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Parigi in panne: cinque minuti di buio mandano la capitale nel caos

Una sottostazione da 200 MW a Issy-les-Moulineaux salta all’alba, 170.000 famiglie restano senza corrente e la città va in tilt tra metro ferme, semafori morti e pendolari infuriati. RTE parla di “guasto tecnico”, ma la fragilità della rete elettrica francese si mostra in tutta la sua nudità

Parigi in panne: cinque minuti di buio mandano la capitale nel caos

Parigi in panne: cinque minuti di buio mandano la capitale nel caos

Alle 6:40 del mattino, quando Parigi si prepara al solito balletto tra boulangerie che sfornano croissant e pendolari che controllano notifiche prima di mettersi in fila per la metro, un clic quasi impercettibile — una specie di colpo di tosse del sistema — ha mandato una parte della capitale nel buio. Non un buio romantico da Senna illuminata, ma un’oscurità improvvisa, netta, quella che non ti aspetti da una città che si vanta di essere il faro d’Europa e invece inciampa su un interruttore. Semafori spenti, scale mobili bloccate come opere d’arte concettuale, sveglie mute, e quel silenzio sommesso che si crea solo quando una metropoli perde per un attimo la voce. I francesi, si sa, ci mettono poco a montare una polemica; stavolta però gliel’ha servita direttamente la rete elettrica.

parigi

Secondo RTE, il blackout ha lasciato senza corrente 170.000 famiglie tra Parigi e Hauts-de-Seine. Tutto nasce dalla sottostazione di Issy-les-Moulineaux, che più che una sottostazione sembra la sala macchine di un transatlantico: un nodo da circa 200 MW, abbastanza per alimentare mezzo dipartimento dell’Île-de-France. Alle 06:38 qualcosa si rompe — qualcosa di importante — e nell’arco di pochi secondi il sistema butta giù interi quartieri per evitare danni maggiori. È la solita formula che i tecnici francesi ripetono come un mantra: “incidente tecnico”. Che significa tutto e niente. Tradotto: non ce la sentiamo ancora di spiegare cosa è saltato, ma speriamo non sia grave. Cinque minuti dopo, miracolosamente, 112.000 utenti tornano a vedere la luce. Ma come spesso accade, quando la città si accende, è il trasporto a spegnersi.

Se vuoi capire quanto in fretta Parigi può passare dal caos all’apocalisse, basta guardare cosa succede quando vacilla la metropolitana. La linea 12, già martoriata da lavori perenni, smette di funzionare e alle 7 del mattino è un’unica massa compressa di pendolari sudati, irritati e già pronti alla rivoluzione. A Mairie d’Issy e Corentin-Celton si forma quella coda compatta che non vedi neanche a Disneyland nei giorni gratis. In superficie le auto avanzano a passo d’uomo perché i semafori sono spenti e i poliziotti, improvvisati vigili urbani, tentano di portare ordine con l’unico strumento di cui dispongono: il gesto largo della mano, che però funziona solo se dall’altra parte troverai un automobilista disposto ad ascoltare. A Parigi non capita spesso.

La verità è che cinque minuti di blackout, in una capitale iperconnessa, non sono cinque minuti: sono un’ora e mezza di ritardi, rallentamenti, controllori di SNCF disperati, pendolari arrabbiati e tecnici che cercano di capire se è saltato un trasformatore, un interruttore o — come sussurra qualcuno — un “errore umano”, espressione che in Francia viene pronunciata con lo stesso pudore con cui si parla di “problemi di coppia”. Eppure, dicono, il sistema ha retto: le protezioni automatiche hanno isolato il guasto senza trascinare nel buio mezza regione, e il ripristino graduale — 55.000 famiglie senza luce alle 07:10, 2.600 alle 07:50 — racconta una rete che almeno sa rialzarsi senza troppo rumore. Ma resta il punto: perché è saltato tutto? E perché proprio lì?

La sottostazione di Issy-les-Moulineaux non è un luogo qualsiasi. È il cuore elettrico di un quadrante che ospita aziende, centri direzionali, quartieri densi e una mobilità che passa per decine di migliaia di persone all’ora. Se cade quella, non cade una luce: cade un pezzo di coreografia urbana. I tecnici spiegano che una sottostazione così può sbilanciare l’intero sistema se qualcosa va storto, e che occorre ridistribuire i carichi pescando energia da altre dorsali, con l’effetto imprevisto di mettere sotto stress aree che fino a cinque minuti prima non c’entravano nulla. È una partita a Tetris che si gioca in tempo reale, e ogni blocco posizionato male manda in tilt la riga successiva.

Il trasporto è il primo termometro della fragilità urbana: quando la rete elettrica respira male, metro, treni e tram vanno in apnea. Nel blackout di giovedì mattina si sono fermati sistemi di segnalamento, cabine di manovra, scale mobili, ascensori, persino i citofoni elettronici dei palazzi di Malakoff — una di quelle piccole cose che a Parigi provocano più indignazione di un dibattito politico. E come sempre, quando l’elettricità torna, non torna mai tutto insieme: servono minuti, a volte ore, affinché il trasporto riprenda un ritmo quantomeno credibile.

Eppure, per quanto il blackout sembri un incidente isolato, gli esperti ricordano che negli ultimi anni le città europee stanno vivendo un aumento dei micro-guasti. Niente che faccia gridare al disastro, ma abbastanza da dimostrare che infrastrutture nate negli anni ’70 e ’80 non sono state progettate per sopportare la densità urbana del 2025. RTEpromette indagini, Enedis assicura che “non c’è alcun atto doloso”, il ministero spiega che “il sistema è resiliente”. Tutto vero, forse. Ma resta un dato che nessuno può negare: un nodo da 200 MW non dovrebbe spegnersi così. Non nel cuore della capitale. Non all’alba. Non davanti a 170.000 famiglie.

La giornata dei parigini, tanto per cambiare, si è rimessa in moto lentamente, con ritardi, deviazioni, autobus pieni come carri bestiame, motorini che spuntano da ogni angolo e gente che, davanti a un citofono morto, si è ritrovata costretta a chiedere ai vicini se per caso avessero una chiave fisica. Una di quelle scene che fanno sorridere chi non c’era, ma che per chi le vive rappresentano lo specchio perfetto della dipendenza da una rete invisibile. E proprio qui sta la lezione più grande: anche un blackout di pochi minuti è capace di ricordarci che l’elettricità non è un lusso ma una condizione di esistenza.

Alla fine, quello che resta è questo: Parigi non è diventata vulnerabile oggi. Lo è sempre stata, come tutte le città che brillano molto e pensano poco alla manutenzione dei propri ingranaggi. Questo blackout non racconta un collasso, ma un avvertimento. E in una mattina qualunque, in cui un clic invisibile mette in pausa una capitale da dodici milioni di abitanti, si capisce che la modernità non è fatta di luci accese, ma della capacità — tutta politica, tutta tecnica — di impedire che quelle luci si spengano di nuovo.

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