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Iveco passa a Tata Motors, il governo assicura vigilanza: “Garantiremo l’interesse nazionale e la tutela dei lavoratori”

Urso annuncia un tavolo al Mimit e chiarisce: “Operazione industriale, ma sotto controllo dello Stato per difendere il sistema produttivo italiano”

Iveco passa a Tata Motors, il governo assicura vigilanza: “Garantiremo l’interesse nazionale e la tutela dei lavoratori”

Iveco passa a Tata Motors, il governo assicura vigilanza: “Garantiremo l’interesse nazionale e la tutela dei lavoratori” (foto: ministro Urso)

La cessione di Iveco Group a Tata Motors non è un semplice affare economico. È una questione che tocca la storia industriale italiana, il destino di migliaia di lavoratori e l’identità stessa del Piemonte produttivo. Proprio per questo il governo ha deciso di intervenire apertamente, assicurando che la tutela dell’interesse nazionale sarà garantita attraverso ogni strumento disponibile.

Davanti alla Commissione Attività produttive della Camera, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha dichiarato che “il governo garantirà il rispetto dell’interesse nazionale, vigilando affinché l’operazione si sviluppi nel pieno rispetto dei vincoli fissati”. Secondo quanto illustrato dal ministro, Tata Motors avrebbe già espresso la volontà di mantenere la sede principale di Iveco a Torino e di garantire la piena operatività degli stabilimenti italiani. Urso ha inoltre sottolineato che le attività dei due gruppi sono “fortemente complementari”, poiché non si sovrappongono né sul piano produttivo né su quello geografico, e ha annunciato la convocazione di un tavolo al Mimit entro dicembre per monitorare da vicino le evoluzioni dell’accordo.

Il ministro ha spiegato che il gruppo indiano intende ampliare la propria base produttiva in Europa individuando in Iveco il perno della propria strategia di espansione nel continente e in quello americano. Un’operazione che, a suo giudizio, “rafforza la centralità dell’Italia nelle future scelte industriali del gruppo” e conferisce “solidità e prospettiva all’investimento”, grazie anche a impegni non finanziari sottoscritti dalle parti per la tutela dei livelli produttivi e occupazionali per almeno due anni. “Se l’accordo sarà ben gestito – ha aggiunto Urso – rappresenterà un’opportunità di sviluppo per i territori e per il nuovo assetto societario”.

Le dichiarazioni del ministro arrivano dopo mesi di tensione e di incertezza seguiti all’annuncio, lo scorso luglio, della cessione del gruppo italiano al colosso indiano. Iveco, fondata nel 1975 dalla fusione di cinque storiche aziende – FIAT Veicoli Industriali, OM, Lancia Veicoli Speciali, Unic e Magirus-Deutz – è da cinquant’anni un punto di riferimento della meccanica italiana. La sua sede principale è sempre stata a Torino, dove si concentrano progettazione, ricerca e direzione industriale, con stabilimenti attivi anche a Brescia, Bolzano e Foggia. Dopo la separazione da CNH Industrial nel 2022, Iveco Group è diventata una realtà autonoma quotata in Borsa, con circa 8.000 dipendenti in Italia e marchi come Iveco, FPT Industrial e Heuliez Bus.

Negli ultimi anni il gruppo ha dovuto fare i conti con una congiuntura difficile: calo dei ricavi, aumento dei costi di produzione, mercato sempre più competitivo e investimenti imponenti per la transizione verso veicoli a basse emissioni. La holding Exor N.V., controllata dalla famiglia Agnelli e azionista di riferimento, ha deciso di concentrare le proprie risorse in altri settori, aprendo così la strada alla cessione. Il 30 luglio 2025 è stato annunciato l’accordo con Tata Motors per l’acquisizione della divisione veicoli commerciali per circa 3,8 miliardi di euro, mentre la divisione Iveco Defence Vehicles è stata ceduta a Leonardo S.p.A. per 1,7 miliardi, così da mantenere in mani italiane la componente strategica legata alla difesa. L’operazione, complessivamente, ha un valore di circa 5,5 miliardi e punta a creare un gruppo industriale da 22 miliardi di euro di ricavi annui combinati.

