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26 Ottobre 2025 - 17:59
Louvre, due arresti per il furto da 88 milioni: la Francia ferita nel suo orgoglio
È passata appena una settimana da quella mattina del 19 ottobre, eppure a Parigi sembra trascorso un secolo. Il furto dei gioielli della Galerie d’Apollon al Louvre continua a scuotere la Francia intera, tra indignazione, orgoglio ferito e un senso di vulnerabilità che non si era mai provato prima. Perché non si tratta solo di una rapina, ma di un colpo inferto al cuore dell’identità nazionale: un affronto al Paese che custodisce l’arte come una religione. E ora, con i due arresti effettuati la sera del 25 ottobre, la vicenda entra in una nuova fase: quella delle prime risposte concrete, ma anche delle prime polemiche.
Le manette sono scattate dopo una settimana di caccia serrata. Due uomini, sospettati di far parte del commando che in meno di dieci minuti ha sottratto otto gioielli per un valore stimato di 88 milioni di euro, sono stati fermati dalla Brigade de Répression du Banditisme (BRB), reparto d’élite della polizia criminale francese. Uno dei due, di nazionalità francese, è stato catturato nella periferia nord della capitale; l’altro, con doppia cittadinanza franco-algerina, è stato bloccato all’aeroporto di Roissy mentre cercava di imbarcarsi su un volo diretto ad Algeri. Un tempismo perfetto: pochi minuti in più, e l’uomo sarebbe scomparso oltre il Mediterraneo.
Il furto, avvenuto intorno alle 9:30 del 19 ottobre, ha avuto qualcosa di chirurgico. I ladri, armati di una piattaforma elevatrice e di un carrello meccanico, hanno raggiunto le vetrine blindate della Galleria d’Apollon, dove sono conservati i diademi, le corone e i collier della monarchia francese, opere d’arte più che gioielli. In appena sette-otto minuti, con una precisione quasi militare, hanno forzato i vetri rinforzati, disattivato un sistema d’allarme locale e portato via otto pezzi, tra cui un pendente di diamanti appartenuto a Maria Antonietta. Poi, il nulla: le telecamere li mostrano uscire da una porta laterale, salire su due scooter neri e svanire nella Parigi del mattino.
La procuratrice Laure Beccuau ha confermato che gli arresti sono stati effettuati ma, con la consueta prudenza, ha evitato di fornire dettagli: “L’indagine è ancora in corso. Le informazioni verranno comunicate solo al termine della custodia cautelare”. Dietro le sue parole, una certezza: la rete dei complici non è stata ancora smantellata. Secondo fonti vicine al dossier, almeno altri quattro individui sarebbero coinvolti, forse con ruoli chiave nella logistica o nella rivendita dei beni rubati.
Il sospetto bloccato a Roissy sarebbe già noto alle forze dell’ordine per reati di ricettazione e traffico di oggetti di lusso. La sua cattura, con un biglietto di sola andata e una somma di contanti addosso, rafforza l’ipotesi di un’operazione con ramificazioni internazionali. Non è escluso che il furto sia stato commissionato da una rete organizzata specializzata nel mercato nero dei gioielli, con contatti in Nord Africa o Medio Oriente.
Le indagini, coordinate dalla BRB, hanno mobilitato oltre 100 investigatori, con un’intensità che raramente si è vista in Francia per un caso di furto. Sono stati analizzati frame per frame i video di sorveglianza, tracciati i noleggi di piattaforme e furgoni, verificati i movimenti aerei dei giorni successivi al colpo. È in corso un lavoro scientifico minuzioso: tracce di DNA, impronte parziali, residui di guanti, fibre di tessuto e persino una bottiglietta d’acqua ritrovata nel cantiere interno del museo. Tutto, persino un capello, può diventare una chiave.
Ma mentre la giustizia avanza con metodo, la politica e i media hanno già acceso un dibattito incandescente. La Francia si interroga, discute, si divide. Da un lato chi invoca più sicurezza, telecamere ovunque, forze armate nei luoghi simbolo; dall’altro chi teme una deriva “poliziesca” del patrimonio culturale. Il ministro dell’Interno Laurent Nuñezha subito chiarito la sua posizione: “Non vogliamo trasformare un museo in una caserma. Esistono già presidi nelle vicinanze”. Ma la frase, pronunciata con tono deciso, ha avuto l’effetto di un detonatore.

L’opposizione di destra parla di “umiliazione nazionale”, di “falla inaccettabile nella sicurezza del primo museo del mondo”. Il Rassemblement National ha chiesto un’inchiesta parlamentare e accusato il governo di “sottovalutare la criminalità organizzata che mina il prestigio della Francia”. Dall’altra parte, la sinistra accusa il ministro di retorica e difende la necessità di preservare “l’anima dei luoghi della cultura” da una sorveglianza militare. In mezzo, l’opinione pubblica, confusa e sconcertata.
