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Ex Ilva, Novi Ligure in piazza per difendere il lavoro: i sindacati chiedono risposte

Ravetti e Pentenero: “Mentre a Roma e in Piemonte si parla, l’Italia perde il suo patrimonio industriale. Servono piani seri, non tavoli senza soluzioni”

Ex Ilva, Novi Ligure

Ex Ilva, Novi Ligure in piazza per difendere il lavoro: i sindacati chiedono risposte

La rabbia dei lavoratori dell’ex Ilva di Novi Ligure è tornata a farsi sentire con forza. Centinaia di operai sono scesi in piazza il 16 ottobre 2025, in contemporanea con le manifestazioni organizzate anche a Taranto e in altri siti del gruppo Acciaierie d’Italia, per chiedere certezze sul futuro dello stabilimento, garanzie occupazionali e un piano industriale credibile che metta fine a mesi di stallo e cassa integrazione.

Al corteo di Novi ha preso parte anche il vicepresidente del Consiglio regionale piemontese Domenico Ravetti, insieme alla capogruppo del Partito Democratico, Gianna Pentenero, che hanno espresso solidarietà ai lavoratori e denunciato l’immobilismo delle istituzioni nazionali e regionali. «Esprimiamo piena solidarietà ai lavoratori dell’ex Ilva – hanno dichiarato – che oggi hanno manifestato con dignità e determinazione per difendere il diritto al lavoro e il futuro industriale del Paese. La loro voce è chiara: non vogliono cassa integrazione, vogliono lavorare. E noi siamo al loro fianco».

Il presidio di Novi Ligure è solo l’ultima tappa di una crisi lunga e complessa, che ha visto l’ex impianto Ilva – oggi ArcelorMittal Acciaierie d’Italia – attraversare oltre un decennio di ristrutturazioni, commissariamenti e scontri politici. Nato come parte integrante della grande filiera siderurgica italiana, lo stabilimento novese è da anni uno dei poli produttivi più importanti del Nord, specializzato nella laminazione a freddo e nella zincatura dell’acciaio, con un ruolo strategico per l’automotive e la meccanica.

Negli ultimi anni, però, la produzione è crollata, e insieme ad essa la fiducia dei lavoratori. Dalla privatizzazione del 1995 alla cessione al gruppo franco-indiano ArcelorMittal nel 2018, passando per le gestioni pubbliche e i commissariamenti, la storia dell’ex Ilva è diventata il simbolo di una crisi industriale strutturale che l’Italia non è mai riuscita a risolvere.

A Novi, dopo la nascita di Acciaierie d’Italia – società controllata per il 38% da Invitalia e per il resto da ArcelorMittal – i lavoratori avevano sperato in una ripartenza. Invece, il sito ha vissuto anni di incertezze, fermate produttive e riduzione del personale, aggravate dalla crisi energetica e dalle difficoltà del mercato dell’acciaio. Oggi, con un futuro sempre più nebuloso, il rischio è quello di una progressiva desertificazione industriale del territorio.

Proprio su questo punto si concentrano le critiche dei rappresentanti regionali del Pd. Ravetti e Pentenero denunciano la mancanza di una strategia industriale chiara, sia a livello nazionale che piemontese. «Non possiamo permettere – hanno aggiunto – che lavoratori e famiglie continuino a vivere nell’incertezza, né che l’Italia rinunci a una filiera strategica come quella dell’acciaio. Il Governo deve assumersi le proprie responsabilità e intervenire con urgenza, mettendo in campo un piano industriale serio, sostenibile e condiviso con le parti sociali. È il momento del coraggio, non dell’attesa».

La loro posizione arriva in un momento delicato. Il futuro del gruppo Acciaierie d’Italia è infatti appeso all’esito dei negoziati tra ArcelorMittal e il Governo, che da mesi discutono della ricapitalizzazione e del possibile subentro pubblico. Roma ha più volte promesso un rilancio della produzione e la salvaguardia dei posti di lavoro, ma i sindacati denunciano ritardi, promesse disattese e mancanza di trasparenza.

