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“Indivisibili”: il grido politico della marcia trans di Torino

La marcia del 22 novembre chiede dignità, autodeterminazione e sicurezza reale.

“Indivisibili”: il grido politico della marcia trans di Torino

“Indivisibili”: il grido politico della marcia trans di Torino

Non serve attendere un’altra emergenza per accorgersi che i diritti non vivono di inerzia.

Lo si capisce guardando Torino, che sabato 22 novembre tornerà ad accogliere la Trans March*, una marcia che da anni non si limita a chiedere ascolto ma lo pretende. E in un momento storico in cui la politica parla molto di sicurezza e poco di dignità, l’evento assume il sapore di un test sulla capacità della città – e del Paese – di ricordare chi finisce schiacciato ai margini. Il claim scelto, “Indivisibili”, è già un programma: non una parola di circostanza, ma un messaggio rivolto a chi pensa di poter dividere, isolare, marginalizzare.

La partenza sarà da piazza Palazzo di Città, davanti al Municipio. Un luogo simbolico scelto per dire chiaramente che la comunità trans* non intende restare fuori dalle stanze dove si decide. «Serve cambiare prospettiva» afferma Luca Minici, coordinatore del Torino Pride. Una frase apparentemente semplice che però rovescia l’idea dominante: non è chi subisce violenza o pregiudizio a doversi adattare alla città, ma la città a doversi misurare con chi la abita davvero. Una città sicura non nasce da telecamere e manganelli: nasce dal sostegno, dalle reti, dalla prossimità. Per chi ogni giorno viene guardato con sospetto, l’autodeterminazione non è un concetto astratto: è la differenza tra vivere e sopravvivere.

La Trans* March si svolge in occasione del Transgender Day of Remembrance, il TDoR, che ogni 20 novembre ricorda le persone trans* uccise o spinte al suicidio dall’odio. Sono dati che non compaiono nelle prime pagine dei giornali, ma che pesano come macigni: fra il 1° ottobre 2024 e il 30 settembre 2025 sono state uccise 343 persone trans* nel mondo, 2 in Italia. Numeri sottostimati, perché molte vite svaniscono senza essere riconosciute, senza un nome davvero pronunciato. Parlare di sicurezza senza guardare questi numeri significa ignorare la realtà.

Il tema dell’unità attraversa tutto il lavoro politico della marcia. Lo ricorda Sofia Darino, del tavolo Trans* March: «Le nostre lotte sono molte e diverse, ma nessuna può essere vinta da sola». Una frase che, in tempi di frammentazione, suona quasi controcorrente. Perché se c’è un tratto comune nei discorsi d’odio è proprio lo sforzo costante di dividere. Separare i “normali” dai “diversi”, le identità riconosciute da quelle non previste, chi merita ascolto da chi deve restare invisibile. La Trans* March reagisce a questa retorica non con un semplice slogan, ma con un modello di comunità che tiene insieme differenze, storie, vissuti e traumi.

Il manifesto politico di quest’edizione non si nasconde dietro formule diplomatiche. Parla di «grande onda della destra conservatrice», di un governo che vuole persone «invisibili, obbedienti», di identità che la storia ha tentato di cancellare. La forza del testo sta proprio nella sua limpidezza: non ha paura di nominare chi attacca, chi ostacola, chi trasforma la parola “valori” in uno strumento di controllo. Ma ha anche un’altra qualità: restituisce dignità alla resistenza quotidiana di chi, ogni giorno, afferma la propria esistenza come un atto politico. È lì che la marcia trova la sua ragione: non nella rivendicazione astratta, ma nella difesa concreta della possibilità di esistere.

