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12 Novembre 2025 - 19:11
A Settimo Torinese il Dado sta per riaprire. Di nuovo. E questa volta — giurano dal Comune — “per davvero”. Dopo quindici anni di promesse, carte, revisioni e tagli di nastro mancati, il nuovo edificio di via Milano è pronto a ospitare dieci alloggi “di alta qualità abitativa”.
Otto finiranno a famiglie in lista d’attesa per una casa popolare, uno a persone fragili, l’ultimo al misterioso facilitatore di comunità. Le chiavi, assicurano dall’Amministrazione, verranno consegnate il 13 novembre.
Un traguardo? Forse. Ma anche la fine di una commedia lunga una generazione, in cui il Dado è diventato il simbolo perfetto di una città che annuncia più di quanto realizza, che parla, straparla e spesso conclude qualcosa di diverso da ciò che aveva promesso.
Perché il Dado, a Settimo, non è solo un edificio: è una parabola. Una di quelle storie che cominciano con entusiasmo e finiscono con una delibera. Doveva essere un modello di inclusione, oggi è la metafora di una burocrazia che rotola su sé stessa. Eppure, nel nuovo comunicato trionfale, il Comune si racconta come se fosse all’alba di una rivoluzione.
Si parla di “zero emissioni”, “pannelli fotovoltaici”, “materiali innovativi” e “comunità solidali”. Tutto bellissimo, tutto luccicante. “L’edificio è di alta qualità, vicino alle zero emissioni, strutturato per favorire la costruzione di una piccola comunità inserita nel quartiere”, dichiara l’assessore Alessandro Raso in un comunicato stampa.
Poi arriva Umberto Salvi, che annuncia con enfasi: “Un alloggio sarà destinato a persone fragili, in collaborazione con Regione Piemonte, Asl e Unione NET.”
E infine, come sempre, entra in scena Elena Piastra, la sindaca “visionaria”, madrina ufficiale del progetto: “L’obiettivo è promuovere l’inclusione sociale”, spiega, ricordando che il primo Dado, avviato nel 2009 e mai decollato per “problemi di agibilità”, oggi è stato finalmente “rilanciato”.
Rilanciato sì, ma dopo quindici anni di correzioni, riscritture, bandi deserti e delibere “immediatamente eseguibili”.
Tutto comincia nel lontano 2008, quando il Comune decide di dare nuova vita a un vecchio stabile di via Cottolengo, affidandolo all’associazione Terra del Fuoco. L’idea era tanto semplice quanto ambiziosa: creare un condominio solidale per famiglie rom provenienti da insediamenti irregolari, accompagnandole verso l’autonomia. Un esperimento sociale, un laboratorio di convivenza.
Il Dado — lo chiamavano così perché doveva rotolare verso il futuro.
Poi la storia si complica. Gli anni passano, i fondi finiscono, l’entusiasmo evapora. Il Dado resta lì, mezzo chiuso e mezzo dimenticato, con dentro la promessa mai mantenuta di un’integrazione possibile.
Quando la sindaca “visionaria” Piastra decide di rilanciarlo, siamo già alla "botta di culo" e nell’epoca del PNRR e dei finanziamenti europei. L’occasione è ghiotta: rifare il Dado da capo, trasformarlo in un “Condominio Partecipato” con dieci alloggi popolari, un facilitatore di comunità e un sogno: fare dell’abitare un’esperienza collettiva, non un isolamento disperato. Il progetto entra nel Piano Nazionale Complementare con quasi 1,8 milioni di euro di fondi pubblici. I lavori partono, si annuncia l’imminente consegna, si scrivono comunicati, si fissano date.
Ma a Settimo le buone idee si perdono sempre nel labirinto degli atti. Il 28 agosto 2025 la Giunta approva la delibera n. 200, definendo gli “indirizzi attuativi” del nuovo Dado: durata quinquennale, figura del facilitatore, 10 ore settimanali di presenza, alloggio A3 al piano terra, canone simbolico di 100 euro.
Tutto pronto, tutto “immediatamente eseguibile”. Peccato che nella stessa delibera si legga che i due candidati selezionati hanno rinunciato e che l’alloggio del facilitatore non è stato ancora assegnato. In pratica, si approva un progetto già bloccato. E poi la perla: si riconosce che “occorre individuare un altro soggetto facilitatore”, valutandone “non solo il titolo accademico, ma le competenze socio-sanitarie e interculturali”. Tradotto: ci si accorge all’ultimo che serve una figura diversa da quella pensata. Da chi? Dalla sindaca, ovvio.
Il 1° settembre, con la determinazione dirigenziale n. 832, si riparte da capo. Nuovo bando, nuova durata (24 mesi rinnovabili invece dei cinque anni iniziali), stesso alloggio da 48,46 metri quadrati, stesso canone. Ma con una precisazione: il facilitatore deve avere “competenze educative e sociali” per promuovere “la convivenza e l’animazione del condominio”. E qui la lentezza diventa sistema: ogni passaggio amministrativo si trasforma in un nuovo iter, ogni urgenza in un rinvio. Tutto, rigorosamente, “immediatamente eseguibile”.
Nel frattempo, il Comune prova ad allargare l’esperimento del co-housing. Nel 2023 approva una prima delibera per un progetto rivolto a donne in difficoltà. Poi, a fine 2024, arriva la copia al maschile: un co-housing in via Palestro per uomini adulti autosufficienti, con due anni di permanenza finalizzati al reinserimento sociale. Ma anche qui, come sempre, la realtà è più dura delle slide: a settembre 2025 la delibera n. 209 ammette che il progetto “non è stato possibile attivarlo”. Gli uomini selezionati? Quasi tutti oltre i 55 anni, con problemi di salute, situazioni economiche gravi e, in alcuni casi, precedenti giudiziari. Esattamente il profilo che il progetto non poteva accogliere.
E allora si cambia idea: l’alloggio diventa un co-housing femminile.
Il nuovo progetto, affidato alla Cooperativa Valdocco, riprende il modello già avviato: donne sole o con figli minori, in difficoltà abitativa, seguite da un supporto educativo per favorire formazione, lavoro e autonomia economica. Un’iniziativa che, secondo l’amministrazione, “si è dimostrata più efficiente ed efficace rispetto agli altri sistemi di supporto abitativo”. Ma anche qui, il copione non cambia: tutto “immediatamente eseguibile”, tutto da riattivare, tutto in attesa che qualcuno firmi, verifichi, assegni.
Alla fine, il Dado è la parabola perfetta della macchina comunale che naviga a vista senza una idea chiara che sia una... . Si è partiti da un esperimento sociale per l’inclusione, si è passati a un progetto di edilizia pubblica, si è approdati a un co-housing diviso per genere. E oggi, a quasi vent’anni dal primo Dado, ci sono dieci alloggi pronti, un facilitatore e una comunità che dovrebbe “favorire processi di inclusione e coesione sociale”, come recita la L.R. 3/2010.
Solo che, a Settimo, i processi sembrano più "accazzo" che sociali.


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