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11 Novembre 2025 - 19:04
Hannibal Gheddafi, dieci anni dietro le sbarre e un assegno da 893mila dollari: la libertà che pesa come una condanna
Un assegno da 893mila dollari e dieci anni d’attesa: la scarcerazione di Hannibal Gheddafi in Libano pesa ancora come un macigno sulla regione. È un rilascio che chiude un capitolo e ne riapre molti, un atto che intreccia giustizia, memoria e diplomazia tra Beirut e Tripoli. All’uscita dal palazzo della Direzione Generale delle Forze di Sicurezza Interna, nel quartiere di Achrafieh, una porta metallica si richiude alle spalle di Gheddafi. Il volto è tirato, il passo sicuro, lo sguardo fisso davanti a sé. In tasca ha il documento che sancisce la libertà dopo quasi dieci anni di detenzione senza processo; alle spalle, una vicenda che non si archivia con un timbro. A garantirgli la scarcerazione, una cauzione di 893.000 dollari versata poche ore prima e la regolarizzazione della sua posizione presso la Sicurezza Generale libanese, ultimo atto di una storia che unisce giustizia, politica e memoria collettiva. E sullo sfondo, come un’ombra che non si dissolve, il nome di Musa Sadr, l’imam scomparso nel 1978 a Tripoli e mai più ritrovato.
Secondo l’agenzia statale NNA e le principali testate internazionali, Hannibal Gheddafi, il più giovane dei figli del defunto leader libico Muammar Gheddafi, è stato rilasciato tra il 10 e l’11 novembre 2025. La cauzione, inizialmente fissata a 11 milioni di dollari, è stata ridotta a circa 900.000. Le autorità hanno revocato il divieto di espatrio, aprendo la strada a una possibile partenza del quarantanovenne da Beirut. Una decisione che arriva dopo una detenzione iniziata nel 2015, quando venne rapito in Siria da un gruppo armato e consegnato alle autorità libanesi, che lo trattennero con l’accusa di “occultare informazioni” sulla scomparsa di Musa Sadr. Accuse che Gheddafi ha sempre respinto, e che diverse organizzazioni per i diritti umani hanno definito prive di fondamento, denunciando una custodia cautelare senza processo durata quasi un decennio.
Nel 1978, anno della scomparsa dell’imam, Hannibal Gheddafi aveva appena due anni. Eppure, dal 2015, la magistratura libanese lo ha ritenuto depositario di segreti utili a far luce su uno dei casi più sensibili della storia del Paese: la sparizione del fondatore del Movimento Amal e primo presidente del Consiglio Superiore Sciita. Un enigma che, mezzo secolo dopo, continua a dividere la società libanese. Nell’ottobre 2025, il giudice d’istruzione Zaher Hamadeh aveva disposto la liberazione su cauzione, fissando l’importo iniziale a 11 milioni di dollari e imponendo un divieto di espatrio. La difesa, ritenendo la cifra sproporzionata, aveva presentato ricorso. A novembre, la cauzione è stata ridotta a circa 900.000 dollari e il travel ban revocato. È stata la chiave che ha aperto la cella.
Nel frattempo, le pressioni internazionali erano cresciute. Nell’agosto 2025, Human Rights Watch aveva chiesto il rilascio immediato del figlio dell’ex raìs, definendo la sua detenzione “arbitraria” e ricordando gli obblighi del Libano ai sensi del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Un caso emblematico, scriveva HRW, di un sistema giudiziario vulnerabile alle interferenze politiche. Già nel 2024, la stessa organizzazione aveva denunciato un sistema penitenziario al collasso, con oltre l’80% dei detenuti in attesa di giudizio. Anche le condizioni di salute di Gheddafi, peggiorate da uno sciopero della fame iniziato nel 2023 e da vari ricoveri, avevano aggiunto urgenza alla vicenda. A spingere verso la soluzione, anche un intenso negoziato tra Beirut e Tripoli, con una delegazione libica che ha avuto un ruolo decisivo nel pagamento della cauzione.

Da Tripoli, la Government of National Unity guidata dal premier Abdulhamid Dbeibah ha accolto la notizia con soddisfazione, parlando di “passo costruttivo verso la riattivazione delle relazioni diplomatiche”. Dopo anni di gelo dovuti proprio al caso Sadr, la Libia e il Libano sembrano voler riannodare i fili. Fonti libanesi confermano che la somma è stata versata e che, una volta completate le formalità, Hannibal Gheddafi ha lasciato il carcere per trasferirsi temporaneamente in un hotel di Beirut, in attesa di decidere dove andare. Il gesto, però, non è solo giudiziario: tocca corde politiche profonde. Per il movimento sciita Amal, ancora guidato dallo speaker del Parlamento Nabih Berri, la figura di Musa Sadr è tuttora un faro. Non a caso, la famiglia dell’imam ha ribadito che la questione non è la libertà di Gheddafi, ma la verità sulla scomparsa di Sadr.
