AGGIORNAMENTI
Cerca
Esteri
19 Novembre 2025 - 06:00
Mozambico, i container bollenti della vergogna: l’ombra di torture sul gigante TotalEnergies
l metallo dei container scotta come una piastra, anche se è pieno inverno australe. Sul piazzale all’ingresso di Afungi l’aria vibra comunque, come se il sole si divertisse a smentire il calendario. Da dentro non arriva più un suono, nessun colpo, nessun fiato. I soldati marciano in sincronia, i calci dei fucili segnano un ritmo secco, militaresco, quasi rituale. È qui, a pochi metri dal cantiere del più grande investimento energetico dell’intera Africa, che decine di uomini sarebbero stati chiusi per giorni, settimane, forse mesi. Senza acqua, con poco cibo, picchiati, torturati, qualcuno lasciato morire tra lamiere che diventavano una fornace. Una scena che sembra uscita da un reportage di guerra, e che invece, secondo una denuncia depositata a Parigi, riguarda un perimetro finanziato e protetto da una delle più grandi compagnie energetiche del mondo: TotalEnergies. In mezzo, la famigerata Joint Task Force, la JTF, la forza di sicurezza incaricata di proteggere il sito, e quel rapporto di collaborazione che ora finisce al centro di accuse pesantissime.

Afungi è il cuore del progetto Mozambique LNG, il tassello che dovrebbe proiettare il Mozambico nella geografia globale del gas. Venticinque chilometri quadrati ritagliati nella penisola di Afungi, nella provincia di Cabo Delgado, diventati una sorta di zona extraterritoriale dove convivono ingegneri, contractor, militari e un investimento stimato in oltre 20 miliardi di dollari. A guidare tutto c’è TotalEnergies, con una quota del 26,5%, affiancata da gruppi giapponesi, indiani, thailandesi e dal governo mozambicano. Poi, nel marzo 2021, Palma esplode. Un attacco jihadista manda in tilt l’intera area, il personale viene evacuato, gli impianti messi in stand-by e in aprile scatta la dichiarazione di force majeure. Da allora la ripartenza è diventata un fantasma: evocata, rinviata, agitata come promessa di stabilità e al tempo stesso come miraggio fragile. Nel 2025 il dibattito torna a surriscaldarsi, tra annunci ottimistici e nuove crepe sulla sicurezza, e proprio mentre si discute di una possibile riattivazione dei lavori arriva la notizia che scuote gli uffici delle procure francesi.
A denunciarla è l’European Center for Constitutional and Human Rights, l’ECCHR, organizzazione legale con sede a Berlino che ha già trascinato in tribunale giganti industriali in mezzo mondo. L’accusa, depositata a Parigi, parla chiaro: “complicità in crimini di guerra, torture e sparizioni forzate” legate a violenze commesse da militari mozambicani tra luglio e settembre 2021 nell’area di Afungi. Il nodo è semplice da enunciare, molto meno da provare: la JTF, incaricata della protezione del progetto, avrebbe utilizzato container come centri di detenzione improvvisati, dove sarebbero stati rinchiusi civili sospettati di legami con l’insurrezione jihadista. Le testimonianze raccolte da ONG, media locali e osservatori indipendenti parlano di uomini separati da donne e bambini, tenuti per giorni in condizioni disumane, picchiati, affamati, lasciati soffocare dal calore intrappolato nel metallo. Il tutto mentre il progetto LNG, almeno sulla carta, operava in linea con i Voluntary Principles on Security and Human Rights, quei protocolli che dovrebbero evitare proprio ciò che ora viene contestato.
La Joint Task Force nasce dal Memorandum d’intesa firmato il 24 agosto 2020 tra TotalEnergies e il governo mozambicano. Un accordo che definisce ruoli, responsabilità, supporto logistico, coordinamento operativo. In teoria un’alleanza che dovrebbe assicurare protezione rispettando standard internazionali sui diritti umani; in pratica, secondo gli accusatori, un sistema che avrebbe spalancato la porta a un ciclo di abusi non controllati e forse non ignorabili. Le ricostruzioni parlano di container posizionati vicino al gate di ingresso del sito, usati per “interrogatori”, “screening” o, più politicamente, “misure temporanee di sicurezza”. Ma le foto satellitari, i video e alcune testimonianze parlano di un’altra storia: civili bastonati, assetati, lasciati cuocere al sole per ore; detenuti per settimane senza un’accusa formale; persone scomparse dopo essere entrate in quelle strutture di fortuna.
