sanità di prossimità piemontese. Quelle stesse strutture che, nella comunicazione inviata ieri dal direttore generale Giovanni La Valle ai sindaci e alla Giunta regionale, vengono dichiarate “superate” con un tratto di penna. Un colpo di spugna che mette fine a un’esperienza considerata virtuosa da operatori, utenti e amministratori locali.

E mentre l’ASL comunica la fine di un modello, l’assessore regionale alla sanità Federico Riboldi va in scena come se nulla fosse: “Nessuna chiusura, nessun taglio, solo un passaggio di inquadramento giuridico”. Una rassicurazione che suona come una litania già sentita troppe volte, quasi un riflesso automatico della Giunta Cirio: quando arriva un taglio, lo si chiama riorganizzazione; quando si cancella un servizio, lo si racconta come “potenziamento”; quando si abbattono presidi territoriali, basta dire AFT e passa la paura.

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Peccato che questa volta sia un po’ più difficile convincere i territori. Perché l’ASL TO3, nero su bianco, parla di superamento del modello Case della Salute. E quando un modello viene superato, o lo si sostituisce con qualcosa di migliore o semplicemente lo si elimina. Qui, a giudicare dai fatti, si sta andando dritti verso la seconda ipotesi. Altro che rassicurazioni.

A smontare la propaganda di Palazzo Lascaris ci pensa Sarah Disabato, presidente del Movimento 5 Stelle Piemonte, secondo cui la comunicazione dell’ASL ha gettato “sconforto nei cittadini”. E come darle torto? Le Case della Salute non sono sportelli burocratici, ma presidi in cui i medici possono concentrarsi sull’attività clinica, delegando a segreterie e infermieri il resto. Strutture che hanno funzionato così bene da essere considerate un modello da esportare, non da demolire. E invece, nella solita logica della sanità “in salsa Fratelli d’Italia”, come l’ha definita più duramente il PD, si smantella ciò che funziona per inseguire riforme astratte e slogan salvifici.

Non è un caso che Disabato chieda a Riboldi conto dei 450 mila euro di possibile rifinanziamento citati dall’ASL: un contentino? Una promessa vaga? Un modo per mettere una toppa su un buco già aperto? Finché non sarà chiarito, resta l’impressione di una scelta pasticciata che rischia di trasformare un punto di forza della sanità piemontese in un ennesimo buco nero.

Ancora più dura è la posizione di Monica Canalis, consigliera regionale del PD, che parla senza mezzi termini di colpo di spugna su un modello che ha garantito efficienza clinica e presa in carico dei pazienti quando ancora di “territorio” nessuno parlava. Canalis ricorda come, a giugno, si fosse festeggiato il rinnovo delle convenzioni in vista della trasformazione in Case della Comunità: Vigone destinata a diventare hub, Cumiana, Pianezza e Borgaretto strutture spoke. Un percorso di evoluzione, non di demolizione. E invece, ieri, la retromarcia: tutto cancellato, tutto da rifare.

Secondo Canalis, la spending review di Riboldi sta colpendo nel segno sbagliato. Invece di verificare spesa farmaceutica e appalti per pannoloni e dispositivi sanitari, si colpisce la sanità territoriale. Prima i presidi torinesi di via del Ridotto e via le Chiuse, ora le quattro Case della Salute dell’Asl TO3. Una sequenza che non sembra casuale e che apre interrogativi sulla strategia sanitaria della Giunta: tagliare dove i servizi sono più vicini ai cittadini, spostare verso modelli centralizzati, scommettere tutto su sigle nuove che rischiano di restare solo sulla carta.

Intanto, nei territori, la rabbia cresce. I sindaci non hanno gradito l’annuncio improvviso, gli operatori chiedono certezze sul futuro contrattuale, i cittadini temono che il passaggio alle AFT sia l’ennesima operazione di maquillage politico, buona per le conferenze stampa ma pessima per chi ha bisogno di un medico vero, in carne e ossa, sotto casa.

La verità è semplice: un modello che ha fatto da apripista in Piemonte cessa di esistere. E, con esso, rischia di scomparire l’idea stessa di sanità di prossimità che tanto si è sbandierata in questi anni. La Giunta Cirio può ripetere all’infinito che “non chiude nulla”, ma quando un servizio viene superato senza una reale alternativa, quando vent’anni di buone pratiche vengono archiviati con una comunicazione di poche righe, quando le comunità locali vengono tenute all’oscuro fino all’ultimo, non è questione di inquadramenti giuridici. È una scelta politica.

E ancora una volta, a farne le spese, non saranno le sigle, non saranno gli assessorati, non saranno i comunicati stampa. Ma i cittadini. Insomma, la solita storia. In Piemonte, purtroppo, la riforma della sanità continua a tradursi in una sola parola: meno.

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