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UE, obiettivo clima al 2040: -90% con flessibilità. È davvero la rotta giusta?

Un accordo storico ma controverso: tra ambizione e deroghe, i Ventisette fissano la bussola al 2040. E ora la partita si sposta in Parlamento, con gli occhi del mondo su Belém e la COP30

UE, obiettivo clima al 2040: -90% con flessibilità. È davvero la rotta giusta?

All’alba del 5 novembre 2025, a Bruxelles, i ministri dell’Ambiente si scambiano sguardi stanchi mentre gli uscieri raccolgono i thermos ormai vuoti. Sul tavolo resta un numero, inciso come un sigillo: 90%. È la riduzione delle emissioni nette entro il 2040 rispetto al 1990 che l’Unione europea ha deciso di confermare. Ma attorno a quel numero si muove una costellazione di asterischi: una finestra per l’uso di crediti di carbonio internazionali fino al 5%, con la possibilità di riaprirla in futuro per un ulteriore 5%; una revisione biennale del percorso; e soprattutto il rinvio di un anno, dal 2027 al 2028, dell’estensione del mercato del carbonio ai carburanti stradali e al riscaldamento domestico. È il prezzo di un compromesso che evita una frattura diplomatica alla vigilia della Cop30 di Belém, ma che riscrive i contorni dell’ambizione europea.

Il Consiglio dell’Ue ha raggiunto un’intesa per modificare la Legge europea sul clima, introducendo l’obiettivo intermedio vincolante al 2040 (-90% netto). Il testo, approvato sotto la presidenza danese, concede tre flessibilità chiave: l’uso di crediti di carbonio internazionali “di alta qualità” fino al 5% delle emissioni nette del 1990 (con fase pilota 2031-2035 e piena operatività dal 2036); l’inclusione di rimozioni permanenti domestiche nel sistema ETS per compensare i settori “hard-to-abate”; e una maggiore elasticità “intra” e “inter” settoriale per raggiungere gli obiettivi in modo “semplice ed economicamente efficace”. È stata inoltre introdotta una valutazione biennale dei progressi, con la possibilità per la Commissione europea di proporre adeguamenti o misure correttive.

Tra le decisioni più discusse, quella di far slittare l’avvio dell’ETS2 per edifici e trasporti stradali al 2028. Ufficialmente, per garantire una transizione “giusta e socialmente equilibrata” in tempi di instabilità energetica. Ma, nella sostanza, è un passo indietro che rallenta la pressione sul consumo di combustibili fossili, posticipando di un anno una delle leve del piano Fit for 55.

La Commissione europea, nel luglio 2025, aveva proposto il -90% netto al 2040 come tappa coerente verso la neutralità climatica al 2050, partendo dal -55% al 2030 già sancito per legge. Il Consiglio, pur mantenendo la cornice, ha trasformato il dibattito sui “come” in una questione politica. Permettere un 5% di contributo dai crediti internazionali equivale, nei fatti, ad ammettere che la riduzione domestica — entro i confini dell’Ue — potrebbe assestarsi più vicino all’85%, con la possibilità di riaprire la soglia in futuro se la traiettoria si discostasse.

Sul perimetro di questo “ulteriore 5%” le formulazioni restano vaghe: non è un via libera automatico, ma una revisione condizionata. Tuttavia, la sola presenza della clausola indica una strategia di prudenza: l’Ue si lascia margini per reagire a eventuali ostacoli economici o tecnologici. È un equilibrio studiato per tenere insieme Paesi più ambiziosi e altri più timorosi per i costi energetici e la competitività industriale.

Per arrivare a Belém con una rotta definita, i governi hanno fissato un intervallo di riduzione al 2035 tra il 66,25% e il 72,5% rispetto al 1990. È la cifra che entrerà nell’NDC aggiornato (il contributo determinato a livello nazionale) inviato all’UNFCCC: un atto tecnico ma di grande peso politico, perché segna il ritmo della corsa globale all’ambizione climatica. La scelta di un intervallo, e non di un valore unico, riflette la ricerca di consenso interno, in vista del confronto con il Parlamento europeo nei triloghi.

Europa

Durante la lunga notte di negoziati, Italia, Polonia, Ungheria e Slovacchia hanno chiesto più flessibilità per proteggere industrie energivore e famiglie dal rischio di costi eccessivi. Spagna, Paesi Bassi, Germania, Finlandia, Portogallo, Slovenia e Svezia, invece, hanno spinto per regole più rigide sui crediti e sulle rimozioni. Alla fine, ha prevalso un compromesso guidato dalla presidenza danese. In conferenza stampa, il ministro Lars Aagaard ha parlato di un target “radicato nella scienza” che “concilia competitività e sicurezza”, mentre il commissario al Clima Wopke Hoekstra ha definito l’accordo “legalmente vincolante al -90%, con target domestico all’85% e fino al 5% di crediti internazionali”.

