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21 Novembre 2025 - 07:10
La lezione tenuta mercoledì 19 novembre nella Sala Conferenze Trinità a Cuorgnè dalla docente Alice Fumero non è stata soltanto un incontro di educazione musicale: è stata un viaggio sensoriale, intellettuale ed emotivo attraverso secoli di storie, miti, poesie e linguaggi sonori che l’umanità ha dedicato alla Luna e agli astri. Un itinerario ricchissimo, capace di mostrare come la musica – dalle forme più arcaiche ai linguaggi moderni – non abbia mai smesso di alzare lo sguardo verso l’alto per cercare ispirazione, conforto, significato.
L’inizio del percorso conduce nel mondo del Lied, la “canzone d’arte” del Romanticismo tedesco, ponte perfetto tra poesia e musica. Goethe, Schiller e Shakespeare dialogano con Schubert, Schumann e Mendelssohn, e in questo crocevia la Luna diventa confidente silenziosa delle inquietudini romantiche. Schubert – ricordato dalla docente per i suoi oltre seicento Lieder – trasforma la forma strofica in un micro-teatro emotivo: la melodia si piega al testo, cambia colore, si fa narrazione, addirittura dialogo. È qui che la Luna comincia a essere più di un’immagine: diventa specchio delle fragilità umane, compagna delle solitudini, bersaglio di domande che gli uomini continuano a rivolgerle da secoli. Con ironia, la docente ha osservato come il gesto di “guardare la Luna”, un tempo quasi rituale, oggi sia stato sostituito dal riflesso di abbassare gli occhi sullo schermo del cellulare.
Il viaggio prosegue nell’opera italiana, luogo privilegiato del sentimento e della voce. Bellini restituisce alla Luna una delle sue invocazioni più celebri: Casta Diva di Norma. L’aria non è solo simbolo del belcanto, ma anche un frammento della cultura popolare italiana, grazie alla leggenda della “pasta alla Norma”, nata per consolare un Bellini amareggiato dalla tiepida accoglienza milanese alla prima dell’opera. La docente, con chiarezza, ha illustrato il ruolo della cavatina – aria d’ingresso che mette alla prova il cantante – e ha ricordato come molte pagine siano state costruite per interpreti formidabili come Giuditta Pasta, musa di Bellini, anche quando la scrittura non aderiva perfettamente alla sua estensione vocale. La Luna, nelle opere dell’Ottocento, non è un semplice sfondo: è presenza simbolica, richiamo spirituale, lampada emotiva che illumina passioni e destini.
Dal melodramma italiano si approda al repertorio boemo e slavo, dove l’acqua e il soprannaturale si mescolano alla luce notturna. Rusalka di Dvořák – ninfa d’acqua della mitologia slava – canta la sua struggente “Canzone alla Luna”, affidando all’astro il proprio messaggio d’amore. È un momento di poesia pura, imparentato con la storia della Sirenetta: trasformazioni, rinunce, perdita della voce. La docente ha evocato anche Ondine e Melusine, creature acquatiche che hanno ispirato Mendelssohn e molti altri, simboli dell’intersezione tra uomo e mistero, tra natura e magia.
Il racconto compie poi un salto teatrale, approdando al musical. Cats, uno dei più longevi successi di Broadway e del West End, apre un altro capitolo della nostra relazione con la notte. In Memory, la gatta Grizabella canta una vita consumata e piena di rimpianti, mentre la Luna osserva silenziosa la festa dei Jellicle Cats, trasformando il palcoscenico in un rito di rinascita. Anche qui, l’astro notturno è più che un elemento scenico: è custode di trasformazioni e speranze.
Riprendendo il filo della storia musicale, la docente ha poi guidato il pubblico nella nascita e nella dissoluzione del sistema tonale. Tra Settecento e Ottocento le regole armoniche europee costruiscono un mondo ordinato e comprensibile; all’inizio del Novecento, però, tutto cambia. Schoenberg rompe gli equilibri inventando la dodecafonia, linguaggio radicale che elimina la gerarchia dei suoni e inaugura un nuovo modo di comporre. In questo universo sonoro nasce Pierrot lunaire, uno dei vertici dell’avanguardia: la voce si muove nello Sprechgesang, un parlare-cantare sospeso tra ironia, follia e solitudine. La Luna torna ad essere simbolo di spaesamento, alterità, sogno inquieto.
Dal rigore dell’avanguardia si passa alla libertà del jazz. Fly Me to the Moon, nata con altro titolo e poi trasformata per inseguire l’uso popolare, è oggi uno degli standard più celebri. La docente ha spiegato con chiarezza che cosa sia uno standard: una struttura armonica condivisa, una base su cui ogni musicista improvvisa la propria identità. È libertà pura, creatività in movimento, e anche qui la Luna resta complice.
Il viaggio si allarga poi alla figura del compositore e alla storia dell’opera. Mozart, spesso dipendente da mecenati esigenti, cerca una libertà che fatica a trovare; Beethoven, invece, rivendica con forza l’indipendenza artistica, inaugurando la figura moderna del compospositore-romantico, che scrive per necessità interiore. In questo clima, Goldoni con Il mondo della luna costruisce una satira brillante sulle manie e credulità del Settecento: un finto viaggio lunare orchestrato con travestimenti e macchine sceniche per smascherare debolezze umane. La Luna, ancora una volta, come specchio del nostro modo di essere.
L’Ottocento francese porta in scena Offenbach e l’operetta, preludio alle dissolvenze impressioniste di Debussy. Le sue armonie sfumate, le forme che si disgregano, le atmosfere sospese sono come pennellate di luce: la Luna diventa riflesso, bagliore, emozione più che oggetto reale. Una presenza poetica, evocata più che descritta.
Un capitolo particolarmente suggestivo del racconto riguarda la voce umana. La docente ha spiegato il ritorno dei controtenori – voci maschili acutissime che oggi interpretano parti un tempo pensate per i castrati – restituendo al pubblico un affascinante mondo sonoro, sospeso tra maschile e femminile, terreno e ultraterreno. Anche qui la Luna appare come simbolo di amori impossibili, destini fragili, passioni che non trovano pace.
Il finale del viaggio è affidato a Henry Mancini. Moon River, scritta per Colazione da Tiffany, è una delle melodie più iconiche del Novecento: semplice, luminosa, malinconica. Nata per la voce cristallina di Audrey Hepburn, ha conquistato il mondo diventando simbolo di sogno, libertà e desiderio di cambiare vita.
E così, alla fine, la docente riporta il pubblico al punto di partenza: c’è sempre qualcosa di irresistibile nella Luna. Da secoli l’umanità le parla, la osserva, le affida paure e speranze. La musica – suggerisce la docente – è forse il linguaggio che più le somiglia: non dà risposte, ma illumina. Illumina le nostre notti interiori, accompagna le incertezze, ricorda che anche nel buio più fitto può brillare un frammento di luce. Un bagliore fragile, ma potentissimo, nel quale nasce ciò che abbiamo di più autentico: tra una nota e un silenzio, tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra i sogni che affidiamo alla Luna e i passi con cui, ogni giorno, proviamo a raggiungerla.
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