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29 Ottobre 2025 - 14:55
Donald Trump
Una notte senza luna, nel Mar dei Caraibi. Un motoscafo corre a luci spente verso nord quando un bagliore improvviso squarcia l’orizzonte. All’alba restano rottami che galleggiano e domande senza risposta: chi c’era a bordo, cosa trasportava davvero, di chi è la responsabilità legale per quelle morti?
È lo scenario che, da settembre 2025, si ripete con una frequenza crescente sotto la nuova dottrina della Casa Bianca sul narcotraffico: colpire in mare aperto, prima che le barche raggiungano coste amiche o nemiche. Il presidente Donald Trump rivendica “vite americane salvate”; giuristi, governi latinoamericani e organizzazioni per i diritti umani parlano di “esecuzioni extragiudiziali”. Nel mezzo, una regione che torna al centro della politica estera statunitense, ma non per la cooperazione: per la coercizione.
La scelta degli uomini racconta la strategia. Il 20 gennaio 2025, il Senato conferma all’unanimità Marco Rubio come nuovo segretario di Stato: il primo ispanico a guidare la diplomazia americana, falco dichiarato su Cina, Cuba e Venezuela. Poche settimane dopo, il 24 marzo, arriva la conferma di Christopher Landau a vice segretario di Stato, avvocato, ispanofono, già ambasciatore a Città del Messico. È una coppia che conosce il terreno latinoamericano e promette un approccio diretto, poco incline ai giri di parole.
L’arrivo di Rubio e Landau coincide con un riassetto profondo della diplomazia: riduzione di uffici, trasferimenti di funzioni e drastica sforbiciata sulla cooperazione allo sviluppo. La parola d’ordine è riallineare l’apparato agli interessi nazionali percepiti, a partire dalla sicurezza dei confini e dalla crociata contro il fentanil.
Il passaggio chiave è giuridico e politico. Con un ordine presidenziale firmato il 20 gennaio 2025, la Casa Bianca crea un meccanismo accelerato per designare i principali cartelli del narcotraffico come “Organizzazioni terroristiche straniere” (FTO) e/o “Terroristi globali” (SDGT). La mossa amplia gli strumenti repressivi, apre alla cooperazione di intelligence in chiave antiterrorismo e consente misure extraterritoriali più incisive. Nei mesi successivi, Dipartimento di Stato, Tesoro e Dipartimento di Giustizia annunciano designazioni e incriminazioni che includono reti del cartello di Sinaloa, gruppi venezuelani come il Tren de Aragua e gang transnazionali come MS‑13.

Sul piano operativo, questa riclassificazione si traduce in sanzioni finanziarie più rapide, cooperazione investigativa estesa e, soprattutto, nella cornice narrativa che giustifica l’uso della forza militare fuori dai teatri di guerra tradizionali. È qui che la dottrina Trump si distingue dai precedenti approcci di contrasto: i cartelli non sono più “solo” criminalità organizzata, ma un nemico para-insurrezionale che minaccia la sicurezza nazionale.
Dall’inizio di settembre 2025, gli Stati Uniti hanno condotto una serie di attacchi contro imbarcazioni ritenute coinvolte nel traffico di droga tra Caraibi ed oceano Pacifico orientale. Secondo inchieste giornalistiche e fonti ufficiali, il dispositivo ha coinvolto fino a diecimila militari, otto unità navali di superficie e pattugliamenti aerei, con l’impiego – in alcuni momenti – di un gruppo portaerei. Il bilancio, in continuo aggiornamento, parla di decine di morti tra gli equipaggi bersaglio. Pete Hegseth, capo del Pentagono, definisce i bersagli “narcoterroristi”; il presidente Trump lascia intendere che, se necessario, seguiranno operazioni “a terra”.
Ma c’è un problema: finora Washington non ha reso pubbliche prove verificabili sul carico delle imbarcazioni o sull’identità dei presunti trafficanti. E quando la Colombia ha denunciato che tra le vittime ci sarebbero stati propri cittadini, il presidente Gustavo Petro ha parlato di “omicidio”. Le reazioni non arrivano solo dai governi: esperti ONU indipendenti hanno definito gli attacchi “esecuzioni extragiudiziali” in violazione del diritto internazionale, mentre giuristi statunitensi contestano l’assenza di un’autorizzazione del Congresso e la debolezza dell’argomento di “autodifesa” in alto mare. Un tentativo di blocco tramite War Powers Resolution è stato respinto di misura al Senato.
La Casa Bianca sostiene che l’approccio militare funzioni là dove tre decenni di intercettazioni marittime non hanno prodotto risultati duraturi. Nelle comunicazioni pubbliche, Trump ha affermato che ogni barca distrutta equivale a “vite salvate” negli Stati Uniti, e in un passaggio diventato virale ha descritto “sacchi di fentanyl che galleggiano sull’oceano”. I fatti, tuttavia, restano opachi: senza elementi probatori accessibili, è impossibile verificare se quelle imbarcazioni portassero davvero stupefacenti o quali fossero le regole d’ingaggio applicate. Nel frattempo, il clima si surriscalda nel quadrante: voli di bombardieri a lungo raggio vicino al Venezuela, missioni coperte della CIA, una postura navale più assertiva.
