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Ombre su Torino
22 Novembre 2025 - 08:00
21 novembre 1967 ore 21,30.
Una Mercedes e una Fiat 124 arrivano quasi contemporaneamente al parcheggio di via Nizza della stazione di Torino Porta Nuova.
A bordo della prima c’è un importante avvocato e docente universitario, nell’altra un “prima elementare” che si spaccia per geometra, tipografo part-time. Sono lì perché, nel tempo libero, il professore amministra un condominio in via Cavour 85, ad Alpignano, dove abita anche l’uomo con cui ha appuntamento che lo aiuta coi contratti e la riscossione degli affitti degli inquilini.
Nonostante tutte le pigioni siano state correttamente pagate dagli locatari, pare che, l’ultimo mese, la padrona dell’immobile si sia trovata con un ammanco di circa 80mila lire. Il tipografo ha riferito di averle mandate tramite raccomandata al professore ma, non essendo mai arrivate, questi gli ha chiesto di portargli, quella sera, la ricevuta brevi manu.
Alla richiesta del documento “l’esattore” riferisce di averlo lasciato a casa. I due decidono allora di lasciare in loco la Mercedes e di andare ad Alpignano insieme sulla 124.
Ore 2,30.
In via Cavour 85, ad Alpignano, la moglie di Osvaldo Quero ha appena risposto alla terza chiamata che, quella notte, è arrivata da parte della signora Leoni. La donna, preoccupata, le ha detto che i loro rispettivi mariti si sarebbero dovuti incontrare qualche ora prima ma che il suo, il professor Bruno Leoni, non era ancora rientrato.
Se nelle prime due telefonate si era sentita dire che neanche la sua interlocutrice aveva notizie del consorte, stavolta le viene passato il signor Quero, appena arrivato a casa. Il tipografo le conferma di aver incontrato il coniuge ma riferisce di averlo portato indietro alla sua macchina circa un’ora prima.
Finita la conversazione, Quero si spoglia dei vestiti che ha indosso. Alle rimostranze della sposa, che nota delle grosse macchie rossastre sugli indumenti, l’uomo le dice di aver soccorso un automobilista dopo un incidente. I due vanno a letto: lui si addormenta in pochi minuti, lei non chiude occhio tutta la notte.
22 novembre 1967, ore 10.
Col marito ancora assente, Anna Leoni trova nella buca una lettera anonima in cui “i sardi”(così la firma) richiedono 10 milioni per il rilascio di Bruno.
Saputo del suo ultimo appuntamento, i carabinieri, avvertiti immediatamente, vengono mandati in quel palazzo di Alpignano. Qui, in cortile, c’è una grossa macchia ematica che, seguendo una “scia” lunga quasi 30 metri, arriva davanti a un garage chiuso a chiave. Forzata la serratura, lo spettacolo è raccapricciante: il professor Leoni, 54 anni, giace in un lago di sangue, con cranio sfondato, il volto sfigurato e una fune stretta intorno al corpo.
Essendo il box di proprietà della famiglia Quero, gli inquirenti vanno a colpo sicuro. Nell’appartamento Osvaldo non c’è e, davanti ai vestiti insanguinati nascosti sotto una poltrona, la moglie non può far altro che raccontare quello che ha saputo quella mattina.
Riferisce che il tipografo si è alzato verso le 7, ha abbracciato i figli, ha fatto colazione e poi le ha confessato dell’omicidio. Le ha parlato di un litigio finito male, di una disgrazia e poi lo ha visto andare verso Torino con la macchina.
Ricercato in tutta Italia (e anche in Svizzera e in Costa D’Avorio dove vivono due suoi fratelli) Quero rimane latitante dieci giorni. In questo lasso di tempo invia molte lettere, tra cui due a La Stampa in cui, più che definirsi innocente, sembra interessato a difendere la sua reputazione di “contabile”.
Invia missive contenenti denaro al fine di ripagare tutti i suoi debiti (sia per la questione del condominio che per beghe familiari) e si verrà a scoprire che il mattino che sparisce era andato all’Enel a saldare delle vecchie bollette arretrate.
Il 2 dicembre, a Roma, dopo aver acquistato e spedito i regali di Natale ai figli, si chiude in macchina e tenta di uccidersi ingerendo un mix di Coca Cola e candeggina. Salvato per miracolo, viene portato a Torino dove svela la sua verità.
Quella sera, alla richiesta di vedere l’inesistente ricevuta del pagamento, i toni si sarebbero alzati e Quero avrebbe colpito Leoni con un pugno. Nelle parole del tipografo il professore sarebbe immediatamente stramazzato al suolo e lui, nel panico, lo avrebbe trascinato nel garage per capire come gestire la situazione.
Il giorno dopo sarebbe andato a imbucare la lettera a casa del morto per sviare le indagini da sè e poi sarebbe tornato per spostare il cadavere (che per questo motivo era stato legato) ma, avendo trovato i carabinieri in zona, sarebbe fuggito.
Sottolineata la presenza di circa 30 colpi inferti al capo e al volto della vittima l’accusa, a processo, chiede l’ergastolo con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà. Osvaldo Quero viene condannato definitivamente a 24 anni, nel 1970. Morirà nel 1997.
A Bruno Leoni, al momento della morte docente di Filosofia del diritto all’università di Pavia, preside della facoltà di Scienze Politiche della stessa facoltà, avvocato ed esponente di punta del liberalismo italiano (anche se il grosso della fama la acquisirà postuma) verranno dedicati libri e odi da diversi esponenti della sua corrente filosofica. Friedrich von Hayek (uno dei massimi esponenti del liberismo e premio Nobel per l’economia) partecipò al suo funerale e l’Istituto Bruno Leoni, fondato nel 2003, ancora oggi è un importante think-tank economico.
Possibile che un uomo così sia morto per 80mila lire?
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