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Iran e Russia, il patto dei laser proibiti: la missione segreta che avvicina Teheran alla bomba

Passaporti diplomatici falsi, scienziati “fantasma” e tecnologie dual use: così un gruppo scelto ha bussato alla porta dei segreti nucleari russi

Iran e Russia, il patto dei laser proibiti: la missione segreta che avvicina Teheran alla bomba

Iran e Russia, il patto dei laser proibiti: la missione segreta che avvicina Teheran alla bomba

Una pila di passaporti diplomatici con numeri in sequenza, emessi a poche settimane dalla partenza. Una manciata di fisici e ingegneri iraniani che non risultano nei registri della società che li presenta, ma nelle file di università e centri legati alla difesa. Una destinazione precisa — San Pietroburgo — e incontri con una società russa autorizzata a trattare “segreti di Stato”. È l’istantanea di una missione riservata che si è svolta tra il 7 e l’11 novembre 2024, rivelata da un’inchiesta del Financial Times e ripresa da diverse testate internazionali: un viaggio che, secondo documenti e corrispondenze d’archivio, incrocia la rete della Sazman-e Pazhouheshhaye Novin-e Defa’i (SPND) e laboratori russi ad alta intensità tecnologica.

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Al centro c’è la società DamavandTec, presentata come consulente scientifica con sede a Teheran e indicata da fonti occidentali come “front company” collegata allo SPND. I documenti visionati dal Financial Times indicano che DamavandTec ha organizzato la visita di un gruppo di specialisti laser in Russia, curando i dettagli logistici, compresi passaporti diplomatici creati ad hoc e numerati in sequenza. Tra i partecipanti figuravano accademici e tecnici provenienti da atenei e centri legati alla difesa iraniana — l’Università Shahid Beheshti, l’Università Islamica Azad – campus di Kashan e la Malek Ashtar University of Technology, quest’ultima soggetta da anni a sanzioni europee e statunitensi. L’interlocutore russo principale è la società Leningrad Laser Systems (nota anche come Laser Systems), con sede a San Pietroburgo, autorizzata dal Federal Security Service (FSB) a trattare informazioni classificate e licenze per lo sviluppo di equipaggiamenti d’arma, e inserita nei regimi sanzionatori occidentali.

La cornice non è neutra. Secondo l’inchiesta, il filo che unisce i protagonisti porta allo SPND, struttura del ministero della Difesa iraniano a lungo accusata da Washington di essere l’erede dell’interrotto programma “Amad”. Il suo storico fondatore, lo scienziato Mohsen Fakhrizadeh, fu ucciso nel 2020; ma la rete di ricercatori, laboratori e “società di comodo” attorno all’organizzazione non è mai scomparsa. I documenti mostrano che già all’inizio del 2024 allo scienziato iraniano Ali Kalvand fu fatto recapitare un incarico dal ministero della Difesa per usare DamavandTeccome veicolo per una delegazione sensibile a Mosca.

Cosa cercavano in concreto gli iraniani? Le fonti parlano di tecnologie laser ad applicazione “dual use”: strumenti che possono avere impieghi civili (diagnostica industriale, misurazioni di precisione) ma anche ruoli nei processi di validazione di progetti di arma nucleare senza test esplosivi. È la tesi — prudente ma circostanziata — di esperti di non proliferazione, secondo cui la domanda iraniana spaziava da sistemi laser e generatori di neutroni a componenti per diagnostica ad alta energia, fino alla possibile acquisizione di trizio, isotopo che può aumentare la resa di una testata nucleare. Queste tecnologie, di per sé non provano l’esistenza di un programma “di arma”, ma in un contesto di arricchimento avanzato assumono un peso sostanziale.

Sul versante nucleare, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ha più volte segnalato l’anomalo ammontare delle scorte iraniane di uranio arricchito al 60%: valori che secondo rapporti recenti oscillano tra i 275 kg e oltre 440 kg, con un trend in crescita nella prima metà del 2025. Dopo gli attacchi di giugno 2025 contro siti sensibili in Iran, l’agenzia ha denunciato la perdita di “continuità di conoscenza” su parte delle attività, aggravando i timori di diversione. Parallelamente, i partner europei E3 hanno attivato nell’agosto 2025 la procedura di snap-back delle sanzioni ONU, citando la “significant non-performance” di Teheran. In questo quadro, un canale tecnico con istituti russi su tecnologie dual-use aggiunge un tassello ulteriore.

La cooperazione Mosca-Teheran sulle tecnologie militari e spaziali è cresciuta negli ultimi anni: dalle note forniture di droni Shahed da parte dell’Iran alla Russia fino a scambi meno visibili, come l’invio di esperti russi di missilistica a Teheran nel 2024, documentato da inchieste internazionali. Non stupisce quindi che il dossier laser e la delegazione di ricercatori possano inserirsi in una trama più ampia di interdipendenza strategica, dove sanzioni e isolamento spingono le due capitali a condividere asset tecnologici altrimenti difficili da ottenere.

