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Taglio Irpef: risparmiano tutti o solo i soliti?

Tra bonus mamme e mini detrazioni, l’Italia dei poveri resta in attesa

La premier Giorgia Meloni

La premier Giorgia Meloni

L’85% del taglio Irpef andrà ai più ricchi. Lo dice l’Istat, ma in fondo lo sapevamo già: ogni volta che un governo promette “più soldi in tasca agli italiani”, bisogna chiedersi a quali italiani. Stavolta i numeri non lasciano spazio alle illusioni. La nuova aliquota Irpef al 33% per i redditi tra 28 e 50 mila euro porterà un beneficio medio di circa 230 euro l’anno a poco più di 14 milioni di contribuenti. Tradotto in termini familiari, circa 11 milioni di nuclei — il 44% del totale — vedranno un piccolo sconto in busta paga, mediamente 276 euro. Ma la distribuzione, spiega il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli, è sbilanciata: oltre l’85% delle risorse finirà nei quinti più ricchi della popolazione.

Le famiglie con i redditi più bassi riceveranno briciole — 102 euro medi — mentre l’ultimo quinto, quello più abbiente, si terrà stretti oltre 400 euro. La percentuale d’impatto sul reddito familiare? Inferiore all’1% per tutti. Insomma, un’operazione che consola la classe media alta, ma lascia intatti i divari.

Le modifiche all’Isee, sbandierate come misura “a favore dei più deboli”, in realtà toccheranno 2,3 milioni di famiglie con un beneficio medio di 145 euro. Anche qui la logica redistributiva vacilla: quasi il 70% dei vantaggi si concentrerà nei redditi medi, non tra i poveri veri, che pure otterranno un guadagno percentuale maggiore ma restano una minoranza marginale.

Sul fronte dei salari, la fotografia è impietosa: le retribuzioni reali sono ancora più basse dell’8% rispetto al gennaio 2021. E nonostante la crescita nominale, il potere d’acquisto è rimasto inchiodato alle perdite del biennio 2022–2023. Il governo punta a una mini-detassazione del 5% sugli aumenti contrattuali dei privati nel 2026: un beneficio di appena 15 euro al mese su 80 di incremento lordo. Una misura che sa più di contentino che di strategia.

Il bonus mamme, che passa da 40 a 60 euro mensili, sarà percepito da 865 mila lavoratrici, circa un quarto delle madri occupate. Anche qui l’equilibrio pende verso l’alto: tre quarti del beneficio andranno alle famiglie dei quinti centrali del reddito, con un guadagno medio più alto per chi già guadagna di più. Per le donne dei redditi bassi, che spesso lavorano meno mesi, il vantaggio si riduce.

E mentre i numeri scorrono, resta il contesto più drammatico: quasi sei milioni di italiani rinunciano alle cure. Nel 2024, il 9,9% della popolazione ha ammesso di aver rinunciato a visite o trattamenti per le liste d’attesa, le spese o la distanza. Cinque anni fa erano la metà. Crescono i tempi, cresce la frustrazione, e cresce l’ingiustizia sanitaria.

La Banca d’Italia, dal canto suo, mette in guardia: questa manovra “non riduce le disuguaglianze”. Gli sgravi Irpef favoriscono i due quinti più ricchi, gli interventi sociali sono “modesti”, e le continue “rottamazioni” fiscali rischiano di trasformarsi in un’abitudine che mina la fiducia dei contribuenti onesti.

Morale: tra bonus, sconti e tagli, la legge di bilancio 2026 ridisegna poco e distribuisce male. L’Italia reale — quella dei salari fermi, delle mamme part-time e delle prenotazioni mediche impossibili — resta fuori dal perimetro dei benefici. E così, mentre le aliquote scendono di due punti, le disuguaglianze salgono di qualche gradino.

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