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A Settimo Torinese la mensa va in proroga e la sindaca Piastra fa lo "scaricabarile"

La sindaca Elena Piastra nega i ritardi sulla gara della mensa scolastica e ringrazia i tecnici “invidiati da tutta Italia”. Ma in aula la pazienza è finita: tra proroghe, silenzi e scaricabarili, a Settimo la trasparenza resta un piatto freddo.

A Settimo Torinese la mensa va in proroga e la sindaca Piastra fa lo "scaricabarile"

Elena Piastra

Giovedì sera, in Consiglio comunale, si è servito il piatto forte del giorno: lo scaricabarile alla Piastra. Ingredienti semplici: una buona dose di “noi diamo solo gli indirizzi”, un pizzico di “è tutto molto complesso”, e – per guarnire – un ringraziamento ai tecnici che “stanno facendo tutto loro”. Il tema, manco a dirlo, era la gara d’appalto per la refezione scolastica. Un servizio da milioni di euro che riguarda centinaia di bambini e famiglie, ma che a Settimo rischia di finire di nuovo nel forno delle proroghe.

La scena è quella classica: l’opposizione pone una domanda chiara, diretta, quasi ingenua nella sua semplicità; la maggioranza risponde con un sermone amministrativo degno di un corso accelerato in burocrazia. Un copione ormai consolidato in città: si entra con un’interpellanza e si esce con un trattato.

A chiedere chiarimenti sono stati i consiglieri di Fratelli d’ItaliaEnzo Maiolino e Francesco D’Ambrosio e Giorgio Zigiotto – con un’interpellanza che più elementare non si può: “Sindaca, quando pubblicate la gara?”.
Una domanda che, in qualsiasi Comune normale, richiederebbe una risposta con una data. Ma a Settimo Torinese no. Qui si preferiscono i giri di parole, le circonlocuzioni, i “stiamo ragionando”, i “non è semplice”, i “gli uffici ci stanno lavorando”.

E così, davanti a un’aula che cercava una risposta, Elena Piastra ha fatto quello che le riesce meglio: trasformare una banale questione di tempistiche in un trattato di filosofia. Come fa sempre, insomma. Una spiegazione lunga, piena di subordinate e frasi costruite come una delibera, in cui le responsabilità si diluiscono fino a sparire.

“Riconosco a Maiolino una costante attenzione. Come ben sa, noi in Consiglio diamo gli indirizzi. Non ci sono giochini politici. È una gara complessa, con moltissimi contenuti. Ringrazio i tecnici che ci stanno lavorando. Non noi”, ha enfatizzato.

Tradotto: noi decidiamo, loro fanno, e se qualcosa va storto, la colpa è loro.

C’è quasi da ammirarla, la sindaca, per la calma olimpica con cui riesce a distribuire tutte le negatività sul mondo che la circonda declinandole in tutte le lingue del burocratese. Ogni frase è un modo elegante per dire “non è colpa mia”.

Un’arte, la sua, affinata in anni di amministrazione, in cui ogni ritardo diventa “un processo complesso”, ogni disguido “un lavoro in corso”, ogni mancanza “una fase di analisi”.

Insomma, Piastra ha parlato per dieci minuti, ma la sostanza è tutta in una frase: “Non è colpa nostra.”

Peccato che quel “noi” sia la Giunta che governa Settimo da sei anni e che la gara in questione – promessa dall’assessora Chiara Gaiola entro fine settembre, inizio ottobre – ancora non si sia vista nemmeno col binocolo.

Lo ha ricordato senza tanti giri di parole Moreno Maugeri, che non ha nascosto la delusione:
“Questo ritardo ha conseguenze concrete – ha detto –. Il contratto scade il 31 dicembre, e si andrà verso una proroga tecnica di sei mesi. Il servizio sarà garantito fino a giugno 2026, ma prima di settembre 2026 il nuovo appalto non partirà. Un’amministrazione seria comunica anche i ritardi. Qui invece solo promesse disattese.”

Il ritardo comunque, manco a dirlo, ha il sapore dei vermi nel piatto. Perché a Settimo, ormai, ogni scadenza è “una sorpresa” e ogni proroga una “soluzione tecnica”.

