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Melissa, l’uragano che ha messo in ginocchio la Giamaica e punta i Caraibi orientali

Dalla furia di categoria 5 al nuovo sussulto: come Melissa ha oscurato l’isola, costretto Kingston allo stato di disastro e minaccia Cuba e Bahamas. Dati, voci dal campo e cosa succede ora.

Melissa, l’uragano che ha messo in ginocchio la Giamaica e punta i Caraibi orientali

Melissa, l’uragano che ha messo in ginocchio la Giamaica e punta i Caraibi orientali

La notte in cui il vento ha staccato il tetto del piccolo ospedale di Black River, la luce si è spenta prima del boato. Poi il silenzio, interrotto a tratti dalle esplosioni dei trasformatori e dal vento che diventava un urlo. Era il passaggio dell’uragano Melissa: un mostro tropicale che, dopo una rapida intensificazione a categoria 5, ha colpito la Giamaica con raffiche devastanti, per poi indebolirsi e successivamente riassestarsi, tornando — secondo gli aggiornamenti operativi e le analisi — su valori di un “major hurricane” prima di puntare su Cuba come categoria 3 e quindi proseguire verso le Bahamas. Per ore, oltre a intere città al buio, anche la voce del Paese si è interrotta: reti elettriche e telecomunicazioni a singhiozzo, informazioni frammentarie, autorità costrette a governare l’emergenza quasi “alla cieca”.

La definizione che rimbalza dalle agenzie internazionali è durissima: tempesta «catastrofica», la peggiore per la Giamaica in questo secolo. La World Meteorological Organization (WMO) ha parlato apertamente di «storm of the century», con avvisi di mareggiate fino a 4 metri, piogge fino a 1 metro in aree isolate e rischio di frane e alluvioni lampo. La U.S. National Hurricane Center (NHC) ha avvertito di «flash flood catastrofiche» e «numerose frane», complici le precipitazioni estreme e la lentezza del sistema. La traiettoria ha tradito le speranze: l’occhio ha preso la strada della costa meridionale, investendo in pieno le contee del Sud e Sud-Ovest, da Clarendon a St. Elizabeth, dove l’acqua ha invaso interi quartieri.

Al momento dell’impatto, Melissa viaggiava con venti fino a circa 185 mph (295 km/h) e una pressione estremamente bassa, livello da categoria 5 sulla scala Saffir–Simpson: il passaggio più violento documentato in epoca moderna sull’isola. L’atterraggio è avvenuto nell’area di New Hope, nella parrocchia di Westmoreland, con la fascia costiera del Sud-ovest travolta da inondazioni e storm surge. Internet ha funzionato a circa il 42% della capacità normale, mentre i blackout hanno toccato punte del 77% dell’utenza.

La cronologia dell’intensità ha sorpreso anche i previsori. Dopo la rapidissima salita a categoria 5 su acque insolitamente calde dei Caraibi, l’impatto con la terra e un ciclo di sostituzione della parete dell’occhio hanno comportato un calo: Melissa ha perso parte della forza, oscillando su valori di categoria 3. Nelle ore successive, la struttura è apparsa di nuovo più organizzata, con segnali compatibili con un parziale ri‑rafforzamento da grande uragano, prima dell’ingresso su Cuba dove il NHC ha certificato l’approdo come categoria 3 e venti massimi attorno a 195 km/h (120 mph). In ogni caso, gli esperti hanno insistito: si tratta di un sistema «estremamente pericoloso», con la pioggia — più che il vento — a dettare il bilancio dei danni e dei rischi per la vita umana.

melissa

Blackout a cascata: da 240 mila a oltre mezzo milione di utenze senza luce

Sul fronte energetico, la fotografia del disastro si può leggere in tre scatti:

  1. alla vigilia dell’impatto, già oltre 51 mila utenze JPS erano senza corrente;
  2. nella mattinata seguente, il conteggio era salito a circa 240 mila (35% della clientela);
  3. nel pomeriggio/sera del 28 ottobre, il numero ha superato 500 mila utenze — oltre il 70–77% della rete — con danni «severi» soprattutto nelle parrocchie centrali e occidentali.

La Jamaica Public Service (JPS) ha segnalato che in alcune aree la rete richiederà ricostruzioni parziali. Per giorni, ripristini e valutazioni sono stati condizionati da linee interrotte, alberi e pali abbattuti, e accessi stradali compromessi.

