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Vale tre Italie: il trionfo mostruoso di Nvidia

L’azienda di Jensen Huang supera i 5.100 miliardi di dollari di capitalizzazione, più del PIL dell’Italia, e diventa il nuovo impero dell’intelligenza artificiale

Vale tre Italie: il trionfo mostruoso di Nvidia

Vale tre Italie: il trionfo mostruoso di Nvidia

C’è un odore strano dentro la sala macchine del laboratorio di Argonne, nell’Illinois. Ozono e metallo, un aroma di futuro bruciato vivo tra le ventole di un supercomputer che divora energia e sputa calcoli. È da qui — non da Wall Street, né da un ufficio vetrato della Silicon Valley — che si misura oggi la distanza tra un’idea e il suo impatto economico. È in luoghi come questo che la realtà ha raggiunto la finanza, e mercoledì 29 ottobre 2025 è arrivata la conferma: Nvidia ha superato la soglia dei 5.100 miliardi di dollari di capitalizzazione, con un balzo del +5,45% e un’azione che ha toccato i 211,99 dollari. È la prima società nella storia a spingersi così in alto, più del PIL della Francia e della Germania prese singolarmente, e più della somma di tre icone della Silicon Valley come Tesla, Meta e Netflix messe insieme. Ma il dato più impressionante, per noi europei, è un altro: Nvidia oggi vale più dell’Italia intera, il cui Prodotto interno lordo, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, oscilla tra i 2,4 e i 2,6 trilioni di dollari. In altre parole, un’azienda che produce chip e algoritmi “vale” più di tre Italie messe insieme.

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Jensen Huang, o Jen-Hsun Huang

Un primato che non è solo finanziario ma simbolico, perché sancisce l’inizio di un’era nuova, quella in cui la potenza di calcolo è diventata la moneta universale. Con il traguardo dei 5.000 miliardi, Nvidia ha riscritto la gerarchia del capitalismo globale, inaugurando un club che finora non esisteva: nemmeno Apple o Microsoft, le due regine del mercato azionario, si erano spinte tanto in alto. Dal novembre 2022, quando ChatGPT ha acceso la scintilla dell’intelligenza artificiale generativa, il titolo Nvidia ha guadagnato oltre il 1.000%, contro un +69% dell’S&P 500 nello stesso periodo. In poco meno di tre anni, il valore di un chip si è trasformato in potere politico, industriale e persino diplomatico.

Il segreto del dominio Nvidia sta tutto lì, nei suoi GPU, nei chip Hopper e Blackwell, nelle piattaforme CUDA e in quell’ecosistema di librerie e software che l’hanno resa non un produttore, ma un’infrastruttura globale. Non vende più componenti, ma energia computazionale, il carburante del nuovo mondo. La sua catena del valore è diventata un monopolio di fatto: un sistema chiuso e integrato che va dai data center al software, dai supercomputer alla ricerca accademica. Il mercato la valuta come si valutano le risorse strategiche, perché l’intelligenza artificiale non esiste senza i suoi chip, e i suoi chip, a loro volta, non esistono senza la potenza delle sue piattaforme.

In poche settimane, Nvidia ha dato il via a una serie di annunci che hanno alimentato l’entusiasmo: un portafoglio di ordini da 500 miliardi di dollari nei prossimi anni, la costruzione di sette supercomputer per il Dipartimento dell’Energia americano, un investimento da 1 miliardo per acquistare il 2,9% di Nokia con l’obiettivo di accelerare le reti 5G-Advanced e 6G “AI-native”, e l’intenzione di finanziare con 100 miliardi di dollari nuovi data center per OpenAI. Un asse tra hardware, software e potere geopolitico che Washington benedice, consapevole che chi controlla la potenza di calcolo controlla il futuro dell’economia, della ricerca e della sicurezza nazionale.

Il confronto con i PIL nazionali è impietoso. La Germania è stimata tra i 4,7 e i 4,9 trilioni, la Francia intorno ai 3,3, mentre l’Italia si ferma ai 2,5 trilioni. E Nvidia, sola, li supera tutti. Il paragone con la somma di Tesla (1,5 trilioni), Meta (1,9) e Netflix (0,5) spiega meglio di qualunque analisi come la filiera dell’intelligenza artificiale stia risucchiando capitali e immaginario. L’Europa, nel frattempo, rincorre. Si discute di piani industriali, di politica energetica, di sovranità digitale, ma la scala degli investimenti necessaria per competere con un colosso come Nvidia — tra data center, energia, reti e personale qualificato — è talmente immensa da sembrare un miraggio.

Il ritmo di crescita dell’azienda ha del vertiginoso. Dal superamento dei 4.000 miliardi di capitalizzazione, avvenuto a luglio 2025, al traguardo dei 5.000 sono passati appena tre mesi, 79 sedute di borsa: il tempo necessario per creare valore pari a una volta e mezzo l’intera Borsa italiana. L’ultimo trilione è arrivato in un quarto del tempo che era servito per passare da 3 a 4 trilioni. È la dimostrazione di quanto l’economia del calcolo sia ormai la forza dominante dei mercati.

Nvidia oggi pesa per quasi un quinto dei guadagni dell’S&P 500. Senza di lei, Wall Street non avrebbe toccato i massimi storici di questo autunno. Ma la concentrazione è spaventosa: i cosiddetti “Magnificent Seven” rappresentano oltre il 37% dell’indice, una concentrazione di potere economico che non si vedeva dai tempi delle Standard Oil. E non mancano gli avvertimenti: a 35 volte gli utili attesi, Nvidia resta “difendibile” solo finché il flusso di cassa dell’IA continuerà a scorrere. Il Fondo Monetario Internazionale e diverse banche centrali hanno già lanciato allarmi sul rischio di surriscaldamento del settore tech. Tuttavia, Nvidia non è un miraggio finanziario: è un’infrastruttura reale, fatta di acciaio, silicio e corrente elettrica. I suoi numeri lo dimostrano: 24,2 miliardi di dollari restituiti agli azionisti tra dividendi e buyback nella prima metà del 2026 e un titolo in crescita del 39% nei primi nove mesi dell’anno.

La soglia dei 5.000 miliardi, quindi, non è un traguardo estetico, ma il simbolo di un nuovo ordine industriale. È la prova che la scala, oggi, è il vantaggio competitivo più potente: supply chain proprietarie, software che fidelizzano gli sviluppatori, un ecosistema di partner e la capacità unica di colmare la distanza tra ricerca e mercato. Nvidia è diventata un sistema planetario. Ma ogni primato porta con sé la sua ombra: più si cresce, più il rapporto tra innovazione e capitale deve restare sostenibile. L’azienda che oggi “vende potenza di calcolo” al mondo dovrà dimostrare di saperla rendere ogni trimestre più efficiente, più accessibile e più sicura. È questo, più del prezzo di borsa, che deciderà se il club dei 5 trilioni resterà un caso isolato o si aprirà presto a nuovi ingressi.

E allora forse quell’odore di ozono e metallo nella sala macchine di Argonne non è soltanto il profumo del futuro, ma il suo prezzo. L’aroma di un mondo che misura la propria grandezza in teraflop e trilioni, e che ha deciso di credere che l’intelligenza — anche quella artificiale — possa valere più di un Paese intero.

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