L’annuncio ha sollevato forti preoccupazioni sindacali. La Fiom-Cgil e altre sigle dei lavoratori hanno chiesto garanzie concrete sulla tutela dei posti di lavoro e sulla permanenza degli stabilimenti, temendo che la nuova proprietà possa spostare parte delle produzioni all’estero. Da qui la richiesta di un intervento politico e istituzionale. Le parole di Urso vanno in questa direzione, con l’impegno esplicito a esercitare i poteri speciali dello Stato previsti dal Golden Power, lo strumento giuridico che consente al governo di bloccare o condizionare acquisizioni di aziende ritenute strategiche per la sicurezza e l’economia nazionale.

Il Golden Power, introdotto dal decreto-legge 21 del 2012, permette all’esecutivo di intervenire nei settori chiave come energia, trasporti, comunicazioni, difesa e tecnologie avanzate. L’obiettivo è evitare che operazioni di mercato compromettano la sovranità industriale o l’autonomia tecnologica del Paese. Nel caso Iveco, il ministero valuterà con attenzione l’impatto sull’occupazione, la salvaguardia dei centri di ricerca e sviluppo e la tutela del know-how maturato in decenni di produzione. Saranno esaminati anche gli impegni industriali e la trasparenza sugli investimenti futuri.

Definire Iveco “azienda di interesse nazionale” significa riconoscerne il ruolo strategico nel tessuto economico italiano. Non si tratta di una formula politica, ma di un concetto giuridico che identifica quelle imprese considerate indispensabili alla sicurezza e alla crescita del Paese. Lo Stato, in questi casi, si riserva il diritto di vigilare e, se necessario, di intervenire. È quanto accaduto in passato con Telecom Italia, Leonardo, Fincantieri o Italgas, tutte aziende sottoposte a forme di controllo statale per impedire che la gestione o la proprietà potessero mettere a rischio infrastrutture e interessi strategici.

Nel caso Iveco, l’interesse nazionale è evidente: la società rappresenta un presidio occupazionale e tecnologico fondamentale, non solo per Torino ma per l’intero Paese. I suoi stabilimenti generano un indotto diffuso su tutto il territorio e la filiera dell’automotive piemontese dipende in larga parte dalle sue commesse. Inoltre, la transizione verso la mobilità sostenibile, con la produzione di motori elettrici e ibridi per veicoli industriali, colloca Iveco in un segmento decisivo per l’innovazione italiana.

Dietro l’accordo con Tata Motors si intravedono potenziali opportunità, ma anche molte incognite. Il gruppo indiano, tra i più grandi produttori di veicoli al mondo, ha promesso investimenti e sviluppo in Europa, ma l’impegno vincolante sulla tutela degli stabilimenti italiani ha una durata limitata a due anni. È proprio su questo punto che il governo concentrerà la propria azione, assicurando continuità produttiva, salvaguardia dei posti di lavoro e mantenimento delle attività di ricerca nel capoluogo piemontese.

A Torino, dove Iveco ha radici profonde, la vicenda assume un valore simbolico. La città, che ha già vissuto la lunga stagione della crisi dell’automotive tradizionale e la trasformazione post-Fiat, vede nella cessione a Tata un nuovo snodo del proprio destino industriale. Gli stabilimenti torinesi, con le loro linee di produzione e i centri di sviluppo tecnologico, restano un punto di riferimento per l’intero settore dei veicoli industriali e della componentistica.

L’operazione Iveco-Tata racconta così due storie intrecciate: quella di un marchio italiano che cerca di sopravvivere in un mercato globale sempre più competitivo e quella di un governo deciso a non perdere il controllo dei propri asset strategici. Nelle parole di Urso si coglie la volontà di accompagnare l’operazione, ma anche di presidiare ogni passaggio, affinché la promessa di “espansione industriale” non si traduca, con il tempo, in un disimpegno progressivo dall’Italia.

Per il Piemonte, e per Torino in particolare, la sfida è enorme: salvaguardare il proprio ruolo nella filiera dell’automotive e continuare a rappresentare un punto di eccellenza nella produzione e nella tecnologia dei trasporti. Se l’accordo verrà gestito con equilibrio, potrà trasformarsi in un’occasione per rafforzare l’industria italiana e garantire un futuro alle sue competenze. In caso contrario, rischia di diventare l’ennesima tappa di una lunga stagione di cessioni e smantellamenti che hanno impoverito l’identità industriale del Paese.

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