Cerca

VCO, trent’anni di promesse e nessun ospedale: la Regione sospende tutto e ricomincia da zero

La delibera sulla ristrutturazione dei due presidi viene bloccata dopo la bocciatura del Ministero. Riboldi parla di svolta, il Pd denuncia l’ennesimo bluff, il M5S accusa sei anni di errori e chiede scuse ai cittadini. Ora si riparte da una lista di sei localizzazioni e da trent’anni di ritardi.

VCO, trent’anni di promesse e nessun ospedale: la Regione sospende tutto e ricomincia da zero

VCO, trent’anni di promesse e nessun ospedale: la Regione sospende tutto e ricomincia da zero

Alla fine, dopo mesi di proclami, documenti, controdeduzioni, riunioni fiume e dichiarazioni trionfalistiche, il Consiglio regionale ha fatto l’unica cosa che poteva fare: sospendere la delibera con cui la Giunta Cirio pretendeva di rimettere a nuovo, magicamente e con finanziamenti che nessuno avrebbe mai erogato, i due ospedali di Verbania e Domodossola. Un piano alternativo all’ospedale unico, sconfessato non dall’opposizione, non dai sindaci, non dai cittadini inferociti: ma dal Ministero della Salute. Cioè da chi i soldi dovrebbe metterli davvero.

E così, con voto unanime – anche perché a un certo punto negare l’evidenza diventa imbarazzante – l’Aula ha deciso di riaprire tutto. Un déjà vu infinito: nuova “fase di studio”, nuovo “percorso condiviso”, nuove “valutazioni tecniche”. Come se questi trent’anni di tira e molla non fossero mai esistiti.

A guidare l’operazione-verità ci prova l’assessore Federico Riboldi, che almeno un merito ce l’ha: riconoscere che nel VCO serve un ospedale moderno, e non l’eterno collage di ristrutturazioni, reparti spostati, doppi assetti e personale in fuga verso la Svizzera. “Rivendichiamo con forza la specificità del VCO”, dice. Giusto. Il problema è che il VCO questa specificità la paga ogni giorno sulla propria pelle, mentre la politica regionale promette, rinvia e sbaglia bersaglio.

Riboldi ringrazia la Conferenza dei Sindaci, che almeno ha fatto in poche settimane ciò che la Regione non ha fatto in anni: indicare sei localizzazioni possibili. Verbania, Domodossola, Gravellona Toce, Ornavasso, Piedimulera, Villadossola. Una lista che sembra fatta per accontentare tutti e scontentare comunque qualcuno. Ma almeno è un punto di partenza. Non come le delibere “crea-disordine” della Giunta uscente.

Da Fratelli d’Italia, Daniela Cameroni e Gianluca Godio finalmente lo ammettono: la geografia del VCO non consente più il lusso di due ospedali mezzi vuoti e mezzi funzionanti. Lo dicono oggi, dopo anni in cui questa stessa considerazione era bollata come lesa maestà ai campanili. “Serve una sola struttura moderna e baricentrica”, dichiarano, come se fosse una rivelazione. Benvenuti nel 2025.

Molto meno tenero il Partito Democratico, che smaschera quello che definisce “l’ennesimo bluff” della maggioranza. Secondo Domenico Rossi, Gianna Pentenero, Mauro Calderoni, Monica Canalis, Laura Pompeo, Domenico Ravetti ed Emanuela Verzella, la Regione ha fatto passare la sospensione come un passo verso l’ospedale unico, quando in realtà la delibera non lo nomina nemmeno. E, soprattutto, non esclude affatto il ricorso ai privati. Una parola che a Torino dicono sottovoce, ma che nel VCO fa venire i brividi ai cittadini che da anni difendono un servizio pubblico già al limite della sopravvivenza.

Poi c’è il Movimento 5 Stelle, che oggi vota sì ma non dimentica – e anzi rinfaccia con forza – le scelte sbagliate della maggioranza. Sarah Disabato, Alberto Unia e Pasquale Coluccio tuonano senza mezzi termini: “Una mossa forzata, la Regione è stata bocciata dal Ministero… Cirio si è incaponito per anni contro l’ospedale unico per pura propaganda”. Parole dure, durissime: “Chi ha sbagliato chieda scusa ai cittadini”. Il che, tradotto, significa: impossibile che accada.

Avs – Alice Ravinale, Valentina Cera, Giulia Marro – va dritta su un altro punto spesso ignorato dalla politica: anche se domani inaugurassimo un ospedale da copertina, senza medicina territoriale, senza assistenza domiciliare e senza personale, resterebbe solo una gigantesca scatola nuova. “Le criticità del VCO non si risolvono con nuove mura”, dicono. E hanno ragione: se si continua a parlare solo di cemento, la sanità pubblica continuerà a perdere pezzi.

