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12 Novembre 2025 - 08:00
Da Torino 2006 a Milano Cortina 2026: cosa è cambiato?
Mancano poco più di tre mesi alla cerimonia che darà il via alle Olimpiadi invernali di Milano Cortina: 17 giorni, 16 discipline e 116 gare da medaglia.
In quei giorni, saranno trascorsi esattamente vent’anni da quel “Torino 2006” che tante speranze aveva riposto nelle comunità locali, negli appassionati di sport e negli investitori. Ma qual è stato il reale bilancio per la nostra comunità?
Quali insegnamenti sono stati tratti e quali messi in pratica per ridurre le inefficienze dell’esperienza che Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto stanno per vivere sotto lo sguardo attento e critico di tutto il pianeta?
La candidatura di Torino venne ufficialmente approvata dal CIO nel 1999, avendo la meglio su città simbolo degli sport invernali, come Helsinki, Klagenfurt e Sion.
La macchina organizzativa si mise immediatamente all’opera, riuscendo in un’opera immensa e di successo indubbio mediatico: le olimpiadi torinesi raggiunsero, tra dirette televisive e streaming online, ben 3,1 miliardi di persone (ben 2 miliardi per la sola cerimonia di apertura), a fronte dei 2 miliardi dell’edizione precedente, quella di Salt Lake City 2002.
Quell’ondata di dirette TV e streaming ha anticipato il modo in cui oggi viviamo lo sport: evento in TV, commenti sui social e, per molti tifosi, anche qualche giocata sulle piattaforme di scommesse estere.
L’Olimpiade del 2006 è stata l’occasione per cambiare il modo in cui il mondo vedeva il nord ovest italiano e il Piemonte in particolare: da centro industrioso e industrializzato a hub turistico e sportivo.
Nonostante un’evidente disparità di rappresentazione mediatica tra la città di Torino e le valli, così come denunciata dalle comunità montane, il turismo piemontese ha beneficiato dell’esperienza olimpica: se, nel 2000, i turisti di Torino erano 3 milioni all’anno e 8 milioni quelli di tutta la regione, dieci anni dopo, il capoluogo accoglieva 6 milioni di persone e tutto il Piemonte 12 milioni, cifra salita a oltre 15 milioni nel 2018.
Inoltre, aver ospitato i Giochi Olimpici a Torino ha generato 17,4 miliardi di euro per l’intera economia italiana, con un ritorno di investimento per la città di Torino calcolato tra 19 e 32 milioni di euro all’anno. Ma non è tutto oro ciò che luccica.
Non si può dire che i vantaggi arrivati alla città di Torino siano stati condivisi con le comunità di valle presso le quali si sono tenuti i giochi: Pinerolo, Pragelato, Sauze d’Oulx, Cesana Torinese, Sestriere e Bardonecchia hanno pagato e pagano ancora oggi le conseguenze negative delle Olimpiadi.
Anziché essere stata un’occasione per rilanciare la crescita economica il territorio, i giochi olimpici hanno generato costi elevati e una gestione post olimpica delle infrastrutture del tutto inefficiente. Per non fare che qualche esempio, la pista da bob di Bardonecchia e quella e da slittino di Cesana sono costate oltre 60 milioni di euro, ma tenerle in funzione oggi costa 2,2 milioni l’anno; idem per lo stadio del ghiaccio di Pinerolo, la pista da fondo e le altre strutture olimpiche delle valli.
Oggi, molte di queste strutture sono state declassate e non ospitano più gare ufficiali; durante i mesi invernali, i fruitori delle piste sono limitati ai pendolari del weekend e gli alberghi restano vuoti per tutta la settimana.
Il tutto da condire con un impatto ambientale che ha trasformato indelebilmente le valli piemontesi coinvolte nel progetto.
Un elemento che salta agli occhi nell’organizzazione di Milano Cortina 2026 è l’introduzione degli eventi diffusi come nuovo approccio sostenibile. La formula è già stata sperimentata in occasione dei mondiali di calcio Giappone e Corea nel 2002 e lo sarà anche l’anno prossimo, con la suddivisione dei match tra Stati Uniti, Canada e Messico, anche se il paragone con lo sport più diffuso al mondo probabilmente non reggerebbe ad un’analisi puntigliosa.
Il caso delle prossime olimpiadi invernali è comunque evidente: per evitare il sovraccarico territoriale delle comunità montane piemontesi e l’abbandono delle infrastrutture ad olimpiadi terminate, le aree olimpiche sono state suddivise tra i siti di Cortina, Val di Fiemme, Valtellina e Milano.
Inoltre, si è cercato di limitare la costruzione massiva di nuove infrastrutture, ovviando con l’utilizzo di strutture sportive preesistenti e con un fitto programma di nuove destinazioni d’uso a conclusione dei giochi olimpici. Esemplare il caso del villaggio di Cortina, pensato come temporaneo e ricollocabile.
Un altro punto fermo dell’organizzazione delle Olimpiadi Milano Cortina è stato quello di non imporre alle comunità montane delle strutture e delle realtà sportive che non fossero già integrate nel territorio prima dell’evento.
Questa è la teoria e, per avere un’idea di quello che sarà stato veramente dell’impatto sui territori e sulle comunità locali, si dovrà attendere la conclusione delle prossime Olimpiadi invernali. Una prima idea però è possibile farsela in riferimento alla criticatissima gestione del Cortina Sliding Center Eugenio Monti: la pista da bob di Cortina, il suo finanziamento (un milione e mezzo l’anno, per tre anni, solo dalla Regione Veneto), l’opportunità della sua realizzazione hanno fatto discutere tanto. Ne parleremo ancora a lungo, a partire dalla prossima primavera, a giochi conclusi e impianto a rischio di abbandono.
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