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08 Novembre 2025 - 16:34
Angelo D'Orsi
Lo storico Angelo d’Orsi, già ordinario di Storia del pensiero politico presso l’Università di Torino, prende la parola con tono fermo e indignato: «Senza neppure aspettare che io tenga la mia conferenza – afferma – vengo poco democraticamente silenziato in nome della democrazia, di cui l’Occidente sarebbe il faro, mentre la Russia di Putin affoga nell’autocrazia». Il motivo del suo dissenso? L’annullamento, nei giorni scorsi, del suo intervento programmato per il 12 novembre presso il centro culturale Polo del ’900 di Torino, un evento organizzato dalla sezione locale dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti (ANPPIA). Il programma recitava: «Angelo d’Orsi, già Università di Torino, storico; Vincenzo Lorusso, giornalista, autore del libro “De russophobia”». Eppure, nonostante l’evento risultasse pubblicamente annunciato, è stato successivamente cancellato. Secondo D’Orsi, senza adeguata spiegazione, e con modalità che lui definisce “non democratiche”.
Nel corso della sua lunga carriera – «mi sono laureato con Norberto Bobbio a Torino, sono stato professore ordinario, ho insegnato nelle Facoltà di Scienze Politiche e di Lettere e Filosofia, ho collaborato alla creazione dell’Archivio storico dell’Ateneo» – D’Orsi richiama la propria autorevolezza accademica e culturale, ricordando di essere stato tra i fondatori di una tradizione di studi che a Torino ha radici profonde e prestigiose. «Ho inventato e diretto per un quindicennio i “Quaderni di Storia dell’Università di Torino”; ho presieduto per anni il più importante corso di laurea della mia Facoltà; ho scritto la biografia di tre iconici intellettuali del ’900 come Antonio Gramsci, Leone Ginzburg e, ultimo, Piero Gobetti; ho collaborato a quotidiani come La Stampa, Il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, Il Manifesto; ho pubblicato oltre 50 volumi». Non è solo un elenco di meriti, ma la rivendicazione di una vita dedicata al pensiero critico, alla cultura democratica, alla storia delle idee. Eppure, dice, «non avrei mai potuto immaginare che venisse annullata una mia conferenza nella mia città».
Il professore denuncia un clima culturale che definisce “paradossale”, dove il concetto stesso di libertà di parola sembra divenuto selettivo. D’Orsi, noto per le sue posizioni di sinistra e per un approccio non allineato al pensiero dominante, si trova oggi accusato, di fatto, di “filoputinismo” per aver accettato di discutere criticamente di russofilia e russofobia. L’evento, secondo i detrattori, sarebbe stato “filorusso”, e proprio questa etichetta ha portato alla cancellazione. In un momento in cui la guerra in Ucraina continua a incendiare l’opinione pubblica, basta un titolo a sollevare sospetti e censure. Ma per D’Orsi la questione è più profonda: non riguarda la Russia o l’Ucraina, ma la libertà stessa di pensare e di parlare, quella libertà che dovrebbe costituire il fondamento di ogni democrazia matura.
«Non è accettabile – afferma – che si possa impedire a uno storico di esprimere riflessioni, di interrogare le parole, di discutere il linguaggio. La russofobia è un fatto culturale prima ancora che politico, e come tale va analizzato. Mi si accusa di giustificare un regime, mentre io cerco di capire le logiche che hanno condotto a questa nuova guerra fredda». D’Orsi chiede ora che la ministra dell’Università si faccia carico del caso e consenta che la conferenza si tenga, come accaduto, a suo dire, «con rulli di tamburi e squilli di trombe» quando è intervenuto, ad esempio, Emanuele Fiano, e che il sindaco Stefano Lo Russo dichiari di non essere intervenuto per bloccare l’iniziativa. Ma le sue parole non sono solo una richiesta istituzionale: sono anche un atto d’accusa verso un sistema culturale che, secondo lui, seleziona chi può parlare e chi no.

