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Corruzione in Ucraina: cade mezzo governo, ma Yermak resta intoccabile

La maxi-inchiesta da 100 milioni travolge il cuore dell’energia ucraina. Crollano Halushchenko e Hrynchuk, mentre Zelensky blinda Yermak nel momento più fragile della guerra. Tra fughe all’estero, intercettazioni e sospetti di un sistema parallelo di tangenti, il Paese gioca la partita più pericolosa: la sua credibilità davanti all’Europa

Corruzione in Ucraina: cade mezzo governo, ma Yermak resta intoccabile

Andriy Yermak

Nel palazzo cupo della Verkhovna Rada, mentre il tabellone elettronico si accendeva di verde prima per 323 voti e poi per 315, in un ufficio del centro di Kyiv uomini che si chiamano tra loro “Professor”, “Karlson”, “Che Guevara” contavano mazzette di dollari. È una scena quasi grottesca, il paradosso di un Paese in guerra che tenta disperatamente di proteggere trasformatori e sottostazioni dai missili russi mentre, nelle stanze chiuse, qualcuno usa il settore energetico come un bancomat privato. È l’istantanea che emerge dall’operazione “Midas”, l’inchiesta anticorruzione che ha scoperchiato un sistema di pedaggi del dieci-quindici per cento imposto ai fornitori di Energoatom, il monopolista dell’atomo. Il flusso illecito stimato: circa cento milioni di dollari. Una cifra che pesa non solo nei bilanci, ma sulla coscienza di una nazione che affronta blackout quotidiani e attacchi continui alle sue infrastrutture critiche.

Secondo NABU e SAPO, le due principali autorità anticorruzione ucraine, il cuore dello schema era un sistema parallelo che si muoveva “a cavallo” tra l’impresa statale e i ministeri. Un meccanismo soprannominato “shlahbaum”, la “barriera”, che trasformava un servizio pubblico strategico in un casello privato. Chi pagava, superava la barriera; chi non pagava restava fuori. Il risultato è che un’azienda con ricavi oltre i 200 miliardi di UAH l’anno veniva in parte gestita da figure senza incarichi formali, ma con agganci nei posti giusti, capaci di orientare appalti, stipulare contratti, controllare personale, orientare flussi finanziari. Le registrazioni raccontano conversazioni su opere di protezione delle infrastrutture energetiche, su spartizioni di utili e su possibili sostituzioni ai vertici di Energoatom e del Ministero dell’Energia. Un groviglio nel quale il confine tra pubblica amministrazione e controllo informale si dissolve fino a diventare irrilevante.

Nel fascicolo spicca un nome: Tymur Mindich, quarantasei anni, imprenditore, figura nota nel Paese e storico socio di Volodymyr Zelensky ai tempi della Kvartal 95, la factory televisiva che ha lanciato l’attuale presidente. Per gli investigatori sarebbe il regista del sistema. Nelle intercettazioni è “Karlson”, l’uomo che gestisce la rete dei “sovrintendenti” informali, che impone percentuali ai fornitori e supervisiona il lavaggio del denaro. Il 10 novembre 2025, quando i detective bussano alla sua porta, Mindich è già sparito: avrebbe lasciato l’Ucraina poco prima del blitz. Zelensky ha annunciato sanzioni personali e congelamento dei beni, ma il legame passato tra i due si è trasformato immediatamente in un detonatore politico, alimentando dubbi e speculazioni che, per ora, non hanno trovato alcun riscontro giudiziario.

Il capitolo più tossico dell’inchiesta riguarda l’uso privato di parte del denaro destinato — sulla carta — alla protezione fisica delle infrastrutture energetiche. Mentre il Paese discuteva di come difendere autotrasformatori e linee ad alta tensione, una parte dei fondi veniva dirottata, secondo le inchieste giornalistiche, verso la costruzione di ville di lusso a Kozyn, elegante sobborgo di Kyiv. Qui emerge il nome dell’ex vicepremier Oleksiy Chernyshov, che secondo gli investigatori avrebbe diretto i lavori di un complesso residenziale di fascia alta ricevendo 1,2 milioni di dollari e 100.000 euro in contanti. Le ville, sostengono le ricostruzioni, sarebbero state destinate a lui, a Mindich e ad altri beneficiari dello schema. La presidenza non ha commentato. È un’accusa che colpisce al cuore: soldi sottratti non a un settore qualsiasi, ma alla difesa della rete energetica, proprio quando i missili russi colpivano centrali e sottostazioni provocando blackout diffusi.

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Svitlana Hrynchuk

Lo tsunami politico non si fa attendere. Il 12 novembre 2025, Zelensky chiede le dimissioni del ministro della Giustizia Herman Halushchenko — già responsabile dell’Energia — e della ministra dell’Energia Svitlana Hrynchuk. Entrambi si dimettono e una settimana dopo la Rada li rimuove formalmente con una maggioranza schiacciante. Segue l’annuncio di un azzeramento del board di Energoatom e di un audit completo dell’azienda con revisori selezionati in dialogo con i Paesi del G7. Non è solo una misura tecnica: è un messaggio politico ai partner occidentali che finanziano la resistenza ucraina e attendono segnali concreti di pulizia interna.

Il contesto rende tutto più esplosivo. Con l’inverno alle porte, gli attacchi russi martellano la rete elettrica, feriscono centrali, distruggono sottostazioni, bruciano trasformatori. In molte regioni si pianificano razionamenti e spegnimenti programmati. In questo scenario, scoprire che appalti destinati alla protezione fisica possano essere stati usati per costruire ville di lusso provoca indignazione in patria e scetticismo tra i partner internazionali. È anche un assist propagandistico al Cremlino, che da anni dipinge l’Ucraina come irrimediabilmente corrotta.

