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La denuncia di Jolanda Renga scuote la Commissione Femminicidi: il ricatto, l’odio online e il suo appello per portare l’educazione affettiva nelle scuole elementari

La 21enne, accompagnata da Ambra Angiolini, racconta ai parlamentari il messaggio estorsivo, la paura dell’Ai e la violenza dei commenti: “Vulnerabile, colpita nella dignità”

Jolanda Renga e sua madre Ambra

Jolanda Renga e sua madre Ambra

Un’audizione lunga, intensa, capace di riportare alla luce ogni dettaglio delle ultime settimane. Jolanda Renga, 21 anni, ha raccontato davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio il tentativo di ricatto subito, la spirale d’odio online che ne è seguita e la convinzione, oggi più forte che mai, che l’educazione sessuo-affettiva debba entrare nelle scuole “sin da piccoli”. Al suo fianco, per tutta la durata dell’audizione, la madre Ambra Angiolini, seduta alla sua destra in silenzio mentre la figlia ripercorreva ogni passaggio.

Jolanda 

«Il 10 ottobre ho ricevuto un messaggio da un numero sconosciuto con un prefisso americano che diceva: “Pubblicherò a mezzanotte le foto che ho di te nuda e dì pure ad Ambra, mia mamma, che se non riceverò 10mila euro ti rovinerò la vita”. In quell’istante mi sono sentita senza difese, in imbarazzo di fronte alla parola “nuda”». Con queste parole, la giovane ha aperto la sua testimonianza, descrivendo lo shock provato di fronte alla minaccia e al timore che immagini – vere o manipolate – potessero essere diffuse senza alcuna possibilità di impedirlo. Un timore alimentato dall’uso distorto dell’intelligenza artificiale, come nel caso delle donne “spogliate” digitalmente e pubblicate su siti sessisti.

«Mi sono sentita vulnerabile», ha raccontato, spiegando come l’attacco avesse colpito il punto più fragile: «la mia dignità». Da lì, la paura che anche foto manipolate sarebbero potute finire online, nel vortice di ricondivisioni e giudizi che – ha detto – rappresentano le costanti di ogni violenza digitale: «Ci sono sempre due costanti che accompagnano la diffusione di queste immagini vere o manipolate: le migliaia di ricondivisioni sui social e sui gruppi nel privato, e i giudizi terribili che scavano dentro di te come persona».

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La reazione pubblica, ha sottolineato Jolanda, è stata tutt’altro che solidale. Anzi. Durante l’audizione ha scelto di leggere alcuni dei commenti ricevuti dagli hater dopo aver reso pubblica la denuncia. «Se non avevi foto nuda, di che ti preoccupi?». «I problemi sono altri». E ancora: «Che dentoni, ma quanto è brutta». Commenti firmati, ha precisato, da “tutte persone adulte”, che hanno reso ancora più evidente il problema culturale alla base di questa violenza.

Accanto all’odio, però, c’è stata la rete di protezione garantita dalla sua famiglia: il padre, il cantante Francesco Renga, il primo a cui si è rivolta quel 10 ottobre; la madre; il fidanzato. Un sostegno che l’ha spinta a denunciare non solo alle forze dell’ordine, ma anche pubblicamente, sui social e in televisione. Una scelta compiuta – ha ribadito – non per “cercare visibilità o compassione”, ma per aiutare «chi si sente solo», chi subisce la stessa violenza senza avere la forza o la possibilità di esporsi.

Rispondendo alle domande dei parlamentari, Jolanda ha rilanciato un tema che ritiene centrale: la scuola. «La speranza è che anche gli studenti di oggi possano avere l’opportunità di confrontarsi con degli adulti formati e specializzati, sin da quando si è piccoli». È lì, nelle classi delle scuole elementari, che secondo lei deve iniziare l’educazione sessuo-affettiva, per fornire strumenti, linguaggio e consapevolezze ai bambini che saranno gli adulti di domani.

La sua testimonianza, durata quasi un’ora, ha riportato al centro dell’aula non solo un caso personale, ma un nodo culturale enorme, che riguarda la violenza digitale, la potenza distruttiva dell’odio online e l’urgenza di educare alle relazioni, al rispetto, alla consapevolezza del corpo e dell’altro, prima che sia troppo tardi.

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