Lo SPND — acronimo persiano di Sazman-e Pazhouheshhaye Novin-e Defa’i — è stato formalmente riconosciuto dal Parlamento iraniano nel 2024 e posto sotto il dicastero della Difesa, con bilancio esentato dal controllo parlamentare. Viene spesso descritto come la costellazione che ricorre ogni volta che emerge un tentativo di procurement sensibile o una trasferta sospetta. In questa vicenda, la società DamavandTec si colloca come “cuscinetto legale e logistico”: azienda con facciata accademica, ma in realtà intermediario per viaggi, presentazioni e richieste di componenti regolamentati. Il vertice indicato è Ali Kalvand, colpito da sanzioni statunitensi nel 2025 per aver “tentato di procurare all’estero elementi applicabili allo sviluppo di dispositivi nucleari esplosivi”.

Dall’altra parte del tavolo, la società russa Leningrad Laser Systems presenta un profilo ibrido: ufficialmente realizza prodotti per la navigazione aerea e la meteorologia, ma dispone di licenze per sviluppare e testare equipaggiamenti d’arma. Il fatto che il suo ex direttore tecnico, Andrey Savin, nel febbraio 2025 abbia viaggiato a Teheran per incontrare rappresentanti di DamavandTec e figure vicine allo SPND rafforza l’idea di una relazione strutturata, non episodica.

La capacità di validare aspetti chiave di un design nucleare senza ricorrere a test esplosivi è il santo graal per chi vuole avvicinarsi alla soglia senza infrangerla apertamente. Le tecniche laser possono servire a caratterizzare materiali, simulare condizioni estreme, misurare fenomeni transitori in componenti critici. Se integrate con generatori di neutroni, radiografie ad alta energia e sistemi di vuoto spinto, offrono tasselli utili alla modellizzazione e alla messa a punto di un dispositivo. Nessuno di questi elementi, preso singolarmente, costituisce prova di un programma offensivo; ma messi insieme, nel tempo, delineano una capacità. È qui che la missione del novembre 2024 assume un peso che va oltre i suoi quattro giorni di calendario.

L’AIEA continua a sottolineare che l’arricchimento al 60% da parte di un paese non-nuclear weapon state è un unicum nel regime delle salvaguardie e che questa misura, pur non traducendosi automaticamente in arma, riduce significativamente i tempi necessari per arrivarvi. Gli ultimi report indicano che, al 13 giugno 2025, lo stock totale iraniano era vicino a “50 volte” il limite previsto dal JCPOA, con oltre 440 kg al 60%.

Teheran ripete ufficialmente che il suo programma è interamente pacifico, in linea con un divieto religioso ribadito dalla guida suprema Ali Khamenei; Mosca sostiene di opporsi a un Iran dotato di ordigno. Eppure, i documenti ricostruiti dal Financial Times — lettere di invito, copie di passaporti, liste di partecipanti, registri societari — indicano un’interazione fra istituti militari russi e la galassia SPND più ampia e metodica di quanto ammesso. Anche i movimenti di figure come Andrey Savin e i contatti con campus e laboratori “militarizzati” iraniani suggeriscono una continuità operativa. Sono elementi che non bastano da soli a un capo d’imputazione internazionale, ma che giustificano la stretta sanzionatoria decisa dagli Stati Uniti nell’autunno del 2025 su DamavandTec e sul suo management.

Questa vicenda è l’archetipo di come, nel 2025, le catene globali della conoscenza possano diventare linee di rifornimento per i programmi più sensibili: coperture accademiche che legittimano gli incontri, società di facciata che schermano il coinvolgimento diretto dello Stato, passaporti diplomatici che riducono l’attrito al confine, partner con licenze d’arma che offrono accesso a tecnologia dual-use. In questo schema, la missione di novembre 2024 non è un episodio isolato ma un indicatore: denota un ricorso attivo a metodi di acquisizione di conoscenze critiche.

Se il programma nucleare iraniano si è mosso negli ultimi anni lungo la linea sottile che separa capacità e decisione politica, la missione assume un valore simbolico: un Iran con oltre 400 kg al 60% non è automaticamente un Iran dotato di arma, ma è un Iran che può ridurre in modo drastico la tempistica di una eventuale corsa finale. E un ecosistema russo disposto a interagire su tecnologie dual-use sposta la soglia della deterrenza internazionale. In mezzo resta l’urgenza di una verifica credibile e di regole capaci di impedire che il secolo dei laser diventi il secolo dei test invisibili.

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