È la politica del rinvio, quella che non fa rumore ma rimbomba nella testa dei cittadini, che magari non sanno cosa sia un “atto di gara”, ma si accorgono benissimo quando il conto della mensa sale. E intanto, tra proroghe e promesse, tutto resta fermo.

Manolo Maugeri ha tolto ogni velo di diplomazia.

“Non è accettabile – ha sentenziato – che la procedura stia accumulando ritardi così gravi. Se sapevate che era complessa, perché avete detto che il bando sarebbe uscito a ottobre? Ogni settimana persa è una proroga guadagnata. E le proroghe, si sa, non sono mai una buona notizia. Non è più il tempo di giustificarsi. Non è più il tempo di fare gli scaricabarile come ha fatto il sindaco.”

Un intervento che ha fatto sobbalzare qualcuno tra i banchi della maggioranza, ma non lei, Elena Piastra, che anche stavolta è rimasta impassibile, imperturbabile, quasi compiaciuta. Ha rilanciato come se nulla fosse: “Non c’è nessun ritardo. Non è né ingiustificabile, né allarmante. Lasciamo fare a ognuno il proprio lavoro.”

E poi, la chicca: “Se fossero passati quattro mesi, parlerei di gravi motivi. Ma non è così. I nostri uffici sono un apparato tecnico invidiato da tutta Italia.”

Insomma, di nuovo con una di quelle tante battute su tutto il mondo che guarda Settimo, che invidia Settimo, che belli e che bravi che siamo. Nel dialetto piemontese si direbbe “J’asu ‘d Cavour a s’laudo da sol” (gli asini di Cavour si battono le mani da soli...) ma noi, per educazione, non la diciamo.

Il paradosso è che più Piastra parlava, più confermava, involontariamente, le accuse dell’opposizione: perché dire che “non ci sono ritardi” quando il bando non c’è significa negare la realtà. È come dire che non piove mentre si apre l’ombrello.
Un esercizio di negazione così raffinato che, se ci fosse un premio, lo vincerebbe a mani basse.

E mentre Elena Ruzza cercava di mettere una pezza riproponendo il dibattito di alcuni mesi fa – quello della “grande partecipazione” e del “coinvolgimento voluto dall’assessora Gaiola”Enzo Maiolino rimetteva le cose in chiaro: “Sindaca, governa questa città da sei anni. Non è una scadenza capitata tra capo e collo. Gli uffici stanno facendo il loro lavoro, ma è mancata la parte politica. Una buona amministrazione ci avrebbe lavorato nei tempi giusti. È mancata la politica.”

Da una parte i ritardi, dall’altra Piastra che si vantava del “centro cottura in città” e del “bene che diventerà comunale” al termine della concessione.
Più che un Consiglio comunale, una commedia degli equivoci, con tanto di battute ripetute, applausi tiepidi e silenzi imbarazzati.

La verità è che già a luglio, Fratelli d’Italia aveva messo le mani avanti, non votando le linee guida approvate dal Consiglio perché considerate tardive e troppo restrittive. A

ll’epoca qualcuno aveva sorriso, liquidando le loro perplessità come “allarmismo”. Oggi, invece, il tempo ha dato loro ragione: del bando neanche l’ombra, di comunicazioni ufficiali men che meno. L’unica certezza è la proroga, e in politica – come nelle mense – le pietanze riscaldate non sono mai le migliori.

E qui sorge spontanea la domanda: se davvero gli uffici sono così “invidiati da tutta Italia”, perché non sono riusciti a scrivere un bando nei tempi previsti? O, meglio, perché nessuno ha pensato di cominciare a scriverlo per tempo, visto che la scadenza del contratto era nota da anni? Domande semplici, ma a Settimo le risposte semplici sono considerate un lusso.

La Settimo di Elena Piastra.

