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12 Novembre 2025 - 18:00
Trump dichiara guerra alla BBC: “Mi hanno massacrato il discorso”. Minaccia una causa da un miliardo di dollari
Donald Trump dichiara guerra alla BBC. Accusa l’emittente pubblica britannica di aver manipolato il suo discorso del 6 gennaio 2021 e minaccia una causa da un miliardo di dollari. Una stanza illuminata dai riflettori, la sigla di un talk show conservatore, la voce di Trump che scandisce: “Ho l’obbligo di far causa alla BBC”. È notte fonda negli Stati Uniti quando va in onda la clip di The Ingraham Angle, e il lessico del contenzioso — “massacrato”, “frodato” — si mescola all’eco lontana di una data: il 6 gennaio 2021. È il film già visto del discorso che precedette l’assalto a Capitol Hill, ma con un’aggiunta che ne cambia la cornice: l’accusa che un documentario di Panorama ne abbia “alterato” il senso, fondendo due passaggi separati e dando l’impressione di un incitamento diretto alla violenza. L’ex presidente dice di essere pronto a chiedere 1 miliardo di dollari di danni. E a Londra, nel frattempo, due figure ai vertici della BBC — Tim Davie e Deborah Turness — si sono dimesse, mentre il presidente del Board Samir Shah ha parlato di un “errore di giudizio”.

Secondo la ricostruzione riportata dalla stessa BBC, Trump afferma che il suo discorso del 6 gennaio 2021 sia stato butchered — “massacrato” — nel montaggio del programma Trump: A Second Chance?, trasmesso nell’ottobre 2024. A suo dire, il documentario avrebbe unito la frase “Andremo al Campidoglio e faremo il tifo per i nostri coraggiosi senatori e deputati” con il ben più teso “Combatteremo, combatteremo come l’inferno”, pronunciato in un altro momento, generando l’impressione di un invito diretto alla rivolta. “Hanno frodato il pubblico”, ha dichiarato a Fox News, aggiungendo che si sente “obbligato ad agire”.
Gli avvocati di Trump hanno inviato una lettera formale all’emittente pubblica britannica fissando una scadenza: entro le 22:00 GMT di venerdì (le 17:00 EST) la BBC dovrebbe offrire una retractation completa, scusarsi e risarcire il presidente; in caso contrario, si procederà con un’azione legale per non meno di 1 miliardo di dollari. La BBC ha confermato di aver ricevuto la lettera e di voler rispondere “a tempo debito”.
I verbali e le trascrizioni del discorso aiutano a fissare i punti. Nel comizio a Washington, Trump disse: “So che ognuno qui presto marcerà sul Campidoglio per far sentire le vostre voci pacificamente e patriotticamente”, ma più avanti aggiunse: “Noi combattiamo, combattiamo come l’inferno; se non combatti come l’inferno, non avrai più un Paese”. Questi passaggi — separati nel tempo — sono stati al centro della controversia sul montaggio di Panorama. Il quadro è noto: i sostenitori furono invitati a “camminare fino al Campidoglio”, a “fare il tifo” per i parlamentari; poi il crescendo retorico sul “combattere come l’inferno”. La sequenza, secondo i critici, può essere letta come un doppio registro: da un lato l’appello alla protesta “pacifica”, dall’altro la retorica della lotta tipica dei comizi di Trump.
La polemica non si è fermata al piano americano. In Regno Unito, la gestione del caso ha innescato un terremoto ai vertici della BBC. Il direttore generale Tim Davie e la CEO di BBC News Deborah Turness hanno rassegnato le dimissioni, mentre Samir Shah ha scritto al Parlamento parlando di un “errore di giudizio” sul montaggio. Secondo Shah, la scelta era nata con l’intento di “aiutare il pubblico a capire come il discorso fosse stato recepito dai sostenitori di Trump”, ma con il senno di poi “occorreva intervenire prima e meglio”. La stessa BBC ha rimosso il documentario dalle proprie piattaforme.
La vicenda ha assunto dimensione politica. Il primo ministro Keir Starmer ha ribadito il sostegno a un’“indipendente BBC”, evitando però di chiedere a Trump di ritirare la minaccia di causa. Dall’opposizione e dai Liberal Democratici sono arrivate pressioni affinché la tv pubblica resista a “interferenze esterne”, mentre all’interno della Corporation si discute di governance, standard editoriali e riforme del Board.
Il punto cruciale resta l’ammissione: la BBC ha riconosciuto che l’editing “poteva dare l’impressione” di un invito diretto all’azione. Una frase che pesa come un macigno in un ecosistema mediatico iperpolarizzato. È una presa d’atto che non equivale a confessare una manipolazione intenzionale, ma basta a esporre l’emittente a un rischio giuridico e, soprattutto, a un costo reputazionale. La BBC insiste nel negare un bias sistemico, ma ammette che “errori” siano stati commessi e che la risposta interna non sia stata tempestiva.
A fronte della minaccia di una causa civile in Florida, vari esperti segnalano tre ostacoli principali. La giurisdizione: il documentario di Panorama non risulta trasmesso negli Stati Uniti. La difesa potrebbe sostenere che l’opera non fosse “pubblicata” in Florida, requisito indispensabile per fondare la competenza del tribunale. La presenza della BBC con uffici a New York e Los Angeles, tuttavia, complica il quadro. Lo standard dell’“actual malice”: secondo la storica sentenza New York Times v. Sullivan, un personaggio pubblico deve dimostrare che la dichiarazione contestata fosse non solo falsa e diffamatoria, ma anche pronunciata “con conoscenza della falsità o con spericolato disinteresse per la verità” — un’asticella notoriamente alta. I danni: chiedere 1 miliardo di dollari impone di provare perdite concrete di quella portata. Dopo il ritorno sulla scena politica e con attività economiche tuttora floride, dimostrare un danno di tale entità appare, secondo alcuni giuristi, poco realistico.