Il percorso che ha condotto Hannibal Gheddafi in cella risale al 2015. Allora viveva in Siria con la moglie Aline Skafe i figli. Fu attirato in un’imboscata vicino al confine e consegnato a un gruppo libanese che lo trasferì a Beirut. Le Forze di Sicurezza lo sottrassero ai sequestratori, ma lo trattennero in custodia legandolo al caso Sadr. Da allora, la vicenda si è trascinata tra atti d’indagine, pressioni politiche e appelli internazionali, in un limbo che ha trasformato una procedura giudiziaria in una questione diplomatica.
Per comprendere il significato politico del rilascio bisogna tornare al 1978. L’imam Musa Sadr, figura carismatica dell’Islam sciita e architetto della mobilitazione politica degli sciiti libanesi, era atterrato a Tripoli su invito del regime di Muammar Gheddafi. Con lui viaggiavano lo sceicco Mohamad Yaacoub e il giornalista Abbas Badr al-Din. Il 31 agosto scomparvero nel nulla. Il regime libico sostenne che i tre fossero partiti per Roma, ma nessuna prova lo confermò mai. Da allora, la comunità sciita libanese ha ritenuto Gheddafi padre responsabile di quella scomparsa. Decenni di inchieste, ipotesi e archiviazioni non hanno mai prodotto una verità definitiva. Ancora oggi, il destino dei tre resta ignoto.
La decisione del giudice Hamadeh di ridurre la cauzione e rimuovere il divieto di espatrio è arrivata dopo settimane di trattative tra Beirut e Tripoli. Sul piano giuridico, la vicenda solleva interrogativi pesanti: l’abuso della custodia cautelare, l’uso di accuse relative a un fatto di quasi cinquant’anni prima, e la compatibilità di tutto questo con gli obblighi internazionali del Libano. Tre fronti aperti, osservano le ONG, che misurano il divario tra diritto e politica.
Per Tripoli, la posta in gioco è diplomatica. Il governo di Dbeibah ha speso capitale politico per chiudere il dossier, contribuendo al pagamento della cauzione e presentando la liberazione come un segnale di buona volontà. Un passo verso la normalizzazione, dicono le fonti libiche, e verso la costruzione di relazioni economiche e di sicurezza più stabili con Beirut. In realtà, è anche una mossa pragmatica per togliere dal tavolo una questione che da anni avvelena i rapporti bilaterali.
La figura di Hannibal Gheddafi resta, tuttavia, ingombrante. Nel 2008, il suo arresto a Ginevra per presunte violenze contro personale domestico aveva innescato una crisi diplomatica tra Svizzera e Libia: accuse poi ritirate, ma seguite da ritorsioni politiche. Episodi come quello, insieme alla sua biografia familiare, continuano a pesare sulla sua immagine pubblica, anche se non hanno alcun legame con l’inchiesta su Musa Sadr. Distinguere il personaggio dal simbolo resta essenziale per leggere con lucidità la decisione libanese.
Dove andrà ora Hannibal Gheddafi? Fonti di sicurezza affermano che è stato accompagnato in un hotel della capitale e che, essendo caduto il divieto di espatrio, potrà lasciare il Paese. La destinazione resta segreta. Per l’indagine su Sadr, invece, formalmente non cambia nulla: il fascicolo resta aperto. Ma politicamente la tensione con Tripoli si allenta, e questo basta, per ora, a definire la scarcerazione un atto utile. Il caso rimane un banco di prova per la giustizia libanese, spesso accusata di piegarsi alle pressioni dei partiti e di ignorare gli standard internazionali sulla detenzione preventiva.
Se il rilascio su cauzione da 893.000 dollari è il fatto, la sostanza è più profonda. Dice che in Libano la giustizia è ancora un campo di battaglia tra diritto e politica, che il 1978 non è ancora storia e che la memoria di Musa Sadr pesa più di ogni sentenza. Dice che una decisione amministrativa può cambiare gli equilibri di due capitali e che una firma, in fondo, può aprire più ferite di quante ne chiuda. La cifra della cauzione, precisano le fonti, è di 893.000 dollari: dettaglio tecnico, ma simbolico. La revoca del divieto di espatrio, più che una formalità, è il segnale che le autorità vogliono chiudere la questione con cautela ma senza nuovi inciampi.
Il cancello che si chiude alle spalle di Hannibal Gheddafi non archivia il caso Sadr, non riscrive la storia della Libia di Muammar Gheddafi, e non placa l’attesa di una comunità che da 47 anni cerca la verità.
Ma racconta molto del Libano del 2025: un Paese dove la politica entra ed esce dai tribunali, dove la custodia cautelare è ancora la norma, e dove una decisione di riduzione della cauzione può valere più di mille dichiarazioni diplomatiche. È, in fondo, un test sulla tenuta dello stato di diritto e sulla capacità di due governi di trasformare un gesto giudiziario in un segnale politico. Il resto, come sempre in questa regione, rischia di essere soltanto rumore.
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