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Il Ponte (che non c’è) di Salvini si ferma alla Corte dei Conti

Il 24 ottobre 2025 la Corte dei Conti ha bloccato la registrazione della delibera Cipess sul Ponte sullo Stretto. Dubbi su costi, procedure e appalti. E Salvini, fedele al copione, parla di “passaggio tecnico” e sogna ancora cantieri fantasma e selfie in elmetto

Il Ponte (che non c’è) di Salvini si ferma alla Corte dei Conti

Matteo Salvini

Il 24 ottobre 2025 è il giorno in cui il sogno di Matteo Salvini, il suo Ponte delle Meraviglie, quello che doveva unire la Sicilia alla Calabria, si è fermato. O meglio, si è impantanato nei meandri della Corte dei Conti, dove i magistrati contabili hanno deciso di non registrare la delibera del Cipess che approvava il progetto definitivo. Un piccolo dettaglio burocratico, direbbe qualcuno. Ma, come spesso accade in Italia, sono proprio i “dettagli” a fare la differenza tra un proclama politico e un cantiere vero.

La Corte, in soldoni, ha detto che vuole vederci chiaro. Che i conti non tornano, che le procedure meritano un approfondimento. Una formula elegante per dire che non si fida. E come darle torto? In un Paese in cui le grandi opere hanno spesso generato più inchieste che infrastrutture, la prudenza è d’obbligo. Il verdetto? “Istruttoria aperta”. Un modo giuridico per dire che il Ponte, per ora, resta nel limbo dei sogni elettorali, insieme alla flat tax, ai porti chiusi e al “Prima gli italiani”.

Il Ponte di Salvini, del resto, è sempre stato più un simbolo che un progetto. Un totem da agitare nei comizi, un mantra da esibire nei talk show per dimostrare che “questa volta si fa sul serio”. L’ennesimo tentativo di vendere un futuro sospeso tra Scilla e Cariddi, fatto di cemento e promesse. Peccato che, tra un rendering patinato e una conferenza stampa entusiasta, la realtà – come spesso accade – abbia un’altra opinione.

La Corte dei Conti, infatti, non ha messo in discussione solo l’atto del governo, ma l’intero impianto procedurale. Ha parlato di “dubbi in relazione a profili rilevanti” riguardanti i costi, l’appalto, la conformità alle norme europee sulla concorrenza, e le varianti introdotte strada facendo. Tradotto: troppi punti oscuri, troppi numeri ballerini. Il progetto, stimato attorno ai 13,5 miliardi di euro, rischia di diventare una voragine non solo geografica ma finanziaria.

Salvini, però, non si arrende. Appena appresa la notizia, ha dichiarato che si tratta solo di “un passaggio tecnico”. Che va tutto bene, che i lavori inizieranno “entro la fine dell’anno”. E magari anche il giorno di Natale, giusto per dare un tocco epico alla narrazione. L’uomo del “fare”, quello dei ruspe e dei selfie in cantiere, non può certo ammettere che la sua opera-simbolo si sia arenata su una secca di carte bollate. Così minimizza, rassicura, promette. Ma il problema è che stavolta non si tratta di convincere quattro elettori in diretta su TikTok, ma di superare i rilievi di una Corte che chiede conti, non slogan.

Il progetto del Ponte sullo Stretto è, da sempre, un gigantesco paradosso italiano. Annunciato, cancellato, riesumato e poi di nuovo sospeso, ha attraversato governi di ogni colore. Dalla prima approvazione negli anni Duemila, ai tentativi di rilancio del centrodestra, fino al “miracolo tecnico” di Salvini, che nel 2023 aveva assicurato: “Entro il 2032 si attraverserà lo Stretto in macchina e in treno”. Ora, a distanza di due anni, la prospettiva più realistica sembra quella di attraversarlo con la solita nave.

Dietro lo stop della Corte dei Conti si cela una questione molto più ampia: la credibilità del sistema delle grandi opere in Italia. Gli esperti hanno evidenziato lacune nei documenti di progettazione, stime economiche troppo ottimistiche e un modello di concessione poco chiaro. La società Stretto di Messina S.p.A., che dovrebbe gestire l’intervento, è stata resuscitata dopo anni di ibernazione, come se bastasse una delibera per ridare vita a un dinosauro burocratico. Ma ricostruire un’azienda pubblica, dopo un decennio di inattività e di cause pendenti, è cosa ben diversa dal fare un video su Instagram.

C’è poi la questione del finanziamento. Il governo ha promesso che l’opera sarà coperta in gran parte da fondi pubblici, con un contributo dei privati. Peccato che i privati, al momento, non si siano visti. E che le banche, di fronte a un piano economico ancora traballante, non sembrino particolarmente entusiaste di investire in un progetto che, se mai vedrà la luce, potrebbe impiegare più tempo della costruzione del Colosseo.

