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Ex Ilva nel caos, decreto d’emergenza ma Taranto esplode: fabbrica occupata, strade bloccate e sindacati contro il governo

Tra fondi-ponte, cassa integrazione e accuse incrociate, gli operai chiedono Meloni mentre la protesta dilaga in tutta Italia

Dal sito www.fiom-cgil.it/

Dal sito www.fiom-cgil.it/

Il nuovo decreto varato dal Consiglio dei ministri prova a rimettere in moto l’ex Ilva, ma fuori dai palazzi romani monta un’onda di rabbia che oggi ha travolto Taranto. Per tentare di garantire la continuità operativa dell’acciaieria e scongiurare un collasso industriale annunciato, il provvedimento autorizza Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria a utilizzare i 108 milioni residui del finanziamento ponte fino al febbraio 2026, quando dovrebbe chiudersi la procedura di gara per individuare il nuovo aggiudicatario. Gli altri 92 milioni sono già stati assorbiti da interventi sugli altoforni, manutenzioni ordinarie e straordinarie e investimenti ambientali legati alla nuova Aia.

Per i lavoratori arrivano 20 milioni aggiuntivi destinati al biennio 2025-2026, con un’integrazione statale fino al 75% per la cassa integrazione straordinaria, finora sostenuta direttamente da AdI. Una boccata d’ossigeno giudicata però del tutto insufficiente dai sindacati, impegnati da giorni in una mobilitazione che non accenna a fermarsi.

A Taranto, la città si è svegliata sotto un cielo di fumo e rabbia: cancelli serrati, operai in presidio permanente, strade bloccate e traffico paralizzato. La fabbrica è stata occupata, trasformando il perimetro dell’impianto in una fortezza di bandiere, caschi e slogan. A guidare la protesta Fim, Fiom, Uilm e Usb, che hanno proclamato uno sciopero immediato – in corso fino alle 7 di domani – e annunciato l’estensione della mobilitazione a tutti gli stabilimenti del gruppo. «È in corso lo sciopero articolato in tutti gli stabilimenti di Genova, Novi Ligure, Taranto, Racconigi, Salerno. Nelle prossime ore si uniranno Milano, Paderno Dugnano, Marghera e Legnaro», hanno comunicato le sigle sindacali.

Il ministro Adolfo Urso ha fissato per venerdì 28 novembre un incontro a Palazzo Piacentini, ma le organizzazioni sindacali avvertono che la trattativa potrà ripartire «solo a Palazzo Chigi e solo con il ritiro del piano presentato dal governo». A Taranto, davanti ai cancelli della fabbrica, campeggiano cartelli che parlano di “futuro negato”. Tra i lavoratori è arrivato anche il sindaco Piero Bitetti, che ha scelto di schierarsi apertamente: «Non saremo disponibili ad accettare una macelleria sociale. Ho scritto direttamente alla presidente Meloni: noi abbiamo bisogno di verità».

Il fronte politico è spaccato. Il leader della Lega Matteo Salvini sostiene l’intervento pubblico: «È giusto che lo Stato sia protagonista. Ho bisogno di acciaio e lo voglio italiano». Di segno opposto la lettura della segretaria del Pd Elly Schlein, che definisce la situazione «a un punto critico» e chiede che sia Giorgia Meloni a prendere in mano il dossier: «Siamo davanti a un possibile disastro sociale. Urso deve farsi da parte». Durissimo anche il segretario generale Uil Pierpaolo Bombardieri: «Il lavoro fatto dal ministro Urso sta portando l’Ilva alla chiusura». Dalla stessa parte si collocano Matteo Renzi, che parla di «fallimento del governo Meloni», e Carlo Calenda, che avverte: «Ilva così chiude in pochi mesi. Perdere il primo impianto industriale del Sud è una follia».

Quel che resta sullo sfondo è il grido degli operai, che oggi si è levato forte sopra i rumori dei cancelli chiusi: «Non difendiamo soltanto un posto di lavoro, difendiamo un patrimonio industriale del Sud. Adesso il governo deve mettere in campo la soluzione, basta slogan».

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