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La storia del progetto Nokyo: quando Olivetti sfidò il Giappone e vinse

Nel libro di Tonina Scuderi, il racconto di un’impresa che sembrava destinata al fallimento e invece divenne un simbolo di ingegno, coraggio e visione. Dalla Ivrea degli anni d’oro al mercato high-tech giapponese, la storia di chi ha portato lo spirito olivettiano fino all’altro capo del mondo

La storia del progetto Nokyo: quando Olivetti sfidò il Giappone e vinse

Tonina Scuderi

Ho conosciuto Tonina Scuderi sei mesi fa. Mi aveva colpito per la naturalezza con cui, durante il convegno del 29 maggio, era riuscita a catturare l’attenzione di tutti raccontando una vicenda che sembrava uscita da un romanzo d’avventura: quella di una missione Olivetti in Giappone che, agli inizi degli anni Ottanta, pareva davvero impossibile. Una storia mai raccontata prima, eppure così viva da sembrare accaduta ieri.

Nel suo libro “Olivetti in Giappone, una missione impossibile” (disponibile su Amazon: bit.ly/483GmMG), Tonina la ricostruisce con ritmo e passione, senza mai perdersi nei tecnicismi. Con la sua penna leggera ma precisa, porta il lettore dentro una delle pagine più affascinanti della nostra storia industriale: una sfida tecnologica e culturale che un piccolo gruppo di giovani Olivettiani riuscì a trasformare in un successo.

L’ho letto tutto d’un fiato, anche se – lo ammetto – di computer non capisco quasi nulla. Ma non serve. È un libro che emoziona, perché racconta prima di tutto di persone, non di macchine. C’è il Giappone di allora, distante e magnetico; ci sono le differenze culturali, la determinazione, la curiosità di chi osa. È la storia di una ragazza agli inizi della carriera che, quarant’anni dopo, rilegge con lucidità e un pizzico di nostalgia un’avventura irripetibile.

Scrive Tonina:
“Portatili, tablet, telefonini sono strumenti ormai di uso quotidiano. Le app ci permettono di fare tutto, senza chiederci cosa ci sia sotto. Lo strumento è lì, si accende e funziona. Punto. Il problema della ‘macchina nuda’ emerge solo quando siamo costretti ad aggiornarla per far sì che tutto continui a funzionare.”

Da qui prende corpo un racconto che intreccia ingegneria, visione e coraggio. Olivetti, pioniera nella costruzione dei computer “general purpose”, aveva capito prima di molti che la tecnologia non poteva bastare senza un’anima. Serviva un “vestito” su misura per l’uomo. Le consociate estere lo capirono meglio della casa madre.

Tra queste, la Olivetti Corporation of Japan (OCJ), che operava in un mercato chiuso e competitivo, dominato dai giganti NEC, Fujitsu, Hitachi e Toshiba, sostenuti a suon di miliardi dal governo di Tokyo. La OCJ aveva conquistato un posto di rilievo grazie ai terminali intelligenti forniti alla rete delle cooperative agricole Nokyo, una realtà che offriva servizi bancari su tutto il territorio nipponico.

Poi arrivò il colpo basso. Una direttiva del Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria (METI)impose che ogni sistema informatico dovesse gestire la comunicazione uomo-macchina in lingua giapponese, cioè attraverso migliaia di kanji. Per le aziende straniere, fu un terremoto. Olivetti rischiava di perdere il mercato e migliaia di posti di lavoro.

Eppure fu proprio in quel momento di crisi che scattò la scintilla dell’ingegno. Grazie al sistema operativo MOS e a un’intuizione geniale, la OCJ trovò la soluzione: un’operazione audace, innovativa, che salvò l’azienda e aprì una nuova strada. Un colpo di genio che, se solo a Ivrea qualcuno avesse capito, avrebbe potuto cambiare il destino dell’intero gruppo.

I protagonisti? Tonina Scuderi e Cesare Monti, due giovani tecnici appena arrivati, senza ruoli di vertice ma con la voglia di provarci. Due Olivettiani veri.

Il loro successo, raccontato in questo libro, non è solo una pagina di storia industriale. È un atto d’amore verso un’idea di lavoro che univa tecnica e umanità, coraggio e creatività. È la dimostrazione che anche una “missione impossibile”, a volte, può riuscire benissimo.

Buona lettura.

asfa

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