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24 Ottobre 2025 - 21:54
L'obesità adesso è una malattia ma non ci sono soldi per curarla
È il nuovo Piano nazionale per la gestione delle malattie croniche, approvato dopo quasi nove anni di attesa dalla Conferenza Stato-Regioni. Un documento che punta a ridisegnare l’assistenza a quella parte consistente della popolazione – circa il 40% degli italiani, in gran parte anziani – che convive ogni giorno con patologie croniche. Una vera e propria sfida per il Servizio sanitario nazionale, chiamato a garantire continuità di cura, integrazione tra servizi sanitari e sociali e percorsi personalizzati, in un Paese dove l’invecchiamento e la multimorbidità stanno diventando la norma.
La novità più importante è l’inclusione, per la prima volta, di obesità, endometriosi ed epilessia tra le patologie riconosciute come croniche. Tre malattie che, nel complesso, coinvolgono milioni di cittadini e che ora entrano ufficialmente nel perimetro dell’assistenza continuativa. Un segnale politico e culturale non di poco conto, soprattutto per chi da anni si batte contro lo stigma e la sottovalutazione di disturbi come l’obesità, spesso ancora considerata un problema di scarsa forza di volontà più che una condizione clinica.
Il nuovo Piano mira a rafforzare la sanità territoriale: centrale sarà il ruolo delle Case della Salute, che dovranno diventare il punto di riferimento per un’assistenza multidisciplinare e continuativa, riducendo il ricorso agli ospedali quando non necessario. Per l’obesità si prevede l’avvio di programmi di educazione alimentare nelle scuole, per l’epilessia l’utilizzo di tecnologie digitali e dispositivi indossabili per il monitoraggio delle crisi, mentre per l’endometriosi viene prevista la creazione di centri regionali di riferimento. Obiettivo dichiarato: garantire uniformità nell’erogazione dei servizi su tutto il territorio nazionale, superando le disuguaglianze che da anni dividono Nord e Sud del Paese.
Non mancano però le ombre. Le Regioni, che pure hanno espresso parere favorevole, hanno messo nero su bianco diverse criticità. La prima è la mancanza di nuove risorse economiche: il Piano è “a isorisorse”, cioè non prevede finanziamenti aggiuntivi rispetto a quelli già stanziati nel Fondo sanitario nazionale. Il rischio, dicono i governatori, è che gli obiettivi restino solo buone intenzioni se non si effettua una ricognizione dei costi prevedibili. Un’altra perplessità riguarda i criteri di inclusione delle patologie: non è chiaro, osservano, con quali modalità altre malattie croniche – come la psoriasi – potranno essere inserite in futuro. Infine, viene segnalato un ostacolo tecnico non da poco: le attuali norme sulla tutela dei dati personali non consentono di sfruttare appieno i modelli di stratificazione del rischio, cioè quegli strumenti che servono a prevedere, sulla base dei dati clinici, quali pazienti necessitano di maggiore attenzione e risorse.
Anche le associazioni dei cittadini intervengono con toni tra il cauto ottimismo e la preoccupazione. Cittadinanzattivaparla di un passo avanti importante, ma avverte che “non si può non considerare che dall’approdo del Piano in Conferenza Stato-Regioni alla sua approvazione sia trascorso oltre un anno, e che i nuovi Lea appena approvati non potranno tenere adeguatamente conto delle tre patologie appena inserite”. Per questo la segretaria generale Anna Lisa Mandorino chiede che d’ora in avanti gli aggiornamenti siano “più tempestivi e sincroni, affinché quanto indicato dai Piani sia effettivamente esigibile e non solo scritto sulla carta”.
Sul fronte politico, il capogruppo di Forza Italia in Commissione Bilancio, Roberto Pella, primo firmatario della legge sull’obesità, accoglie con soddisfazione il riconoscimento di questa condizione come malattia cronica, definendolo “un passo decisivo verso il superamento dello stigma e della sottovalutazione”. Secondo Pella, l’obiettivo ora è l’inserimento dell’obesità nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), traguardo che auspica possa essere raggiunto entro il 2026.

Il quadro, insomma, è quello di un Piano che rappresenta un avanzamento culturale e organizzativo importante, ma che nasce con le gambe fragili: mancano fondi dedicati, tempi certi e criteri chiari di applicazione. E in un sistema sanitario che già destina tra il 70 e l’80% delle risorse alla gestione delle malattie croniche, senza un serio investimento rischia di restare un progetto nobile ma poco concreto. L’Italia ha scelto di aggiornare la mappa della cronicità, ma la strada per rendere reali i suoi obiettivi – uniformità, prevenzione, continuità di cura – è ancora lunga. Senza risorse, monitoraggio e coraggio politico, il Piano rischia di restare, come spesso accade, un documento scritto bene ma destinato a impolverarsi in un cassetto del Ministero della Salute.
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