Per “crediti di carbonio internazionali” si intendono riduzioni o rimozioni certificate fuori dall’Ue, potenzialmente acquistabili nell’ambito dell’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Dovrebbero canalizzare risorse verso progetti climatici nei paesi in via di sviluppo, ma la qualità e l’addizionalità di molti crediti restano controverse. Il rischio di greenwashing è concreto, e il trasferimento di risultati tra paesi richiede regole rigorose per evitare doppi conteggi. Non a caso, il Consiglio scientifico europeo sul clima aveva raccomandato di escluderli dagli obiettivi 2040, spingendo per tagli domestici fino al -95%. La decisione finale dei governi va in senso opposto, ma incardina l’uso dei crediti su standard “ad alta qualità” e su un progetto pilota dal 2031 al 2035.

Le ONG ambientali come CAN Europe e WWF criticano l’apertura, sostenendo che esternalizzare parte dello sforzo mina la trasformazione interna dell’industria e dei trasporti. Molti Stati avrebbero preferito limitare o azzerare l’uso di crediti, inizialmente previsto al 3%. Alla fine, la soglia è salita al 5%, con clausola di revisione futura.

Il rinvio dell’ETS2 tocca la vita quotidiana: dal 2028 i fornitori di carburanti e di combustibili per il riscaldamento dovranno acquistare quote per le emissioni generate dai clienti. In teoria, il segnale di prezzo dovrebbe spingere efficienza energetica, elettrificazione e rinnovabili; in pratica, il rinvio concede un anno in più per preparare misure di protezione sociale e reti di compensazione nazionale, ma rimanda anche investimenti in pompe di calore, isolamento e mobilità elettrica.

Nei documenti ufficiali la parola chiave è competitività. Il Consiglio chiede di “rafforzare l’industria europea”, ridurre oneri burocratici, garantire energia accessibile e modernizzare le reti. Il traguardo del 2040 non è solo climatico: diventa una bussola per orientare investimenti in rinnovabili, idrogeno, stoccaggi e tecnologie di cattura della CO₂. Le rimozioni naturali — foreste e suoli — restano un punto incerto, per via di incendi, parassiti e siccità: per questo si punta su rimozioni permanenti “ad alta integrità”.

Il compromesso riconosce che la geopolitica e le crisi energetiche possono cambiare tempi e costi della transizione. La revisione biennale diventa quindi un punto di flessibilità cruciale, una sorta di cerniera che potrà, se necessario, modificare rotta, sempre nel nome della “prosperità e coesione sociale”.

Nel 2023 l’Ue era intorno al -37% rispetto al 1990. Per centrare il -55% nel 2030 servirà accelerare le politiche già avviate; per arrivare al -90% nel 2040 sarà indispensabile una trasformazione profonda di industria, trasporti, edilizia e agricoltura. Il traguardo serve anche a dare certezze agli investitori, mentre le flessibilità introdotte vogliono evitare scosse economiche. Ma se i crediti internazionali non avranno regole severe, il rischio è di accumulare “tonnellate di riduzioni sulla carta”, scoprendo troppo tardi di non essere davvero sulla traiettoria giusta.

Le ONG parlano di “accordo annacquato”, accusando l’Ue di outsourcing climatico. Il fronte industriale, più cauto, accoglie positivamente la prevedibilità del nuovo target, ma teme che revisioni frequenti creino incertezza. Molti governi sottolineano che la vera sfida sarà l’attuazione: semplificare le autorizzazioni, potenziare le reti, sbloccare progetti innovativi. Insomma, meno slide e più cantieri.

L’Europa, alla vigilia della Cop30, si presenta con una bussola e un racconto politico. Il -90% al 2040 resta un faro ambizioso, ma l’apertura ai crediti e il rinvio dell’ETS2 riflettono un tempo in cui l’urgenza climatica deve convivere con la realtà economica e sociale. Il cantiere dei prossimi mesi — tra Parlamento, Commissione e governi — dirà se questo equilibrio si tradurrà in innovazione e tagli reali alle emissioni, o se resterà solo un esercizio di diplomazia numerica.

Auto, case, filiere: dove cadrà l’onda lunga

Nei trasporti, il rinvio dell’ETS2 non cambia l’obiettivo delle auto nuove a zero emissioni al 2035, ma rallenta l’effetto prezzo sui carburanti. La coerenza tra regolazione CO₂, infrastrutture di ricarica e mercato ETS sarà decisiva per evitare squilibri.
Negli edifici, un anno in più può servire a potenziare incentivi e protezioni, ma famiglie e PMI hanno bisogno di certezze su tempi e sostegni.
Per l’industria, l’inclusione delle rimozioni permanenti nell’ETS può offrire un’uscita per i residui più difficili, ma solo se sostenuta da standard rigorosi e senza distogliere risorse dalla decarbonizzazione diretta.

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