Stefano Lo Russo
Inoltre, D’Orsi aggiunge che «mi aspetto che l’ANPPIA nazionale, che – a quanto leggo su agenzie di stampa – avrebbe sconfessato la sezione locale, mi chieda scusa. E aspetto le scuse anche della presidenza e della direzione del Polo del ’900. Che a uno storico di professione venga impedito di tenere una pubblica conferenza è un fatto inaccettabile». Parole che riecheggiano un sentimento di amarezza, ma anche di resistenza culturale: perché d’Orsi non è un personaggio marginale, bensì un docente che ha attraversato decenni di storia accademica, giornalistica e politica italiana.
Il riferimento a “evento filorusso” appare nelle parole dei sostenitori della cancellazione. Secondo alcuni, l’iniziativa sarebbe stata vicina alla cultura russa e, in un clima già esasperato, l’idea di concedere spazio a un dialogo di questo tipo è stata interpretata come una forma di indulgenza verso Mosca. L’articolo su Il Fatto Quotidiano titola: «Esultanza Picierno: annullato evento con Angelo d’Orsi», riportando che «l’evento di propaganda putiniana previsto al Polo del ’900 per il 12 novembre è stato annullato. Ringrazio il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, per la sensibilità». Ma la questione, sottolineano diversi osservatori, non è il contenuto dell’incontro in sé, bensì la libertà di tenere un dibattito culturale in uno spazio pubblico nato proprio per ospitare il confronto delle idee.
Il Polo del ’900 non è infatti un luogo qualunque. È un centro dedicato alla memoria, alla storia, alla democrazia, uno spazio che accoglie ventisei enti partner, tra cui le principali associazioni della Resistenza e antifasciste. Sorge nel cuore di Torino, tra via del Carmine e Piazzetta Antonicelli, ed è da anni un punto di riferimento per la ricerca storica e per la divulgazione. La sua missione dichiarata è quella di promuovere il pensiero critico, il dialogo, la cittadinanza attiva. Per questo l’annullamento dell’evento suscita stupore e indignazione: perché proprio un’istituzione nata per difendere la libertà di parola sembra oggi cedere a logiche di prudenza politica o di conformismo ideologico.
D’Orsi si dice consapevole che viviamo in tempi difficili, dove ogni opinione viene filtrata, interpretata, etichettata. Ma rivendica il diritto di interrogare la realtà senza essere accusato di tradimento. In fondo, ricorda, la storia stessa è un continuo confronto di prospettive, e lo storico non è un giudice, ma un interprete. «Mi si può criticare per ciò che dico – afferma – ma non si può impedirmi di parlare». Le sue parole trovano eco in molti ambienti universitari e culturali, dove si torna a discutere del rapporto tra libertà accademica e controllo politico.
Resta da capire chi abbia preso la decisione e con quali motivazioni ufficiali. Non risulta al momento alcun comunicato pubblico della direzione del Polo del ’900 che spieghi le ragioni precise dell’annullamento. La richiesta del professor D’Orsi al sindaco e alla ministra – se accolta – potrebbe portare non solo al ripristino della conferenza, ma a un dibattito più ampio sul ruolo degli spazi culturali pubblici. Perché in gioco, qui, non c’è soltanto la libertà di un intellettuale, ma il senso stesso della democrazia culturale.
La vicenda richiama inevitabilmente un dibattito più vasto, che attraversa oggi l’Italia e l’Europa: fino a che punto è lecito limitare la parola in nome della correttezza politica o della sensibilità collettiva? È ancora possibile discutere di pace, di geopolitica, di relazioni internazionali senza essere accusati di propaganda? Chi stabilisce il confine tra la libertà di opinione e la legittimazione di una parte? Domande che risuonano come monito in un’epoca di polarizzazione e di sospetti, dove spesso la prudenza prende il posto del coraggio.
La richiesta di Angelo d’Orsi va quindi letta non solo come una difesa personale, ma come una battaglia civile. «Mi aspetto che la ministra mi faccia tenere la conferenza», afferma – e con queste parole non parla soltanto per sé, ma per tutti coloro che credono nella forza del pensiero, nella libertà della cultura e nella necessità del confronto. Perché, conclude, «che a uno storico di professione venga impedito di tenere una pubblica conferenza è un fatto inaccettabile».E forse, in questa frase, c’è tutto il paradosso dei nostri tempi: quello di un’epoca che, nel nome della democrazia, finisce talvolta per dimenticarne il senso più autentico.
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