I magistrati contabili, che non hanno mai amato le scenografie populiste, hanno ricordato che prima di parlare di inaugurazioni bisogna rispettare norme e procedure. Ecco perché hanno convocato una seduta plenaria per il 29 ottobre, in cui la delibera del Cipess sarà riesaminata. Fino ad allora, ogni dichiarazione trionfalistica resta solo fumo. Fumo denso, di quelli che piacciono a Salvini, abituato a vendere “cantieri imminenti” come se fossero granite sul lungomare di Taormina.

Eppure, il leader leghista continua a mostrarsi sereno. Dice che “i tecnici faranno il loro lavoro”, che “i documenti sono a posto”, che “nessuno fermerà lo sviluppo del Sud”. Come se il Ponte fosse l’unico destino possibile per la Sicilia e la Calabria, due regioni che nel frattempo affondano nei loro problemi reali: disoccupazione, trasporti locali allo sbando, sanità allo stremo. Ma si sa, un viadotto fa più scena di un treno regionale puntuale.

Ironia della sorte, lo stop arriva proprio mentre Salvini stava cercando di rilanciare la sua immagine da “ministro del fare” dopo mesi di scivoloni. Dai ritardi nei cantieri delle opere ferroviarie, ai dati impietosi sulle infrastrutture del Nord, fino alla grana degli appalti Anas. Ora il Ponte, che doveva essere la sua bandiera, rischia di diventare il suo monumento all’eterna promessa. Una statua di cemento mai costruita, sospesa nel nulla, tra due coste che non si incontrano.

E intanto, i critici parlano. Gli ambientalisti gridano all’assurdo: ricordano che l’area dello Stretto è una delle più sismiche d’Europa, che le correnti marine sono imprevedibili e che gli impatti ambientali non sono stati analizzati con la dovuta serietà. Gli economisti fanno notare che i costi potrebbero lievitare del 30 o 40% rispetto alle previsioni. I tecnici spiegano che per garantire la sicurezza del Ponte – lungo oltre 3 chilometri – servirebbero tecnologie ancora in fase sperimentale. Ma per Salvini, queste sono solo “menate da professoroni”.

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Il ministro delle Infrastrutture, fedele al suo personaggio, preferisce il linguaggio delle ruspe e delle ruspe metaforiche. In fondo, da Pontida allo Stretto, la distanza è breve: bastano un palco, qualche bandiera, un “Lo faremo!” urlato al microfono e la folla è servita. Peccato che la Corte dei Conti non si faccia impressionare da queste scenografie. Non basta un selfie in elmetto per far passare un atto amministrativo.

Certo, qualcuno dirà che la burocrazia blocca il Paese. Ma in questo caso la burocrazia ha solo ricordato che i miliardi pubblici non si spendono a colpi di post. Che serve trasparenza, controllo, serietà. E che i sogni di gloria non bastano a reggere un ponte di 3.300 metri.

Nel frattempo, il countdown verso l’inizio dei lavori – annunciato da Salvini come “imminente” già lo scorso anno – si trasforma nell’ennesima corsa contro il tempo. Ogni mese perso rischia di far slittare l’opera di un anno. Ogni anno perso rischia di farne saltare la copertura finanziaria. Ma Salvini non demorde: sorride, ironizza, accusa i “soliti gufi” di voler bloccare il progresso. È il suo copione preferito, quello del guerriero contro la casta dei tecnici. Peccato che stavolta i tecnici abbiano in mano le chiavi del progetto.

E così il 24 ottobre 2025 entra nella cronaca come la data del “fermo contabile” del Ponte. Non una bocciatura definitiva, certo, ma un segnale chiaro: l’Italia delle carte e dei controlli non si piega alla politica dei tweet. In un mondo in cui tutto deve essere immediato, la Corte ha ricordato che esistono ancora i tempi della legge, della responsabilità, del buon senso.

Il Ponte sullo Stretto, oggi, resta un disegno su carta, un sogno sospeso, un fantasma di calcestruzzo che si aggira tra i faldoni della Corte dei Conti. E Salvini, ancora una volta, si ritrova nella parte che gli riesce meglio: quella del vittima del sistema. “Non ci fermeranno!”, grida, dimenticando che nessuno lo ha fermato. È solo la realtà che gli ha chiesto di fare i conti.

Insomma, il Ponte sullo Stretto continua a dividere più di quanto unisca. Divide l’Italia tra chi crede nei miracoli elettorali e chi chiede trasparenza, tra chi vuole sognare e chi pretende di sapere quanto costa. E mentre le carte passano da una scrivania all’altra, tra un timbro e una firma, lo Stretto di Messina resta lì: bellissimo, indomabile, attraversato ogni giorno da traghetti che – ironia della sorte – continuano a fare il loro mestiere. Senza promesse, senza proclami, e soprattutto, senza bisogno di un ministro che li inauguri ogni settimana.

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