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05 Novembre 2025 - 18:12
Cécile Kohler e Jacques Paris liberi dopo 1.277 giorni nel carcere di Evin: la diplomazia degli ostaggi tra Iran e Francia
La porta di metallo della sezione femminile del carcere di Evin ha cigolato all’alba. Il cielo di Teheran era color piombo, come sospeso tra notte e giorno. Dopo 1.277 giorni di prigionia, Cécile Kohler ha respirato per la prima volta un’aria che non sapeva di cemento e neon. Poche ore dopo, anche Jacques Paris ha varcato il cancello del penitenziario più temuto dell’Iran. I due insegnanti francesi – lei docente di lettere, lui ex professore di matematica – non hanno ancora riabbracciato la libertà: si trovano alla Residenza dell’Ambasciata di Francia a Teheran, in una sorta di limbo definito “liberazione condizionale su cauzione”. Sono formalmente sotto controllo giudiziario, dopo condanne a 20 e 17 anni per spionaggio e reati contro la sicurezza nazionale. Un passo avanti, ma non una soluzione. Il Ministero per l’Europa e gli Affari esteri a Parigi ha parlato il 4 novembre di “primo gesto” iraniano, sottolineando che la Francia continuerà a spingere per il loro rientro.
Tutto era iniziato nel maggio 2022, quando Kohler e Paris, in viaggio a Teheran per motivi che le famiglie hanno sempre definito “turistici”, erano stati arrestati e trasferiti a Evin. Le autorità iraniane li avevano accusati subito di spionaggio, accuse respinte da Parigi come “infondate e ingiustificate”. Cinque mesi dopo, la televisione di Stato iraniana aveva trasmesso una “confessione” della donna, denunciata da attivisti e ONG come estorta sotto pressione. Da allora, la macchina della propaganda si era messa in moto. Nel 2025, con il Medio Oriente sull’orlo del conflitto dopo la guerra di giugno tra Iran e Israele e l’inasprimento sul dossier nucleare, le imputazioni si erano fatte ancora più pesanti: spionaggio per il Mossad, cospirazione, “corruzione sulla terra”, un’accusa che può condurre alla pena capitale.
Il 14 ottobre 2025 un tribunale rivoluzionario aveva pronunciato sentenze durissime – 20 anni per Kohler, 17 per Paris – un segnale politico oltre che giudiziario. Tre settimane dopo, tra il 4 e il 5 novembre, il colpo di scena: liberazione su cauzione e trasferimento all’ambasciata. Emmanuel Macron ha ringraziato i diplomatici e chiesto che i due “possano presto ritrovare i loro cari”. Teheran, dal canto suo, ha chiarito che la procedura resta aperta: la cella è chiusa, il caso no.
Le testimonianze dei familiari e della stampa francese parlano di tre anni di detenzione durissimi. Evin è un nome che, in Iran, evoca silenzio e paura. Isolamento prolungato, interrogatori estenuanti, pressioni psicologiche, confessioni forzate. Le visite consolari sono state appena cinque in tre anni, spesso ostacolate dalle autorità. Dopo l’attacco al carcere durante la guerra del 2025, i due erano stati dati per dispersi per giorni. Solo l’intervento di Parigi aveva permesso di ottenere una prova in vita. Dettagli parziali, non sempre verificabili, ma sufficienti per comporre il quadro di una prigionia ai limiti della sopravvivenza.
Il caso Kohler-Paris si iscrive nella logica sempre più frequente della cosiddetta diplomazia degli ostaggi: l’uso di cittadini stranieri come pedine di scambio nella partita geopolitica iraniana. La Francia conosce bene questa dinamica: nel 2023 era stata liberata Fariba Adelkhah, accademica irano-francese, e nel 2025 Olivier Grondeau, dopo 880 giorni di detenzione senza processo. Ogni rilascio, ogni arresto, ogni parola pronunciata da Teheran si intreccia con le trattative sul nucleare, con le sanzioni, con le relazioni tra Iran, Israele e Stati Uniti.
Fin dall’inizio Teheran ha accusato i due docenti di spionaggio. Nel luglio 2025 i capi d’imputazione sono diventati ancora più estremi, fino alla formula “corruzione sulla terra”. La Francia ha rigettato tutto come “totalmente infondato”, ma la giustizia iraniana ha proseguito per la sua strada. Le condanne del 14 ottobre hanno rappresentato l’apice di un’escalation giudiziaria che, paradossalmente, ha aperto anche uno spiraglio politico: nel sistema iraniano, spesso le condanne più dure precedono trattative diplomatiche e successive attenuazioni.

Cosa ha sbloccato la scarcerazione resta riservato. Ma il quadro è chiaro: la Francia ha legato il destino dei due a quello dei negoziati sul nucleare e alle sanzioni europee, trasformando la loro detenzione in un dossier di politica internazionale. Il ricorso presentato da Parigi alla Corte internazionale di giustizia nel maggio 2025 ha alzato la posta, mentre alcuni osservatori hanno notato coincidenze con la condizionale concessa in Francia a una studentessa iraniana, Mahdieh Esfandiari. Nessuno conferma uno scambio, ma il parallelismo è evidente.
Oggi, i due insegnanti non sono più in cella ma restano prigionieri di un equilibrio diplomatico. “Sono al sicuro”, ha assicurato il ministero francese, ma la loro libertà dipende da un iter giudiziario ancora aperto. Il termine “scarcerazione” non coincide con “libertà”: Kohler e Paris non possono lasciare il Paese, sono sotto sorveglianza e la loro partenza dipenderà da decisioni future.
In Francia, la sorella di Cécile, Noémie Kohler, non ha mai smesso di far sentire la sua voce. Ha denunciato condizioni disumane, sollecitato la politica, coinvolto sindacati e comuni. La solidarietà è stata trasversale, e la pressione dell’opinione pubblica, determinante. Il comunicato ufficiale del Quai d’Orsay parla di “coraggio delle famiglie” e di un lavoro discreto ma incessante.
Per l’Iran, la liberazione su cauzione è un gesto calcolato. Serve a mostrare al mondo che il sistema giudiziario resta sovrano, ma anche a ridurre la tensione internazionale. Teheran respinge la definizione di “ostaggi di Stato”, ma la sequenza – arresto, accuse, condanna, liberazione – racconta altro: una coreografia diplomatica che serve al regime per guadagnare tempo e consenso interno, evitando di apparire sotto pressione.
Ora lo sguardo è rivolto ai prossimi passi. L’appello alle condanne, il dialogo tra ambasciate, il fragile equilibrio regionale: tutto può ancora cambiare. Se la de-escalation tra Iran e Israele dovesse reggere, la finestra per un rimpatrio potrebbe aprirsi. Ma se tornasse la tensione, anche il dossier Kohler-Paris rischierebbe di ricadere nell’ombra.
La loro vicenda resta un monito per chi viaggia in Iran. Le cancellerie europee sconsigliano da tempo soggiorni non essenziali, citando il rischio di arresti arbitrari. Accuse di spionaggio, confessioni televisive, processi opachi: un copione che si ripete, sempre con la stessa logica geopolitica.
Non c’è un lieto fine, solo una pausa nella tragedia. C’è una cella che si è chiusa e una porta diplomatica che si è socchiusa. La Francia ha definito questo passo un “gesto” e nulla più, ma dietro ogni gesto ci sono due vite sospese. 1.277 giorni non si cancellano in una notte. E la diplomazia, adesso, deve dimostrare che la libertà non è solo una parola, ma un volo di ritorno verso casa.
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