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“Una guerra possibile entro pochi anni”: l’allarme del generale tedesco scuote la NATO

La guerra è già cominciata: la NATO corre, la Russia si prepara. Droni, riarmo e mobilitazioni record ridisegnano la sicurezza europea. L’Europa scopre che la deterrenza non è più teoria, ma una corsa contro il tempo

“Una guerra possibile entro pochi anni”: l’allarme del generale tedesco scuote la NATO

“Una guerra possibile entro pochi anni”: l’allarme del generale tedesco scuote la NATO

La nuova normalità della deterrenza ha il rumore metallico dei droni che attraversano cieli alleati, il lampeggiare di radar in piena notte e i bilanci militari che esplodono come mai dai tempi della Guerra fredda. Ecco perché l’allarme del generale Alexander Sollfrank non è propaganda: è un avviso secco, quasi un ultimatum.

Nella notte tra il 9 e il 10 settembre 2025, Varsavia è stata svegliata dalle sirene. Aeroporti chiusi, F-16 polacchi e F-35 alleati in volo, batterie Patriot accese. “Oggetti di tipo drone” avevano varcato lo spazio aereo della Polonia. Varsavia reagisce, abbatte, denuncia. Due giorni dopo, la NATO attiva l’operazione Eastern Sentry per irrobustire la difesa del fianco est. È bastato un episodio per capire che il confine tra pace e guerra oggi è un filo sottilissimo, attraversato da droni, missili e provocazioni calibrate al millimetro.

Nel cuore di questa nuova tensione, l’avvertimento del tenente generale Alexander Sollfrank, comandante del Joint Support and Enabling Command (JSEC), suona come una diagnosi glaciale: la Russia non è a corto di fiato, mantiene un potenziale militare enorme, e un attacco limitato a un Paese alleato è “possibile in ogni momento”. Se il riarmo procede così, entro pochi anni Mosca potrebbe avere la forza per un’offensiva vera, non più soltanto ibrida.

Il JSEC, con quartier generale a Ulm, è il motore nascosto della deterrenza NATO: garantisce che truppe e mezzi si muovano in fretta, che i rinforzi arrivino dove servono, che i colli di bottiglia burocratici saltino. È la macchina logistica che deve funzionare quando tutto il resto trema. E se la deterrenza fallisce, tocca proprio a Sollfrank far marciare quei 90.000 soldati visti durante Steadfast Defender 24 — e molti di più nei piani futuri.

Secondo il generale, Mosca conserva segmenti vitali di potenza aerea, navale e missilistica. Pur impantanata in Ucraina, può colpire altrove, in modo limitato ma efficace. E con un riarmo sistematico, entro la fine del decennio potrebbe spingersi molto più in là. Il Cremlino vuole portare gli effettivi a 1,5 milioni di soldati in servizio attivo entro fine 2024: il terzo incremento dai tempi dell’invasione del 2022. Non tutti ci credevano, ma i numeri della produzione bellica parlano da soli: tre milioni di colpi d’artiglieria l’anno, droni Shahed prodotti in casa, componenti AI cinesi per il puntamento autonomo. Una macchina industriale che non sembra rallentare.

L’Alleanza risponde colpo su colpo. I nuovi piani di difesa approvati a Vilnius sono stati messi alla prova nella colossale Steadfast Defender 24, la più grande esercitazione dalla Guerra fredda: 90.000 militari, 50 navi, 80 aerei e 1.100 mezzi da combattimento. Secondo il Congressional Research Service, oggi la NATO può contare su circa 500.000 uomini e donne ad alta prontezza — più del doppio rispetto all’obiettivo del 2022.

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Il nord Europa si blinda: con Finlandia e Svezia dentro l’Alleanza, le esercitazioni artiche Nordic Response 24 hanno testato reazioni lampo in condizioni estreme. Ma l’incubo resta lo stesso: il corridoio di Suwałki, quel lembo di terra tra Polonia e Lituania che separa Kaliningrad dal resto della Russia. Un tappo geografico che, se salta, apre il fronte baltico.

E poi c’è la Germania, il gigante addormentato che finalmente si sveglia. Dopo anni di esitazioni, Berlino ha deciso: il bilancio della difesa salirà al 3,5% del PIL entro il 2029, con 162 miliardi di euro l’anno. Obiettivo: trasformare la Bundeswehr nella forza convenzionale più potente d’Europa. Il nuovo segretario generale Mark Rutte lo ha detto senza giri di parole: “Il rischio non è domani, ma entro cinque anni. Servono capacità, non comunicati stampa.”

Ecco perché l’ipotesi di una guerra “limitata e regionale” non è più un esercizio accademico. La Russia dispone di armi, droni e strumenti di guerra ibrida capaci di colpire infrastrutture e destabilizzare Paesi NATO senza superare formalmente la soglia dell’Articolo 5. L’incursione di settembre lo ha mostrato: basta un drone, un radar che sbaglia, un politico che reagisce male — e l’incendio è servito.

Un attacco su larga scala, invece, richiederebbe una macchina logistica gigantesca e la capacità di sopportare l’attrito con un’Alleanza che oggi ha superiorità tecnologica e crescente resilienza industriale. Per questo Sollfrank colloca il rischio “grande” verso la fine del decennio: non ora, ma domani. E domani, nella strategia, è già oggi.

La deterrenza, in Europa, non si gioca più solo nei poligoni o nei bilanci, ma sulle autostrade e nei porti. È la velocità con cui una colonna corazzata attraversa tre confini. È la burocrazia che non deve bloccare un convoglio. È la capacità di muovere eserciti come si muovono container. Su questo, il JSEC è la chiave.

Nel Baltico e nella Suwałki Gap, i Paesi baltici scavano trincee e installano sensori, pronti a difendere ogni metro. Non è allarmismo, è sopravvivenza. La Lituania ha già piani di evacuazione pronti, la Polonia parla di “difesa totale”.

Dopo l’attacco con droni a settembre, la NATO ha reagito in ore, non settimane: Eastern Sentry ha integrato radar, pattuglie e difese aeree di più Paesi, dimostrando che il sistema può funzionare. Ma la domanda resta: la politica europea reggerebbe davvero una crisi di mesi ad alta intensità?

Per l’Italia, l’avvertimento è chiaro: siamo un Paese di transito, un ponte tra Mediterraneo e Nord. La mobilità militare, i porti, i cavi sottomarini e le infrastrutture non sono più “questioni tecniche”, ma frontiere della sicurezza nazionale.

Nei prossimi due anni, tutto dipenderà da quattro fattori: la trasformazione dei 1,5 milioni di effettivi russi in forze addestrate, la capacità industriale russa di produrre droni e munizioni, la risposta europea in termini di produzione e la tenuta dell’impegno tedesco sul 3,5% del PIL.

L’allarme del generale Sollfrank non è un grido nel vuoto. È il promemoria che la guerra, in Europa, non è più una possibilità remota. È una possibilità calcolata. La notte di Varsavia lo ha mostrato: la deterrenza non si misura nei trattati, ma nei minuti che passano tra un radar che vede e un intercettore che parte. E in quei minuti, oggi, si gioca il futuro dell’Europa.

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