Nella Settimo di Elena Piastra, il tempo non scorre come altrove: si dilata, si addolcisce, si trasforma in “fase preparatoria”, “momento di confronto”, “lavoro in corso”. Le promesse hanno la consistenza di un purè tiepido e le scadenze vengono servite “con calma”, come in un ristorante in cui il cameriere ti dice “arriva subito” e poi sparisce dietro la cucina.Dopotutto, Piastra ha ragione su una cosa: il bando è “molto complesso”. Ma forse il vero mistero non è la gara, bensì come riesca, ogni volta, a tentare di convincere tutti che la colpa è sempre di qualcun altro e non sua.
Un capolavoro, sì, ma non di cucina amministrativa: un piatto di retorica servito freddo, con condimento abbondante di giustificazioni.Un capolavoro che non riesce sempre di cucina politica, con lei che serve in ritardo, e gli altri che ne digeriscono le conseguenze.

A luglio il dibattito infuocato sulla gara della mensa

Il dado, come si dice, è tratto. Ma a Settimo Torinese, più che un dado, sembra un boccone amaro.
A luglio, quando il Consiglio comunale ha approvato l’atto di indirizzo per la nuova gara decennale della refezione scolastica, si è respirata un’aria pesante. Non solo per il caldo, ma per la sensazione diffusa che il piatto fosse già stato servito — e pure con la sorpresa dentro.

La delibera, formalmente tecnica, aveva in realtà un peso politico enorme: stabilire chi cucinerà i pasti dei bambini settimesi per i prossimi dieci anni.
A far scattare la miccia era stato, come spesso accade, Vincenzo Maiolino di Fratelli d’Italia, che aveva smontato pezzo per pezzo il testo portato in aula dall’assessora Chiara Gaiola e dalla sindaca Elena Piastra.

«Stiamo approvando un atto fondato su una corsa contro il tempo. La gara parte a settembre e chi non ha già un centro cottura a Settimo dovrà costruirlo in pochi mesi. Ma stiamo scherzando? È impossibile. Non è un bando, è una selezione preconfezionata», aveva tuonato in aula.

Per Maiolino, il problema non era solo nella scelta della concessione al posto dell’appalto, ma nelle tempistiche assurde e nei vincoli territoriali che, secondo l’opposizione, avrebbero ristretto la concorrenza.
La nuova formula, infatti, prevede che il centro cottura debba trovarsi obbligatoriamente nel territorio comunale di Settimo. Un vincolo che, almeno sulla carta, punta a garantire qualità e sicurezza alimentare, ma che nella pratica — come denunciavano i banchi di minoranza — taglia fuori i piccoli operatori e lascia spazio solo ai grandi colossi del settore.

E non finisce qui: chi non dispone già di una cucina in città, avrebbe avuto solo sei mesi per costruirne una, nel frattempo con una proroga tecnica al gestore attuale.

Da qui il sarcasmo tagliente di Maiolino: «Gara già chiusa prima ancora di aprirsi».

E nel suo intervento non era mancata la stoccata diretta alla sindaca Piastra, con tanto di riferimento all’ormai celebre caso degli insetti nei pasti di qualche mese prima: «La sindaca disse di non saperne nulla. Ora facciamo passare una delibera che obbliga il centro cottura a stare in città, ma non basta. Quando verrà fuori il nome del concessionario, qualcosa da dire ce l’avrò…».

A difendere la linea della maggioranza era stata l’assessora Chiara Gaiola. Aveva rivendicato la scelta come «una decisione tecnica dal fortissimo valore politico», frutto di un percorso partecipato con genitori, insegnanti e commissari mensa.
«Ci hanno chiesto una cosa chiara: che il centro cottura resti a Settimo. È una garanzia di qualità e sicurezza. Meno chilometri vuol dire meno rischi. E avere una struttura in città significa anche un ritorno fiscale per l’ente», aveva spiegato.

La delibera conteneva anche una clausola di riscatto del centro cottura dopo dieci anni, presentata come segno di lungimiranza, ma giudicata “fumo negli occhi” da chi chiedeva certezze immediate.
«Abbiamo agito con responsabilità – aveva concluso Gaiola – consapevoli che la concessione è lo strumento più adatto per rispondere alle esigenze delle famiglie».