Lo sottolinea con parole ancora più dure Piero Lo Surdo, del tavolo di lavoro Trans* March: in Italia, ottenere documenti che rispecchino la propria identità «sembra ancora un capriccio». E la scuola, che dovrebbe essere il luogo dove si impara a vivere insieme, è spesso filtrata dal consenso di chi vede l’educazione affettiva e sessuale come una minaccia, alimentando stigma e ignoranza. Lo Surdo non fa giri di parole: «Siamo stufə di passare da un ufficio all’altro, da una diagnosi all’altra». La verticalità istituzionale – quella che decide chi è “idoneə” e chi no – continua a governare le vite delle persone trans*, imponendo percorsi a ostacoli che hanno poco a che fare con la tutela e molto con il controllo.

Se la marcia esiste, è perché fuori dalle piazze il modello binario continua a essere il filtro attraverso cui si decide cosa è legittimo e cosa no. Eppure, proprio a Torino, negli ultimi anni è cresciuto un laboratorio di pratiche diverse, di alleanze, di costruzione collettiva. Gli eventi che hanno anticipato la Trans* March lo raccontano bene: dall’assemblea del 29 ottobre al circolo Kontiki alla serata AperiTrans del 5 novembre a CasArcobaleno, fino al talk Due morsi di transfemminismo al Magazzino sul Po, in collaborazione con Non Una Di Meno Torino. Ogni incontro non è stato un semplice appuntamento, ma un tassello di un percorso condiviso.

C’è poi un gesto simbolico potente: il Patchwork di comunità, un grande tessuto costruito da scampoli donati dalle persone, cucito insieme il 17 novembre a CasArcobaleno. Non è solo un’opera collettiva, è una metafora visiva della marcia: nessun pezzo è uguale all’altro, ma tutti contribuiscono allo stesso disegno. Lo porteranno in strada, come segno dell’unità che il claim vuole difendere.

Il percorso del corteo attraverserà via Milano, via Pietro Micca, piazza Castello, via Po, via Accademia, via Principe Amedeo, fino all’arrivo in piazza Carignano, dove si terranno i discorsi finali. Il Coordinamento Torino Pride ha lavorato perché la marcia sia accessibile: mappa interattiva, aree tranquille, spazi non affollati, tappi per le orecchie, interpreti LIS. È un modo per ricordare che l’inclusione non si dichiara: si costruisce.

L’immagine della Trans* March 2025 è firmata da Micaele Carrieri (butchtw.ink), classe 2002. Il suo racconto visivo ruota intorno alla cura reciproca, ciò che spesso manca fuori dalle comunità queer. Disegnare, dice, è il suo modo di partecipare, di restituire qualcosa a chi l’ha accolto. Anche questo è un dettaglio che dice molto: mentre il dibattito pubblico si arena sulle identità come se fossero categorie, chi vive quelle identità costruisce linguaggi, relazioni, forme nuove per raccontarsi.

Il TDoR, istituito nel 1999 a San Francisco in memoria di Rita Hester, non è una celebrazione, ma un esercizio di memoria civile. Ricordare chi non c’è più significa prendere una posizione, anche scomoda, contro una società che preferisce rimuovere ciò che la mette di fronte alle sue responsabilità. La marcia di Torino rinnova questo impegno: raccogliere i nomi delle vittime significa impedire che la loro esistenza venga cancellata due volte.

La domanda centrale, alla fine, è semplice: cosa dice di noi una città che permette ancora tanta invisibilità? La Trans* March risponde portando in strada la complessità, la fragilità e la forza di una comunità che non ha più intenzione di chiedere permesso. Non si tratta solo di una marcia: è un atto di resistenza collettiva, una richiesta politica precisa, un invito alla città a guardarsi allo specchio.

Se è vero che la libertà di una persona è la libertà di tuttə, allora ciò che accadrà il 22 novembre non riguarda solo le persone trans*: riguarda Torino, riguarda l’Italia, riguarda il modo in cui intendiamo vivere insieme. Perché nessuna democrazia può dirsi compiuta se continua a permettere che qualcuno viva sotto la minaccia costante dell’odio. La marcia lo ricorda a tutti, con una semplicità che non lascia scuse: siamo qui, siamo visibili e siamo indivisibili.

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