A scuotere il quadro politico c’è il nodo più sensibile: Andriy Yermak, capo dell’Ufficio del Presidente. Figura centrale nelle relazioni internazionali, uomo-ponte con Washington e Bruxelles, gatekeeper tra Zelensky e l’apparato statale, Yermak viene descritto da molti come “vicepresidente informale”. Non esiste, ad oggi, alcuna accusa giudiziaria che lo colleghi allo scandalo Energoatom. Ma una fetta della maggioranza chiede la sua rimozione come gesto politico di discontinuità, sostenendo che la catena di responsabilità debba coinvolgere anche il cerchio presidenziale. Altri, inclusi diversi diplomatici occidentali, lo considerano indispensabile per mantenere coesione nel governo in piena guerra. È il dilemma tra efficienza d’emergenza e accountability democratica: un equilibrio che l’Ucraina, sotto le bombe, fatica a gestire.

Yermak è una figura che polarizza. Nel 2023 alcuni media lo hanno definito il “cardinale verde” di Kyiv; nel 2024 è entrato nella lista dei cento personaggi più influenti di una rivista statunitense; nel 2025 cresce la percezione, specie a Washington, di un uomo chiave ma divisivo, accusato da detrattori di accentrare decisioni spettanti a ministri e Parlamento. Frequenta ogni vertice all’estero, gestisce dossier sensibili, parla con generali, consiglieri, emissari del G7. È inevitabile che un caso che tocca il cuore dell’energia, e lambisce figure un tempo vicine al presidente, finisca per colpire anche la sua immagine politica. Eppure, sul piano giudiziario, nulla lo riguarda.

Sul perimetro dell’inchiesta spuntano ulteriori piste. Mindich viene indicato in alcuni atti e inchieste come possibile beneficiario occulto di Fire Point, azienda di droni militari, circostanza respinta dagli interessati. Un suo parente, Leonid Mindich, è stato arrestato a Kharkivoblenergo con l’accusa di appropriazione. Sono tasselli di una ragnatela che attraversa settori diversi — intrattenimento, energia, finanza, difesa — e che mostra come il capitalismo di relazione del post-sovietico sia ancora un elemento strutturale nel Paese.

La posta in gioco è enorme. Il nucleare fornisce oltre metà dell’elettricità ucraina: qualsiasi frizione negli appalti può tradursi in interruzioni per milioni di cittadini. Ogni euro sottratto alla protezione fisica delle infrastrutture aumenta la vulnerabilità della rete e, quindi, il costo umano e industriale dei bombardamenti. La credibilità internazionale di Kyiv, in un momento in cui chiede nuovi aiuti finanziari e militari, dipende dalla capacità di dimostrare pulizia e trasparenza. E il percorso di adesione all’UE passa — forse più del previsto — dalla tenuta delle istituzioni anticorruzione.

Il fronte istituzionale ha reagito con tempismo: settanta perquisizioni simultanee il 10 novembre, sequestri, misure cautelari, pubblicazione dei nomi in codice e di ampi stralci delle intercettazioni. È un segnale di autonomia e forza investigativa delle agenzie anticorruzione. Il governo promette di rifondare la governance di Energoatom con criteri trasparenti e con supervisione internazionale. Ma molte questioni restano da chiarire: l’esatta tracciabilità dei flussi, la destinazione finale dei fondi, il ruolo dei funzionari coinvolti, la natura e l’estensione delle collaborazioni con i beneficiari delle ville di Kozyn.

Il caso Energoatom è più di uno scandalo: è un crash test istituzionale. Misura la distanza tra la resilienza bellica del Paese e le sue fragilità democratiche. Misura la capacità di un governo in guerra di colpire reti oscure che sopravvivono da decenni. Misura, soprattutto, se l’Ucraina è pronta a chiudere una volta per tutte il capitolo del potere parallelo e dei suoi intermediari.

La domanda finale è semplice solo in apparenza: Midas sarà un punto di svolta o l’ennesimo capitolo di un romanzo incompiuto? La risposta dipenderà dalla forza delle istituzioni anticorruzione, dalla capacità di ricostruire i vertici dell’energia senza ricadere nei vecchi schemi e dal coraggio politico di tracciare limiti chiari al potere informale. È un compito immenso, che non si esaurisce con dimissioni o audit. Riguarda la struttura stessa dello Stato. E riguarda la qualità della democrazia ucraina, oggi messa alla prova sotto il rumore costante degli allarmi aerei.

I personaggi al centro della tempesta

  • Timur (Tymur) Mindich: imprenditore, ex co-proprietario di Kvartal 95 con Zelensky. Per NABU è l’organizzatore dello schema Energoatom. Risulta fuggito all’estero nelle ore precedenti ai blitz. Sottoposto a sanzioni.
  • Oleksiy Chernyshov: ex vicepremier. In un filone collegato, è sospettato di aver finanziato ville a Kozyn con denaro riconducibile al sistema di tangenti. Avrebbe ricevuto 1,2 milioni di dollari e 100.000 euro.
  • Herman (German) Halushchenko: ex ministro dell’Energia, poi alla Giustizia. La sua abitazione è stata perquisita; si è dimesso e nega ogni addebito.
  • Svitlana Hrynchuk: ministra dell’Energia, dimissionaria e poi rimossa il 19 novembre 2025 dal Parlamento.
  • Andrii Yermak: capo dell’Ufficio del Presidente. Non indagato nel dossier Energoatom, ma al centro di un dibattito politico sulla responsabilità del “potere parallelo” in tempi di guerra.
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