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Macron inventa il “volontariato obbligatorio”. La Francia si prepara… volente o nolente

A Varces il presidente presenta il nuovo servizio militare da dieci mesi: non è leva, non è SNU, non è niente di ciò che dice di non essere. Ma servirà a convincere 50.000 giovani? O solo a dare un’altra divisa al suo ego presidenziale?

Macron inventa il “volontariato obbligatorio”. La Francia si prepara… volente o nolente

Macron inventa il “volontariato obbligatorio”. La Francia si prepara… volente o nolente

Una bruma sottile avvolge le caserme della 27ª Brigata di fanteria da montagna a Varces, vicino a Grenoble, quasi a voler suggerire che anche il cielo attenda il prossimo annuncio del presidente Emmanuel Macron, previsto a mezzogiorno di giovedì 27 novembre 2025. Tra i corridoi gelidi e le sagome immobili degli alpini francesi si prepara la scenografia perfetta per la nuova creatura presidenziale: un servizio militare volontario della durata di dieci mesi che nelle intenzioni dovrebbe ricucire il legame, ormai sfrangiato, tra cittadini e difesa. Per una Francia che parla sempre più spesso di “minacce crescenti”, il piano prevede una “salita in potenza” fino a 50.000 volontari l’anno. Non è il ritorno alla coscrizione abolita nel 1997, né l’ennesimo restyling del moribondo Servizio nazionale universale, ma l’ennesimo tentativo di Macron di scrivere un patto esercito-Nazione senza farlo sembrare la nostalgia di un passato che nessuno rimpiange davvero.

Secondo l’Eliseo, il discorso di Varces metterà sul tavolo un “nuovo quadro per servire nelle nostre forze armate”, un contenitore pensato per offrire ai giovani un ruolo tangibile dentro la macchina della difesa nazionale. Dieci mesi di servizio, una partenza prudente – tra 2.000 e 3.000 volontari il primo anno – e un’espansione programmata fino ai 50.000 previsti. A corredo, una remunerazione di qualche centinaio di euro al mese, presentata con la sobrietà di chi finge che non si tratti di un tozzo di pane per un impegno tutt’altro che simbolico. Il presidente ha già chiarito che non si tratta “in alcun modo” di mandare giovani francesi in Ucraina, ma di rafforzare la resilienza interna. Insomma, una riforma difensiva più che offensiva, anche se Macron, con il suo stile da comandante in capo in versione teatrale, fatica sempre a nascondere la voglia di apparire come il custode delle virtù morali della République.

Macron

L’operazione nasce dall’agonia lenta dello SNU, progetto-bandiera del 2019, che non è mai decollato davvero: mancavano fondi, piattaforme, consenso. Nel 2024 il governo, strozzato dalla disciplina di bilancio, ha rinunciato alla generalizzazione prevista per il 2026; poi, nel gennaio 2025, il Senato ha reciso senza complimenti buona parte dei finanziamenti. Una fine non dichiarata, ma evidente. Così Parigi ora ricomincia da zero con un servizio militare volontario che vuole essere operativamente più utile, capace di creare riservisti, non slogan.

Il nuovo arruolamento sarà su base volontaria, con requisiti modellati per funzioni diverse. I volontari potranno essere inseriti in missioni di sostegno alle unità in servizio attivo, protezione del territorio, competenze specializzate come cyberdifesa, logistica, sanitario, C2. La remunerazione e i benefici accessori – alloggio, vitto, titoli formativi – saranno definiti nei decreti attuativi, ma già si parla di un pacchetto economico simile ad altri schemi di volontariato armato. Lo Stato promette certificazioni professionali per valorizzare le competenze acquisite, e punta a rinnovare i patti con i datori di lavoro, un settore in cui esistono già oltre 1.100-1.300 convenzioni con imprese e pubblica amministrazione. Il messaggio è semplice: servire il Paese potrebbe perfino tornare utile alla propria carriera. Un’idea che Macron ama ripetere con quella sua aria convinta, al confine tra la lezione morale e la réclame istituzionale.

Il progetto si inserisce nella strategia di crescita delle riserve: Parigi punta a 80.000 riservisti entro il 2030 e 105.000 entro il 2035, in coerenza con la Legge di programmazione militare 2024–2030 e con la Revue nationale stratégique 2025, che parla di difesa globale, militare e civile insieme. Nel 2024 se ne contano circa 44.000 nel perimetro del Ministère des Armées e altri 40.000 sotto il Ministère de l’Intérieur. Il generale Pierre Schill, Capo di stato maggiore dell’esercito, ripete da tempo che serve “acquisire la massa”, perché un conflitto prolungato non si regge solo con forze professionali. Il servizio volontario dovrebbe essere la risposta, ma resta da capire se l’entusiasmo immaginato dall’Eliseo troverà riscontro tra i giovani francesi, meno inclini del passato a farsi sedurre da uniformi e retorica.

