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Scarafaggi nel cappuccino: la Cina lo serve davvero, l’Europa si prepara a vomitare

A Pechino una caffetteria museale ha lanciato il “cockroach cappuccino”, espresso con polvere di scarafaggio e vermi tostati. È diventato virale, poi sospeso dalle autorità. Tra disgusti culturali, dubbi sanitari e sostenibilità, la bevanda divide il mondo e apre un nuovo fronte nel dibattito sul cibo del futuro

Scarafaggi nel cappuccino: la Cina lo serve davvero, l’Europa si prepara a vomitare

Scarafaggi nel cappuccino: la Cina lo serve davvero, l’Europa si prepara a vomitare

Una mano si abbassa sul banco. Il macinino vibra, non per aggiungere cacao o cannella, ma un velo sottilissimo di polvere ambrata: polvere di scarafaggio. È l’ultima audace (o bizzarra) tendenza che arriva da Pechino, una tazzina apparentemente comune, che cela un mix inedito: caffè espresso, polvere di scarafaggi, granella di vermi della farina tostati, un tocco di alghe. Prezzo dichiarato tra 38 e 45 yuan (circa 5-6 dollari). Per alcuni provatori è «non così disgustoso» come avevano immaginato; per altri resta un confine che il palato non vuole oltrepassare. La bevanda è diventata virale e non solo in Cina.

Siamo nella caffetteria di un museo privato a tema insetti, noto nei media locali come il “Pantheon della Biodiversità” — ufficialmente Wanwu Museum — a Pechino. Il direttore, Dayuwan, in un’intervista ha spiegato che l’idea è nata «a fine giugno 2025» e ha preso ritmo solo in novembre, grazie a un’esplosione online: «Siamo un museo di insetti, ci sembrava naturale che anche il bar riflettesse il tema». Le testate che hanno rilanciato la notizia — dalla South China Morning Post ai Straits Times — riferiscono che le vendite rimangono modeste (qualche decina di tazze al giorno) ma l’eco sui social è enorme.

Secondo le ricostruzioni, la ricetta include: chicchi di caffè selezionati, scarafaggi macinati, vermi gialli della farina essiccati, varianti stagionali con succo digestivo di piante carnivore o “caffè alle formiche”. L’accessorio “alghe” aggiunge una nota di sapidità non convenzionale. Gli ingredienti, comunica il museo, vengono acquistati presso erboristerie tradizionali cinesi per garantirne la conformità. Il pubblico prevalente: giovani curiosi. Le famiglie con bambini sembrano più restie.

E il gusto? Le recensioni raccolte parlano di un caffè “con note tostate e leggermente acide”, la croccantezza della granella di vermi spicca nella crema o sul bordo della tazzina. Un vlogger cinese ha sintetizzato: «Non è così disgustoso come pensavo». Ma il muro mentale è già alzato: per molti, l’idea stessa di ingerire “scarafaggi” fa scattare un rifiuto prima ancora dell’assaggio.

Cosa c’è davvero nella tazzina? Gli “scarafaggi” in questione non sono i parassiti domestici che evocano repulsione automatica, bensì specie alleviate per usi medicinali o alimentari. In Cina, la specie Periplaneta americana trova impiego da anni in ambiti della medicina tradizionale (ad esempio come estratto cicatrizzante). Il museo afferma di utilizzare “polvere medicinale” acquistata da canali regolamentati. I vermi della farina — larve di Tenebrio molitor — sono tra gli insetti edibili più studiati: nell’Unione Europea la European Food Safety Authority (EFSA) li ha valutati come “novel food” in forma essiccata, in polvere o congelati, con il caveat della sensibilizzazione allergica.

Sicurezza e allergie: l’EFSA ha indicato che il consumo dei vermi della farina può indurre sensibilizzazione primaria e scatenare reazioni allergiche in soggetti già allergici a crostacei o acari della polvere. Si valuta anche la presenza di eventuali contaminanti trasferiti dall’alimentazione degli insetti e la sovrastima del contenuto proteico per via della chitina. Tradotto: se la provenienza e la trasformazione sono controllate, questi ingredienti non sono per forza un azzardo, ma non diventano automaticamente adatti a tutti. Nel caso di questa tazzina pechinese, la struttura assicura che gli ingredienti provengono da realtà autorizzate e che la preparazione “rispetta standard di sicurezza vigenti”. Tuttavia, non risulta — al momento — una specifica autorizzazione da ente internazionale per “polvere di scarafaggio” ad uso alimentare in Occidente: l’uso è in un contesto nazionale cinese e all’interno di uno spazio museale tematico.

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Perché puntare sugli insetti? Perché dietro il gesto estremo c’è un messaggio ambientale: da oltre un decennio le agenzie internazionali e i centri di ricerca studiano gli insetti come fonte proteica a impatto ambientale molto inferiore rispetto alla zootecnia convenzionale. Il rapporto della Food and Agriculture Organization (FAO) del 2013 resta un riferimento: minor emissioni, uso efficiente di acqua e suolo, possibilità di inserire gli insetti in circuiti circolari che valorizzano sottoprodotti agricoli. In Europa il quadro regolamentare si è mosso soprattutto verso specie selezionate (grillo domestico, tenebrio, larva mosca soldato nera) mentre l’opinione pubblica rimane divisa. In alcuni Paesi UE prodotti a base di insetti sono già in commercio, con etichettature che avvertono sui potenziali allergeni.