Il nuovo attivismo americano si inserisce in un quadro più ampio di scambi e pressioni con i vicini. Nei mesi successivi all’insediamento, Washington ha legato la cooperazione su migrazioni e sicurezza a strumenti duri come i dazi e la minaccia di espandere l’azione militare oltre il mare. Città del Messico ha annunciato l’invio di migliaia di militari per contenere i flussi verso la frontiera nord, evitando lo scontro frontale con Trump ma mantenendo la difesa della sovranità. Con la Colombia, il confronto s’inasprisce dopo gli attacchi in mare: il richiamo dell’ambasciatore, le accuse incrociate e gli avvertimenti della Casa Bianca sulle coltivazioni illecite aprono un fronte diplomatico sensibile. In questo contesto, Rubio e Landau giocano su un doppio registro: pressione pubblica, canali bilaterali intensi, premialità condizionata.
Se l’hard power occupa i titoli, la trasformazione della cooperazione è la più radicale degli ultimi decenni. Tra febbraio e marzo 2025, l’amministrazione annuncia la cancellazione di circa l’83% dei programmi della US Agency for International Development (USAID), il trasferimento delle funzioni residue al Dipartimento di Stato e migliaia di esuberi. Il progetto di “chiusura” o “assorbimento” dell’agenzia scatena ricorsi e una battaglia istituzionale su un punto di diritto: un presidente può abolire un ente creato dal Congresso senza una legge? Secondo analisi indipendenti e pareri legali raccolti dal Congressional Research Service, la risposta tendenziale è no. Ma nel frattempo, sul terreno, i programmi sono fermi e i vuoti vengono occupati da altri attori, inclusa la Cina.
Per l’America Latina, la contrazione dell’aiuto americano significa meno fondi su sanità, agricoltura, governance e progetti ambientali, settori in cui la presenza USA aveva ancora un peso anche dopo anni di disinvestimento. La scommessa della Casa Bianca è che la leva securitaria basti a garantire risultati politici immediati: meno arrivi irregolari, più arresti eccellenti, linee di rifornimento del fentanil interrotte alle fonti. I governi della regione, però, leggono l’insieme come un cambio di paradigma che privilegia il bastone e restringe al minimo la carota.
Mentre Washington punta su coercizione e deterrenza, Pechino consolida la sua rete economica. Nel 2024, l’interscambio tra Cina e America Latina e Caraibi ha toccato quota 515‑518 miliardi di dollari, nuovo massimo storico. A maggio 2025, al Forum Cina‑CELAC a Pechino, il presidente Xi Jinping annuncia nuove linee di credito per circa 10 miliardi di dollari e una spinta a cooperazione industriale, energie pulite, 5G e AI. La Cina è già primo partner per Paesi come Brasile, Cile e Perù; l’UE arretra nelle quote d’IDE, e gli Stati Uniti restano il primo investitore complessivo, ma con un soft power più fragile. In assenza dei programmi USAID, la capacità competitiva di Washington nella regione si gioca su commercio, sicurezza e infrastrutture: tre campi in cui la Repubblica popolare ha costruito vantaggi di scala.
Tra i capitoli più discussi, l’attivismo statunitense verso Buenos Aires. Nel pieno di una campagna elettorale delicata, la Casa Bianca ha legato messaggi di sostegno al presidente Javier Milei alla promessa (o minaccia) di pacchetti finanziari di dimensioni eccezionali, fino a 20 miliardi di dollari per stabilizzare il peso e altri 20 miliardi per il settore privato, con un messaggio politico esplicito: generosità sì, ma solo con governi ideologicamente allineati. Una tattica che parla più a Pechino e ai mercati che alle opinioni pubbliche: chi detiene il rubinetto della liquidità, detta le condizioni. E chi non le accetta, diversifica i partner. (La dinamica è stata riportata e discussa dalla stampa internazionale; i dettagli restano oggetto di contestazione tra governi e opposizioni.)
Sullo sfondo di navi e sanzioni, c’è un interrogativo che unisce giuristi e diplomatici: qual è la base legale delle operazioni letali in alto mare contro presunti trafficanti? L’amministrazione invoca l’autodifesa e la lotta al terrorismo; esperti di diritto internazionale ricordano che il traffico di droga, per quanto devastante, non costituisce di per sé “attacco armato” ai sensi della Carta ONU e che l’uso della forza tra Stati è proibito fuori dalle eccezioni previste. Senza un’AUMF specifica del Congresso, il rischio di uno scivolamento dottrinale – dalla law enforcement alla guerra preventiva contro attori non statali – è concreto. La bocciatura, per un soffio, del tentativo di limitare la campagna via War Powers segnala che il Parlamento è spaccato ma, per ora, non intende vincolare l’Esecutivo.
Per i governi latinoamericani, il messaggio del 2025 è chiaro: chi collabora su migrazioni, droghe e contenimento cinese può aspettarsi accesso preferenziale a commercio e strumenti finanziari; chi devia, rischia dazi, sanzioni e, nei casi estremi, l’uso della forza. Alla Colombia si chiede di accelerare sulla eradicazione; al Messico di presidiare i confini sud e nord; al Venezuela di fermare logistiche che Washington definisce “para-statali”. Allo stesso tempo, la designazione dei cartelli come FTO crea nuove responsabilità legali per soggetti terzi: banche, imprese, perfino ONG, che ora devono moltiplicare le verifiche per evitare di incappare in sanzioni secondarie.
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