In attesa della nuova architettura, la Journée Défense et Citoyenneté (JDC) è già stata ridisegnata dal settembre 2025 con contenuti più “immersivi”: cerimonie, simulazioni, moduli VR, tiro sportivo, un “passeport défense”. È il primo tentativo di orientare i ragazzi verso la riserva e il servizio, mantenendo un contatto digitale dopo la giornata obbligatoria. Un assaggio dell’universo che Macron sogna: una Francia continuamente mobilitabile, in cui la partecipazione diventa virtù civica.

La RNS 2025, presentata il 14 luglio, aggiorna lo scenario strategico: più attori coinvolti – istituzioni, imprese, enti locali, terzo settore – e una difesa nazionale intesa come risposta agli shock ibridi. È qui che il servizio militare volontario va collocato: come un bacino di personale addestrato, richiamabile in tempi brevi, un’appendice flessibile alle forze professionali. La politica reagisce con prudenza: la destra apprezza, il centro annuisce, una parte della sinistra concede un’apertura vigilata, lamentando però il rischio che il servizio si rivolga soprattutto ai giovani più vulnerabili. Sullo sfondo resta la polemica per le parole del generale Fabien Mandon, che ha parlato della necessità di recuperare la “forza d’animo”, suscitando accuse di catastrofismo. L’Eliseo prova a smorzare: niente allarmismi, nessuna obbligatorietà, solo volontari motivati.

L’integrazione con la Garde nationale è un altro tassello. La Guardia coordina le riserve senza essere un comando autonomo, mentre le forze armate e la gendarmeria mantengono la responsabilità di impiego e formazione. Le convenzioni con le aziende, già attive in colossi come Carrefour, BPCE e Thales, verranno sfruttate per attrarre profili qualificati, soprattutto nel digitale. È uno dei punti più delicati: rendere il servizio compatibile con studio e lavoro, convincendo il settore privato che un riservista non è un peso, ma un valore aggiunto.

Restano molte incognite. I costi, innanzitutto: lo SNU è stato criticato dalla Cour des comptes per i potenziali oneri miliardari di una generalizzazione. Il servizio volontario dovrebbe essere più sostenibile, ma richiederà comunque infrastrutture, istruttori, equipaggiamenti. Senza una selezione equa, il rischio è quello di un servizio “di ripiego”, attirando soprattutto chi cerca un reddito minimo garantito. E senza una pianificazione interforze seria, la qualità dell’addestramento potrebbe rivelarsi insufficiente, disperdendo i volontari in compiti marginali.

Il quadro europeo mostra che la Francia non è sola: la Germania sta ripensando un servizio volontario ispirato al modello svedese, la Polonia discute espansioni ambiziose, il Belgio rivede la riserva, mentre i Paesi nordici mantengono forme di coscrizione adattate. Una trasformazione continentale che il Haut-commissariat à la stratégie et au plan ha fotografato in una nota di maggio 2025: l’Europa si muove verso soluzioni ibride e più flessibili.

La direzione politica del presidente è limpida. Niente leva obbligatoria, volontariato come canale primario, riserve più robuste e integrate, una riforma che si inserisce nella logica della difesa globale codificata nella RNS 2025. Ora comincia il lavoro sporco: definire i profili, costruire i percorsi di addestramento, precisare tutele e benefici, coordinare Esercito, Marina, Aeronautica, Gendarmerie e Police, spiegare ai giovani perché dovrebbero dedicare dieci mesi della loro vita al Paese. Uno sforzo di comunicazione che, conoscendo Macron, sarà tempestato di appelli alla responsabilità civica e alla fierezza nazionale, il tutto pronunciato con quella sua inconfondibile solennità un po’ teatrale.

Lo SNU è naufragato tra ambizioni esagerate e costi insostenibili. Il servizio militare volontario vuole evitare quegli errori: meno ideologia, più utilità operativa. La Francia non torna alla leva, ma sogna un ponte stabile tra società e Forze Armate. Varces potrebbe diventare il simbolo di un azzardo prudente: scommettere sui giovani, sulle imprese e sulla Garde nationale. A patto, però, che le promesse diventino strutture concrete, non l’ennesima riforma elegante sulla carta e fragile nella realtà.

Il vero nodo sarà capire quanto questo progetto riuscirà a sedurre i giovani francesi, sempre più diffidenti verso le grandi narrazioni collettive. E soprattutto, quanto la Francia sarà davvero disposta a investire per trasformare una visione presidenziale in una forza di riserva credibile. Tra gli stendardi e i picchetti in alta uniforme del cortile di Varces, la frase-guida che chiuderà il discorso – “La Francia deve restare una nazione forte, con un esercito forte e una reazione collettiva pronta all’uso” – suonerà come un proclama solenne. Ma la storia recente insegna che la distanza tra un annuncio e la sua realizzazione può essere ampia quanto la nebbia che, quel giorno, avvolgerà il palco di Macron, rendendo la sua promessa solida solo quanto la fiducia che riuscirà a conquistare.

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