La stampa internazionale, da Londra a New York, ha rilanciato le immagini della Galerie d’Apollon devastata. I piedistalli vuoti, i vetri in frantumi, la polvere di cristallo che copre i pavimenti come una neve artificiale. Quelle immagini, più di ogni discorso politico, hanno ferito l’orgoglio francese. In un Paese che ha costruito la propria identità sull’idea di civiltà, cultura e arte, vedere violato il Louvre è come assistere a un sacrilegio.
C’è chi parla di “Lupin moderni”, chi ipotizza la mano di una rete dell’Est Europa, chi persino avanza teorie su un “colpo su commissione” da parte di un collezionista senza scrupoli. Ma gli inquirenti restano cauti: “Abbiamo davanti persone organizzate, addestrate, che sapevano esattamente dove e come colpire”, ha detto una fonte della polizia giudiziaria. Nessuna improvvisazione, nessun dilettantismo. Solo metodo, freddezza, e conoscenza perfetta della mappa interna del museo.
E infatti, tra le ipotesi più discusse, spunta quella di una soffiata interna. Qualcuno, forse un ex dipendente o un fornitore, avrebbe fornito informazioni cruciali: i turni delle ronde, la sequenza delle telecamere, il momento in cui i vetri blindati vengono sbloccati per la manutenzione. Se così fosse, il furto assumerebbe una dimensione ancora più inquietante: quella del tradimento dall’interno.

Tra le ipotesi più discusse, spunta quella di una soffiata interna. Qualcuno, forse un ex dipendente o un fornitore, avrebbe fornito informazioni cruciali ...
Nel frattempo, il direttore del Louvre ha promesso una revisione totale dei protocolli di sicurezza. È in corso un audit interno e già si parla di un piano straordinario di ristrutturazione, con nuovi sistemi biometrici e sensori di movimento di ultima generazione. Ma per molti francesi è troppo tardi: “Dopo che ti rubano i gioielli, i sensori servono solo a salvare la faccia”, ha scritto un commentatore di Le Figaro.
Il tema della sicurezza nei musei è diventato una questione nazionale. Alcuni parlamentari propongono di istituire una polizia culturale con competenze specialistiche; altri temono che si finisca per militarizzare l’arte. L’opinione pubblica, invece, sembra oscillare tra due emozioni opposte: il sollievo per la rapidità degli arresti e la disillusione di fronte all’idea che un simbolo come il Louvre possa essere violato così facilmente.
Eppure, se c’è una certezza, è che la risposta dello Stato è stata rapida e incisiva. In meno di una settimana, la BRB ha identificato i sospetti, ottenuto mandati, tracciato spostamenti e bloccato una fuga internazionale. Un risultato che, per molti, rappresenta una vittoria della polizia francese e una prova di efficienza investigativa. Ma la ferita resta. E con essa una domanda più profonda: quanto vale davvero il nostro patrimonio, se non riusciamo a proteggerlo senza trasformare i musei in fortezze?
La procuratrice Beccuau, nota per la sua riservatezza, ha richiamato tutti alla prudenza: “Il tempo della giustizia non è quello dell’emozione pubblica”. Una frase che ha colpito per il suo equilibrio e che sembra rivolgersi non solo ai media, ma all’intero Paese. Perché dietro la cronaca di un furto spettacolare si nasconde qualcosa di più grande: la fragilità delle istituzioni culturali in un’epoca di globalizzazione criminale, di tecnologia usata contro chi dovrebbe esserne protetto, e di narrazioni mediatiche che trasformano il delitto in spettacolo.
Nei caffè del Quartier Latin, intanto, si discute a voce bassa. Qualcuno ricorda che già nel 1911, quando fu rubata la Gioconda, il Louvre visse giorni di caos e vergogna. Poi, la tela tornò e divenne il quadro più famoso del mondo. Forse, sperano i francesi, anche questa volta la storia avrà un epilogo simile. Ma nessuno si illude: i gioielli della Galerie d’Apollon, se davvero sono stati smontati o dispersi, potrebbero non tornare mai più.
E così, mentre le luci della sera si riflettono sulla piramide di vetro, Parigi osserva se stessa con un misto di rabbia e malinconia. I turisti continuano a scattare foto, ma lo sguardo è diverso, più diffidente. Il Louvre, ferito ma non sconfitto, resta lì, come un gigante sotto assedio. Due uomini sono in carcere, altri verranno forse arrestati. Ma la Francia sa che il vero furto non è solo quello dei gioielli: è quello della fiducia. Quella che serviva per credere che il suo patrimonio fosse inviolabile, eterno.
Oggi non lo è più. E in questa consapevolezza amara, forse, sta la lezione più dolorosa di tutte.
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