Stato di disastro e comandi d’emergenza: come ha reagito Kingston

La risposta istituzionale è scattata in anticipo e poi si è fatta più drastica. Il 24 ottobre 2025, su indicazione dell’Office of Disaster Preparedness and Emergency Management (ODPEM), il premier Andrew Holness ha dichiarato l’intera isola “area minacciata” ai sensi del Disaster Risk Management Act (DRMA), attivando poteri speciali e un ordine anti-speculazione sui beni essenziali. A seguire, è stato emesso un ordine di evacuazione obbligatoria per sette aree a rischio, tra cui Port Royal, Old Harbour Bay, Portland Cottage, Rocky Point. Il 28 ottobre, con il cuore della tempesta sull’isola, il governo ha firmato l’Ordine di Dichiarazione di Area di Disastro. In parallelo, l’ODPEM ha portato il NEOC (Centro Operazioni d’Emergenza) al Livello 3 — la piena attivazione nazionale — e ha aperto centinaia di rifugi.

Per evitare truffe e canalizzare gli aiuti, l’esecutivo ha lanciato il portale Support Jamaica (dominio .gov.jm) per donazioni, richieste di assistenza e segnalazioni di danni. Lo strumento — presentato dalla ministra Dana Morris Dixon — funge da hub ufficiale per la raccolta fondi, la mappatura dei bisogni e l’indirizzamento ai rifugi.

Sanità e infrastrutture: ospedali sotto stress, strade interrotte

Sul sistema sanitario l’urto è stato pesante. La Pan American Health Organization (PAHO/WHO), già alla vigilia del landfall, segnalava ospedali in modalità emergenza e fabbisogni urgenti in generatori, attrezzature per cure d’urgenza, tende e refrigeratori per vaccini. Con il passaggio di Melissa, quattro ospedali hanno riportato danni e almeno una struttura ha dovuto evacuare i pazienti per il blackout, mentre a Black River sono stati documentati cedimenti strutturali e coperture sradicate. La rete stradale ha subito crolli, allagamenti e frane, isolando comunità soprattutto nelle aree montane e lungo la costa meridionale.

Il nodo più insidioso: la pioggia estrema e le frane

I bollettini del NHC hanno insistito per giorni su un pericolo spesso sottovalutato: la pioggia eccezionale, con cumulate fino a 40 pollici (circa 1 metro) in alcune zone, e il conseguente rischio di frane. In paesi come la Giamaica, i versanti ripidi (si pensi ai Blue Mountains) e la deforestazione locale aumentano la vulnerabilità dei terreni saturi. Lento, potente e carico d’acqua, Melissa ha combinato tutte le condizioni per trasformare vie di comunicazione in torrenti e per tagliare collegamenti vitali tra ospedali, depositi e comunità isolate.

Cuba, evacuazioni di massa e un impatto ancora pericoloso

Mentre la Giamaica faceva i conti con i danni, Melissa ha puntato verso Cuba orientale. Qui, tra Santiago de Cuba e Guantánamo, le autorità hanno disposto evacuazioni di massa (centinaia di migliaia di persone) e messo in guardia da storm surge significativi, piogge abbondanti e frane. Il 29 ottobre il NHC ha confermato l’atterraggio sulla costa sud-orientale come categoria 3 con venti attorno a 195 km/h, invitando a non sottovalutare gli effetti di piene improvvise e mareggiate lungo le baie esposte. La traiettoria successiva ha spinto l’uragano verso le Bahamas, dove sono scattati allerta e preparativi.

Perdite umane e feriti: bilanci parziali, cautela sui numeri

Nelle prime 24–48 ore successive al landfall in Giamaica, il quadro delle vittime è rimasto incerto — anche per i problemi di comunicazione — con segnalazioni di decessi e feriti in più Paesi dei Caraibi (tra cui Haiti e Repubblica Dominicana) durante la fase di avvicinamento e impatto. Le autorità giamaicane, pur parlando di “impatti devastanti”, hanno avvertito che il bilancio potrebbe oscillare man mano che le squadre raggiungono le aree più isolate. In emergenze con blackout estesi e reti mobili instabili, il ritardo nella conferma ufficiale di vittime e dispersi è purtroppo la norma.

Perché Melissa è stata così feroce

Uno degli elementi più discussi è la rapid intensification: il salto di più categorie in tempi molto brevi, sostenuto da temperature superficiali del mare sopra la media e — sempre più spesso — da acque calde anche in profondità. Gli scienziati collegano questi fattori al cambiamento climatico, sottolineando che gli oceani più caldi forniscono energia in abbondanza ai cicloni, favorendo impennate ravvicinate alla costa e rendendo più difficile la pianificazione dell’emergenza. Il 2025 ha già visto diversi casi di intensificazione rapida nell’Atlantico; Melissa ne è un esempio paradigmatico.

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