L’ECCHR sostiene che la compagnia non possa chiamarsi fuori, perché la JTF era sostenuta materialmente proprio dal consorzio LNG: mezzi, logistica, infrastrutture e, secondo alcune fonti, anche sussidi versati al governo mozambicano con l’impegno di utilizzarli per la sicurezza del sito. Il punto giuridico è il concetto di “complicità”: non si chiede di accusare l’azienda di aver torturato direttamente qualcuno, ma di aver creato le condizioni materiali che avrebbero reso possibili quegli abusi. È un’area grigia che la giurisprudenza francese conosce bene, soprattutto dopo il caso Lafarge in Siria, dove la Corte ha aperto la strada alla contestazione della complicità in crimini contro l’umanità per un’impresa che aveva finanziato un attore armato. L’interrogativo, ora come allora, è lo stesso: un’impresa poteva prevedere che il proprio supporto logistico potesse tradursi in violazioni? E se sì, ha fatto abbastanza per prevenirle?
TotalEnergies, dal canto suo, respinge ogni accusa. Sostiene che nel 2021, dopo l’attacco di Palma, il sito fosse evacuato, che non avesse ricevuto alcuna segnalazione credibile sulle presunte violenze e che solo nel settembre 2024, quando emersero le prime inchieste giornalistiche, abbia avviato verifiche interne senza trovare riscontri. Nel marzo 2025 la compagnia ha dichiarato di aver chiesto formalmente al governo mozambicano di aprire un’indagine ufficiale e alla Commissione Nazionale dei Diritti Umani del Mozambico di condurre una verifica indipendente, impegnandosi a rendere pubblici i risultati. Una presa di posizione che mostra consapevolezza della delicatezza del caso, ma che non cancella i dubbi sul passato.
Nel frattempo, le autorità mozambicane oscillano tra aperture e negazioni. La Procura Generale ha annunciato nel 2025 un’indagine sui presunti abusi del 2021, la CNDH ha fatto sapere di aver avviato una sua valutazione, mentre il Ministero della Difesa continua a negare qualsiasi responsabilità. Per i capivillaggio di Palma e per molte ONG, l’unica vera garanzia resterebbe comunque un’inchiesta ONU con poteri pienamente indipendenti. Per il consorzio, invece, è già evidente il peso di queste accuse: il progetto LNG è strategico sul piano economico e geopolitico e una spirale giudiziaria potrebbe irrigidire i finanziamenti pubblici, complicare i rapporti con le agenzie di credito all’export e aumentare i costi di sicurezza.
Intanto, fuori dal recinto blindato di Afungi, la vita resta appesa a un equilibrio precario. Cabo Delgado è una provincia segnata da otto anni di insurrezione, migliaia di morti e decine di migliaia di sfollati. Le comunità lamentano da anni compensazioni insufficienti, restrizioni alla pesca, spostamenti forzati, promesse di sviluppo rimaste sulla carta. L’arrivo delle forze del Ruanda e della SADC ha migliorato la situazione in alcune zone, ma la pace è tutt’altro che consolidata. Quando, nell’autunno 2025, il governo mozambicano parla di “condizioni soddisfacenti” per riprendere il progetto, molti leader locali protestano: chiedono verità sui container, giustizia per i familiari delle presunte vittime e garanzie che ciò che è accaduto non possa accadere di nuovo.
La posta in gioco supera il destino del singolo progetto. Afungi diventa un caso-simbolo che parla a tutto il settore energetico: mostra come l’esternalizzazione della sicurezza in zone di conflitto possa trasformarsi in un rischio giudiziario esistenziale. Basta un accordo mal definito, un monitoraggio insufficiente, un allineamento solo formale ai Voluntary Principles, e ciò che dovrebbe essere un protocollo di protezione può diventare un boomerang legale. In un mondo in cui i grandi progetti industriali si spingono sempre più ai margini della stabilità geopolitica, la sicurezza non è più un dettaglio operativo, ma una linea rossa.
Il paradosso è tutto qui: il gas rappresenta per Maputo una promessa di sviluppo, per l’Europa un’opzione di diversificazione, per TotalEnergies un pilastro della sua strategia LNG al 2029 e oltre. Ma la stabilità di un investimento non si misura solo in barriere, pattuglie o memorandum. Si misura nella fiducia delle comunità coinvolte, nella trasparenza delle indagini, nella capacità di ammettere che nessun profitto può giustificare anche solo la possibilità che un uomo venga lasciato morire in un container bollente. Afungi lo ricorda con una forza brutale: la sicurezza non è qualcosa che si appalta e poi si dimentica. È un rischio che, se ignorato, può trasformarsi in responsabilità penale. Ma prima ancora dei tribunali, resta un test morale su chi quei contratti li firma.
Edicola digitale
I più letti
Ultimi Video
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.