Il nodo è sempre lo stesso: chi deve investire, quanto e con quale prospettiva. A Taranto, cuore del sistema Ilva, gli impianti funzionano a ritmo ridotto e i lavoratori in cassa integrazione restano migliaia. A Novi, dove la produzione è già minima, il timore è che lo stabilimento venga progressivamente ridimensionato, lasciando spazio a una chiusura mascherata.

Per questo, la manifestazione di oggi non è solo un gesto simbolico, ma un grido d’allarme che attraversa l’intero Nord industriale. In Piemonte, la filiera metalmeccanica e siderurgica è ancora un pilastro dell’economia, ma senza investimenti e politiche di sviluppo rischia di sgretolarsi.

La presidente del gruppo Pd in Consiglio regionale, Gianna Pentenero, ha puntato il dito anche contro la Giunta Cirio, accusata di non aver mai realmente affrontato la questione industriale in modo strategico. «Il Presidente Cirio – ha ricordato – ha detto che la Regione non sarà spettatrice e che farà la sua parte con senso di responsabilità. Peccato che, negli anni, le crisi industriali si siano susseguite senza una vera politica di intervento. Ogni volta che esplode un’emergenza, Cirio costruisce un tavolo, ma il suo ruolo non è quello di falegname: dovrebbe dire ai Ministri del suo stesso schieramento che servono piani seri e innovativi, non passerelle istituzionali».

Le parole di Pentenero hanno suscitato reazioni immediate anche tra i rappresentanti sindacali, che da mesi denunciano la mancanza di dialogo con la Regione Piemonte. Cgil, Cisl e Uil chiedono che il Governo nazionale si assuma l’onere di una riconversione industriale sostenibile, capace di salvare gli impianti e di accompagnare la transizione ecologica senza sacrificare migliaia di posti di lavoro.

L’ex Ilva di Novi Ligure, costruita negli anni Settanta e passata attraverso fasi alterne di sviluppo e crisi, è oggi un simbolo della trasformazione industriale italiana: un sito strategico che rischia di scomparire nel silenzio generale, travolto dalla concorrenza internazionale e dall’assenza di visione politica.

Nel frattempo, i lavoratori continuano a presidiare i cancelli, sostenuti dalle comunità locali. Molti di loro sono alla seconda o terza generazione di operai dell’acciaio. Le loro storie raccontano di sacrifici e orgoglio, ma anche di un senso crescente di abbandono. «Abbiamo dato una vita all’azienda – dicono – e ora ci chiedono di aspettare ancora».

Il timore più grande è che, dietro le parole sulla transizione verde e la modernizzazione, si nasconda una strategia di disimpegno progressivo. Il rischio, sottolineano i sindacati, è che il Piemonte perda uno dei suoi presidi industriali più solidi, con effetti a catena su tutto l’indotto.

La crisi dell’ex Ilva non è solo una vicenda locale: è lo specchio di una politica industriale nazionale in difficoltà, dove ogni emergenza viene affrontata con strumenti provvisori, senza mai costruire una visione di lungo periodo. L’Italia, un tempo potenza siderurgica, oggi produce un terzo dell’acciaio di trent’anni fa e importa sempre di più.

Il monito di Ravetti e Pentenero, in questo contesto, suona come un avvertimento: senza un piano serio e condiviso, la siderurgia italiana rischia di scomparire. «Intanto – concludono – mentre in Piemonte e a Roma si discute, l’Italia sta perdendo il proprio patrimonio industriale».

Dietro queste parole, la consapevolezza amara che ogni giorno di attesa allontana la possibilità di una rinascita. E che, se non si interverrà in fretta, il caso dell’ex Ilva di Novi Ligure potrebbe diventare l’ennesimo simbolo di un Paese che smantella se stesso pezzo dopo pezzo, dimenticando di avere ancora una vocazione industriale da difendere.

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