A chiudere il fronte della maggioranza era stata Elena Ruzza, capogruppo del PD. Aveva definito il documento «un lavoro partecipato e trasparente», respingendo al mittente le insinuazioni di Maiolino: «Le sue allusioni non riguardano questo atto, ma quelli che verranno. Qui abbiamo fatto una scelta politica chiara e condivisa».

Insomma, due visioni inconciliabili: da una parte la retorica del “chilometro zero”, dall’altra la realtà — almeno secondo le opposizioni — di una gara lampo costruita su misura.
La maggioranza difendeva la partecipazione e la trasparenza; FdI parlava di ritardi, vincoli e concorrenza azzerata.

E oggi, a distanza di mesi, toh guarda, i timori di Maiolino sembrano profetici.
La gara che doveva essere pubblicata tra settembre e ottobre non è ancora comparsa.
E i consiglieri di Fratelli d’Italia, che allora denunciavano il rischio di una selezione già scritta, adesso cominciano a pensare che qualcuno la stia davvero servendo a fuoco lento.

vermi

Settimo Torinese e lo scandalo nazionale

Non si può parlare della nuova concessione per la mensa scolastica di Settimo Torinese — quella con il centro cottura obbligatorio in città, la gara decennale e le tariffe che lievitano  — senza ricordare da dove veniamo.
E soprattutto cosa hanno mangiato i bambini di Settimo.

Tutto è esploso il 24 ottobre 2024. Alcune foto hanno fatto il giro dei gruppi WhatsApp, poi dei social, poi dei giornali, e infine delle televisioni nazionali.
Nei piatti della mensa — tra cui quella della scuola primaria Andersen — non c’erano metafore. C’erano vermi. Larve. Insetti veri, vivi, serviti nella minestra dei bambini.
E con le "proteine a centimetro zero" (altro che chilometri) l’indignazione è stata immediata. Il Comune, colto in flagrante leggerezza, ha risposto con il solito copione istituzionale d’emergenza: richiesta di chiarimenti alla ditta, controlli straordinari, promesse di rigore, comunicati indignati e, ovviamente, un “iter sanzionatorio” pronto a partire. Ma il danno era già servito. Freddo, viscido e indigesto.

Le ispezioni dell’Asl To4 e dei NAS hanno poi certificato ciò che tutti avevano già capito: nessuna violazione gravissima, certo, ma una gestione discutibile del centro cottura, con tanto di pulizia straordinaria ordinata in fretta e furia.
La ditta ha provato a sminuire: «Nessun rischio per la salute».
Già, peccato che la salute non fosse più il tema, ma la fiducia sì.

E così, in men che non si dica, è partita la rivolta dei genitori. Lo sciopero del panino — con centinaia di famiglie pronte a mandare i figli a scuola con il pranzo da casa — è diventato una forma di disobbedienza civile.
Un gesto semplice e potentissimo: “non ci fidiamo più di voi”. Niente proclami, niente slogan: solo panini imbottiti.

E se l’assessora Chiara Gaiola tentava di tenere il punto, parlando di partecipazione e trasparenza (parole che suonavano come una barzelletta)  il consigliere Enzo Maiolino denunciava ritardi, alzate di spalle, opacità e scarsa reazione.

E adesso?
Adesso, sulle macerie della minestra infestata, nascerà la nuova gara. Una concessione decennale, con il vincolo del centro cottura in città e la possibilità per il nuovo gestore di costruirlo da zero.
Formalmente a spese proprie, certo. Ma sappiamo già come va a finire: quel cemento armato finirà nel menù, impastato dentro le tariffe. Le famiglie lo pagheranno, cucchiaio dopo cucchiaio, bolletta dopo bolletta.

Chi pensa che si possa parlare del nuovo bando senza evocare i vermi nel piatto, si illude.
Perché a Settimo Torinese la memoria non è corta — e il retrogusto, quando qualcosa va di traverso, resta a lungo.
Oggi si dice che «sarà tutto diverso».
Forse sì: stavolta gli insetti non saranno nel piatto, ma nei conti.
E anche se la minestra sembra nuova, il sapore è sempre lo stesso: amaro, appiccicoso e tremendamente politico.

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