C’è anche la questione del tempo: nel Regno Unito i termini per un’azione di diffamazione sarebbero già scaduti (limite di un anno dall’emissione del programma nell’ottobre 2024), mentre in Florida il limite è di due anni e consentirebbe a Trump di agire. La strategia dell’ex presidente — secondo i legali consultati dai media internazionali — punterebbe a dimostrare che la BBC avesse “saputo” del rischio di fraintendimento e abbia comunque diffuso il montaggio. In questo quadro rientrerebbe il memo interno di Michael Prescott, ex consulente per gli standard editoriali della BBC, che avrebbe segnalato criticità nella costruzione del filmato. In fase di discovery, la difesa di Trump cercherebbe eventuali email o appunti che provino un disinteresse temerario per la verità o una deliberata alterazione.
Dall’altra parte, la BBC potrebbe sostenere che il programma fosse sostanzialmente vero nel rappresentare il “clima” e la “ricezione” del discorso, invocando le tutele del Primo Emendamento e le norme anti-SLAPP della Florida, che consentono di archiviare rapidamente cause considerate pretestuose contro la libertà di espressione. La Corporation potrebbe inoltre contestare il nesso causale con un danno effettivo di 1 miliardo e ribadire l’assenza di malizia.
Non è irrilevante il palcoscenico scelto da Trump: la sua intervista a Fox News è stata registrata lunedì e diffusa in parte martedì sera (ora USA), con indicazioni precise sui termini dati alla BBC. La circolazione del frammento — ripresa da agenzie, giornali e tv in Europa — ha moltiplicato l’effetto eco del messaggio politico e del preannuncio legale. È un copione che l’ex presidente conosce bene: annunciare la causa, fissare una deadline, spostare il baricentro del dibattito sull’attendibilità del media avversario.
Le dimissioni di Tim Davie e Deborah Turness non nascono in un vuoto. Arrivano nel mezzo di una discussione più ampia sulla governance della BBC, sulla composizione del Board, sulle interferenze politiche e sul processo di rinnovo della Royal Charter ormai alle porte. Il dossier Prescott — con rilievi non solo su Trump ma anche su Gaza e sulle questioni di identità di genere — ha alimentato la percezione di una crisi di imparzialità. Se da un lato c’è chi parla di “coup” contro i vertici, dall’altro si invocano riforme strutturali e standard più stringenti sui montaggi. La verità, come spesso accade, sta anche nei tempi: i rilievi interni, ha ammesso Samir Shah, non si sono tradotti in atti formali quando sarebbe stato opportuno.
L’affaire tocca corde sensibili. Per i sostenitori di Trump, la BBC è la prova della disonestà dei media mainstream; per i difensori dell’emittente, il rischio è di legittimare una lawfare capace di raffreddare l’inchiesta giornalistica. Nel mezzo, un dato: il riconoscimento di un “errore” da parte della BBC. Se quel gesto — giuridicamente cauto — possa essere usato come prova di “actual malice” è tutto da vedere; nel diritto statunitense, ammettere una svista non equivale automaticamente a confessare un intento doloso. Ma sul piano politico e reputazionale il danno è già fatto: il broadcaster pubblico più famoso al mondo è al centro di una contesa ad alta tensione transatlantica.
Al di là del verdetto di un tribunale, lo scontro Trump–BBC è il sintomo di qualcosa di più profondo: la fragilità della fiducia. Le immagini di Capitol Hill restano scolpite nella memoria pubblica, così come i numeri dell’inchiesta e delle condanne seguite a quell’attacco. Il montaggio contestato riapre la ferita di un’informazione che, nell’economia dell’attenzione, cede talvolta al didascalismo del “far capire” anche quando il rischio è distorcere. In questo contesto, la trasparenza sui processi produttivi — specie nelle docu-inchieste — è più che mai un bene pubblico.
Se la BBC non offrirà una risposta ritenuta sufficiente, gli avvocati di Trump potranno depositare il ricorso in Florida. Il giudice sarà chiamato a valutare giurisdizione e merito: un’eccezione preliminare di difetto di giurisdizione potrebbe chiudere il caso rapidamente. Qualora si arrivasse alla discovery, il nodo sarà l’esistenza o meno di documenti che provino la consapevolezza di un montaggio fuorviante. La BBC potrebbe chiedere un dismissal anticipato invocando protezioni costituzionali e norme anti-SLAPP. Intanto, a Londra, proseguirà il confronto politico sulla governance della BBC e sulla nomina dei nuovi vertici, con ripercussioni inevitabili sul clima in cui matureranno le scelte legali dell’emittente.
Nessuna battaglia legale potrà cancellare il fatto che il 6 gennaio 2021 resti uno spartiacque della democrazia americana. La cornice in cui si colloca il discorso di Trump — con i passaggi “peacefully and patriotically” e “fight like hell” — continuerà a essere interpretata e contestata. Ma proprio per questo, il metodo conta: chi racconta il potere, specie quando il potere parla in prima persona, deve farlo con aderenza filologica al testo e al contesto. È la differenza tra ricostruzione e narrazione: l’una rischia il tribunale se scivola nella superficialità, l’altra rischia di perdere i cittadini se smette di essere credibile.
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