La capogruppo Sue Vittoria Nallo invece festeggia: “È una vittoria dell’opposizione”. Perché finalmente la Regione ammette ciò che loro ripetono da anni: un ospedale si fa dove serve, non dove fa comodo metterci una bandierina politica.

Luigi Icardi

Infine spunta Luigi Icardi, ex assessore alla Sanità, che riscrive la storia recente: secondo lui il progetto di Ornavasso non è stato affossato dalla Regione, semplicemente “era irrealizzabile”: niente strade, parcheggi nel granito, zero consenso. E così loro, bontà loro, hanno inventato il “piano B” con due ospedali e un solo Dea. E oggi? Oggi, dice lui, “le condizioni sono cambiate”. Tradotto: abbiamo sbagliato strada, ora proviamo a rimetterci in carreggiata.

Fuori dall’Aula, il M5S rincara con un comunicato che definire infuocato è poco: “Il Centrodestra ha voltato pagina dopo anni di scelte sbagliate… le loro decisioni faranno lievitare i costi… si vada avanti senza perdere altro tempo… sia garantito un finanziamento pubblico che allontani il rischio dei privati”. Una raffica di accuse che, in un Paese normale, basterebbe per far tremare una Giunta.

Siamo invece nell’ennesimo inizio. L’ennesima pagina bianca. L’ennesima “nuova fase”.

Il VCO aspetta da trent’anni un ospedale che funzioni. Ogni volta sembra il momento buono, ogni volta il progetto cambia nome, forma e direzione. Stavolta ci si rimette mano perché il Ministero ha detto no. Non per amore del territorio, non per improvvisa consapevolezza politica: perché non c’era più alternativa.

E adesso? Adesso si ricomincia.

Come sempre.

Gli ospedali del VCO: tra reparti sdoppiati, strutture datate e personale che scappa oltreconfine

Nel Verbano-Cusio-Ossola la questione ospedaliera non è un dibattito astratto da Consiglio regionale: è vita quotidiana. E basta affacciarsi nei tre presidi del territorio per capire perché da trent’anni si litiga sulla necessità – o meno – di un ospedale unico.

A Verbania il Castelli, costruito in un’epoca in cui la sanità correva su binari molto diversi dagli attuali, porta addosso tutti gli acciacchi di una struttura che ha superato da tempo la soglia della modernità: spazi angusti, reparti adattati nel tempo, percorsi interni tortuosi, impianti che richiedono manutenzioni continue e una capacità ricettiva che fatica a stare al passo con la domanda. Il personale fa miracoli, ma la casa in cui lavora non è più all’altezza dei carichi attuali.

A Domodossola il San Biagio non se la passa meglio: pur vantando una storia più recente di investimenti rispetto al Castelli, anche qui gli edifici tradiscono l’età, la distribuzione dei servizi riflette logiche organizzative superate e la carenza cronica di personale si intreccia con la concorrenza svizzera, che attira medici e infermieri con stipendi ben lontani da quelli italiani. Il risultato? Reparti che reggono a fatica e turni che diventano sempre più pesanti.

Poi c’è Omegna, con il Centro Ortopedico di Quadrante, un’eccellenza riconosciuta nel campo dell’ortopedia e della riabilitazione. Una struttura che funziona, certo, ma che non può – né deve – sostituire due ospedali generali. Il suo ruolo è specifico, complementare, e non può diventare la toppa per una rete ospedaliera che da troppi anni procede a strappi.

In tutto il VCO, ciò che emerge è un sistema a doppia velocità: da un lato reparti e professionisti che reggono la baracca con competenza e dedizione, dall’altro edifici che scricchiolano, reparti sdoppiati, attrezzature che richiedono aggiornamenti costanti e un’organizzazione che da tempo chiede un ridisegno totale. Mentre i cittadini fanno i conti con i trasferimenti tra un presidio e l’altro per visite, esami e ricoveri, la politica continua a discutere sul luogo in cui dovrebbe sorgere il nuovo ospedale.

Il paradosso è che nessuno, né operatori né pazienti, sembra volere davvero la conservazione dell’esistente: lo dimostrano anni di proteste, lettere dei sindaci, appelli del personale sanitario e persino le analisi tecniche del Ministero. Gli ospedali del VCO, così come sono oggi, sono la fotografia fedele di un territorio che meriterebbe molto di più di una guerra di campanile lunga tre decenni.

E mentre il Consiglio regionale riapre l’ennesimo tavolo di lavoro, Verbania e Domodossola restano lì: due strutture che resistono, ma che ogni giorno ricordano quanto urgente sia una scelta chiara, definitiva e – finalmente – concreta.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori