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18 Novembre 2025 - 18:08
All’Asti sono neri di rabbia: Sinner li spruzza in mondovisione e i giornali scrivono Champagne
Eccoli lì, i produttori dell’Asti, col cappello in mano e la vena che pulsa sulla fronte, mentre da qualche redazione d’Italia qualcuno continua a scambiare una doccia tricolore per una pioggia francese. Li vedi quasi, sparsi tra le colline, con l’espressione sconsolata di chi assiste per l’ennesima volta allo stesso miracolo al contrario: trasformare l’acqua in vino, no; trasformare l’Asti in Champagne.
Succede che Jannik Sinner vince in casa, trionfa alle Nitto ATP Finals, sventola l’Italia in mondovisione e, come da rito, si bagna con lo spumante. Ma non uno spumante qualunque: Asti Spumante, quello vero, quello che profuma di colline, tradizioni, filari e orgoglio piemontese.
Quello che quando lo agiti vola il tappo fino a Casale.
E invece, per “l’Informazione”, pare sia sempre Champagne. Perché — si sa — se non è francese, non è abbastanza scintillante, non fa scena, non brilla nei titoli, non garantisce quell’aria di bonjour tristesse che pare essere la vera ossessione redazionale del Paese.

Così, dal Consorzio Asti Docg, oggi non volano tappi, ma bordate. E non sono bordate leggere: sono di quelle che, dette con calma, fanno più male. Perché dopo aver investito per cinque anni come sparkling wine partner delle Finals, dopo aver visto la bottiglia impugnata da Sinner come un vessillo patriottico, dopo essere finiti persino nella iconica doccia del campione – quella che i tifosi riguardano in loop come se fosse la scena finale di un film sportivo – si ritrovano a leggere decine di articoli che parlano di “festeggiamenti a base di Champagne”.
Champagne.
Sempre Champagne.
È un riflesso condizionato: vedono una bolla e partono per la Francia, tipo pubblicità della SNCF.
Stefano Ricagno, che del Consorzio è presidente e portatore sano di pazienza fino a ieri, oggi sbotta: “Vinciamo in casa, lo spumante è italiano, è l’Asti, è nostro, ma quelli che rimangono con l’amaro in bocca siamo noi”.
E certo che gli resta l’amaro: se produci dolce e ti fanno diventare acido, vuol dire che ti stanno tirando il tappo dell’anima.
Il Consorzio, educato ma non troppo, ringrazia pure i media corretti: quelli che hanno scritto “Asti Spumante” senza tremare, senza dover chiedere il permesso all’Académie française, senza inserire un asterisco di scuse al lettore per non aver scritto “Champagne” come il Galateo internazionale comanderebbe. Ma poi lo dice chiaro: la strada per liberarci dalla sudditanza culturale è lunga. Troppo lunga. Talmente lunga che, se la percorri tutta, ti scade la denominazione e devi rifare l’etichetta.
Eppure l’Asti non è un ospite dell’ultimo minuto: è partner dalla prima ora, è parte del paesaggio delle Finals, è sempre lì, ogni anno, con la sua bottiglia brillante e il suo territorio, il più antico nella storia spumantistica italiana. Ha la stessa permanenza scenica delle linee gialle del campo. E allora sì, un po’ si risentono quando la stampa, tutta eccitata dalla vittoria di Sinner, si lascia sfuggire il solito riflesso pavloviano: Champagne.
Perché non è una gaffe, dicono al Consorzio: è un’esterofilia. Una di quelle croniche. E pure un’esterofilia triste, quella che riesce a deprimere una vittoria italiana con una bolla francese. L’equivalente enologico di segnare un gol ai Mondiali e titolare: “Grande match, peccato la maglia non fosse Adidas”.
In fondo, volevano solo che il Paese brindasse con loro. Un brindisi che avrebbero meritato: dopo tutto, Sinner non ha scelto l’Asti per caso, né per sbaglio, né perché non aveva alternative. L’ha scelto perché è l’Asti delle Finals. Ma niente: a volte l’Italia può vincere tutto, tranne la battaglia contro la convinzione che la realtà sia sempre un po’ più glamour se ha un accento d’Oltralpe.
Che poi, almeno una cosa è certa: se la doccia di Sinner fosse stata davvero Champagne, il Comité Champagne avrebbe già convocato l’Onu, la Nato, l’UNESCO e forse pure San Gennaro, per presunta appropriazione indebita di bollicine.
Così, invece, si agitano solo quelli dell’Asti. E, ironia della sorte, sono proprio loro la parte più frizzante di tutta la storia.
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