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13 Novembre 2025 - 15:04
Tumori, individuata una disfunzione molecolare che indebolisce i muscoli: la scoperta dei ricercatori torinesi (immagine di repertorio)
Una scoperta italiana contribuisce a chiarire uno dei fenomeni più drammatici legati ai tumori in stadio avanzato: la cachessia, la sindrome che provoca una progressiva e grave perdita di massa e forza muscolare fino a colpire l’80% dei pazienti oncologici. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Torino e dell’Università del Piemonte Orientale ha individuato un meccanismo molecolare che coinvolge una disfunzione dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule muscolari, descrivendo come la malattia comprometta la capacità dei muscoli di generare energia. Il risultato è stato pubblicato sulla rivista Nature Metabolism con l’articolo “Impaired cAMP-PKA-CREB1 signalling drives mitochondrial dysfunction in skeletal muscle during cancer cachexia”.
La ricerca evidenzia come il tumore, durante la sua crescita, liberi nel sangue fattori capaci di alterare la funzionalità delle fibre muscolari. Questi segnali interferiscono con la via cAMP-PKA-CREB1, un asse molecolare fondamentale nella regolazione della biogenesi mitocondriale e del metabolismo energetico. Quando questa via è compromessa, i mitocondri non riescono più a produrre un quantitativo sufficiente di energia, portando a una perdita progressiva della capacità dei muscoli di svolgere funzioni essenziali come camminare, mantenere la postura o respirare.
Il professor Andrea Graziani, docente di Biochimica all’Università di Torino, chiarisce il punto centrale dello studio: «La novità di questa ricerca sta nel fatto di aver approfondito i meccanismi molecolari che nei muscoli dei pazienti oncologici causano la perdita della capacità di generare energia, riducendone quindi la forza. Le fibre muscolari interpretano il messaggio ricevuto dal tumore, riducendo la capacità di produrre energia, mediante un meccanismo molecolare comune che il nostro gruppo ha cominciato a caratterizzare».

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Il fenomeno, tuttavia, va inserito in un quadro più ampio. La cachessia non è un semplice effetto collaterale dell’avanzare della malattia o della malnutrizione, ma un processo biologico complesso che coinvolge metabolismo, infiammazione e degradazione proteica. Diverse pubblicazioni scientifiche internazionali hanno documentato come la disfunzione mitocondriale nei muscoli sia un segno distintivo della sindrome: in vari modelli sperimentali, la riduzione della capacità ossidativa e dell’ATP precede la perdita visibile di tessuto muscolare, suggerendo che il deficit energetico sia un fattore scatenante, non solo una conseguenza.
Alcuni studi hanno anche sottolineato come la chemioterapia possa aggravare ulteriormente il problema, danneggiando la funzionalità mitocondriale e accelerando il processo di deperimento muscolare. Altri filoni di ricerca hanno analizzato il ruolo dell’autofagia e del gene MYTHO, coinvolto nel turnover proteico: una sua alterazione sembra favorire una degradazione accelerata delle fibre nei pazienti affetti da tumore o sepsi. Parallelamente, la modulazione dei livelli di NAD⁺ tramite integrazione di niacina è stata studiata per migliorare lo stato energetico dei mitocondri nei modelli animali di cachessia, con risultati preliminari promettenti.
Anche le tecniche più avanzate di analisi genomica hanno aperto nuovi scenari. Studi basati su osservazioni single-cell e single-nuclei multi-omics suggeriscono che la cachessia possa coinvolgere anche fenomeni di denervazione muscolare e alterazioni della rigenerazione delle fibre. Questi elementi rafforzano l’idea che la sindrome sia una patologia multisistemica, capace di colpire non solo il muscolo ma l’intera rete che regola la sua funzionalità.
La scoperta dei ricercatori torinesi e piemontesi assume quindi un valore strategico, perché per la prima volta individua un bersaglio molecolare preciso a livello muscolare, aprendo la strada a terapie mirate contro la cachessia. Al momento, infatti, non esistono trattamenti approvati in grado di contrastare efficacemente la perdita di massa muscolare nei pazienti oncologici. Intervenire su una via molecolare come cAMP-PKA-CREB1 significa avere un punto di ingresso potenzialmente decisivo per sviluppare farmaci capaci di ripristinare la funzionalità dei mitocondri e rallentare – o prevenire – il deperimento muscolare.
La speranza è che questa scoperta possa trasformarsi, nei prossimi anni, in una nuova generazione di terapie in grado di contrastare una condizione che riduce in modo drastico l’autonomia e la qualità della vita dei pazienti, rappresentando una delle complicanze più pesanti dei tumori in fase avanzata.

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