Ma va detto: l’operazione del museo è dichiaratamente “tematica”. Usare il bar come estensione della collezione per “sfidare stereotipi” sugli insetti, come spiega Dayuwan: «Al mondo esistono oltre 5.000 specie di scarafaggi; la maggioranza non è infestante, ma decompositrice in natura e ha usi medicinali e cosmetici». È una narrazione coerente con l’intento divulgativo, ma funziona anche come una leva di marketing: l’inedito, il “borderline”, l’instagrammabile. Inutile negarlo: il video della mano che spolvera “roach powder” sul cappuccino è un algoritmo magnetico. Il prezzo accessibile (38-45 yuan) rafforza l’accessibilità: non è un “gadget da VIP”, ma un esperimento gustativo che chiunque può permettersi, almeno per curiosità, soprattutto fra i giovani.

La viralità non è solo effetto casuale: è amplificata da questo mix di shock, estetica, social media e comunicazione manipolata. Il museo gestisce vendite contenute (una decina di tazze al giorno) ma ottenere l’attenzione online è l’obiettivo. Allo stesso tempo, fonti riportano che il prodotto — su sollecitazione delle autorità — è stato temporaneamente sospeso dalle vendite, in considerazione del potenziale «cattivo riflesso sociale». La notizia è circolata anche sui media cinesi che riportano: una volta diventata virale, il prodotto è stato tolto dal menu. Tutto ciò aggiunge una componente di “rischio regolatorio” e di anticipazione normativa che nel contesto europeo assume ancor più rilevanza.

E l’Italia? La tazzina pechinese è interessante per almeno tre motivi. Primo: mostra quanto sottile sia il confine tra innovazione alimentare e accettabilità culturale. La storia dell’alimentazione insegna che molte “novità” – dal sushi al pesce crudo – hanno incontrato resistenze prima di diventare mainstream. Ma gli insetti portano un ostacolo più forte: la repulsione è frequentemente appresa e radicata. La chiave, nel proporli, è lavorare su trasparenza, sicurezza, gips gusti codificati (croccantezza, note tostate) e associazioni positive (sostenibilità, circolarità). I musei cinesi lo fanno con ironia e effetto sorpresa; i marchi europei lavorano più prudentemente, usando farine d’insetti o snack “invisibili”.

Secondo: è un segnale del quadro regolatorio. In Europa l’autorizzazione riguarda speci­fice specie e formati definiti; la quotidianità resta lontana da tazzine “scarafaggio cappuccino” servite in bar aperti. Chi in Italia volesse replicare il modello dovrebbe incrociare norme sui “novel food”, su etichettatura allergeni, su tracciabilità degli insetti e sul marketing al consumatore. Terzo: la discussione pubblica. La tazzina con “roach powder” è già materia per titoli “shock”, ma dietro la provocazione si apre un dibattito concreto: le fonti proteiche alternative in un pianeta chiamato a ridurre impatti ambientali. Il rapporto FAO ci ricorda che la questione non è una moda vacua: gli insetti possono contribuire a diete diversificate e a sistemi alimentari più resilienti, se ben regolati e accettati.

Quali domande sollevano gli scettici? È sicuro? Dipende da specie, processo e controlli. Gli “scarafaggi” non sono sporchi per definizione? Alcune specie lo sono in contesti urbani, ma altre sono allevate e trasformate per usi alimentari. Il gusto? Le descrizioni parlano di tostato e leggermente acido, con “croccantezza” in topping; ma, come sottolinea un blogger, il vero ostacolo è psicologico. È solo marketing? Anche, ma non solo: il museo dichiara un intento divulgativo («cambiare prospettiva sugli insetti e sulla biodiversità») e l’operazione si presta a una lettura critica. Un assaggio informato consiglierebbe: chiedi sempre ingredienti e origine, se hai allergie a crostacei o acari evita, valuta il contesto (un museo tematico è un contesto diverso da un bar di catena), non giudicare dal nome – “scarafaggio” è un’etichetta che racchiude oltre 5.000 specie, molte delle quali hanno ruoli ecologici utili.

In definitiva, la tazzina pechinese riesce dove i paper scientifici faticano: costringe a prendere posizione. È un gadget museale? Un cavallo di Troia per normalizzare gli insetti nel piatto? Un’inezia “instagrammabile” o un piccolo tassello di una transizione più ampia? Probabilmente un po’ di tutto. Nel breve, l’effetto “wow” farà la fortuna dei reel; nel medio, resterà il messaggio: gli insetti, da risorsa marginale, stanno entrando nel vocabolario gastronomico globale, con regole, cautele e curiosità. E una volta abbassato il volume del disgusto, la domanda reale sarà semplice: è buono?

Nel frattempo, a Pechino, le macchine del bar continuano a macinare. Non solo caffè.

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