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Ivrea, città Unesco dimenticata. “Serve una scossa, non possiamo più vivere di nostalgia”

Il patrimonio olivettiano, tra case chiuse e opifici abbandonati, cade a pezzi. L’appello di Niccolò Bellazzini, proprietario di Villa Rossi: “Convocare subito gli Stati Generali del sito Unesco. L’Unesco non è un trofeo da esibire, è un impegno da onorare”.

Ivrea, città Unesco dimenticata. “Serve una scossa, non possiamo più vivere di nostalgia”

Niccolò Bellazzini di Sparco

Ad Alba si festeggia: è stata proclamata Capitale italiana dell’Arte Contemporanea 2027.
Ad Ivrea, invece, il titolo di sito Unesco resta inchiodato al 2018. Otto anni dopo la sua nomina a Città industriale del XX secolo, il patrimonio olivettiano – un intreccio unico di opifici, abitazioni, verde urbano, scuole e simboli sociali – versa nel più totale abbandono. L’erba cresce tra le architetture che un tempo rappresentavano l’avanguardia del pensiero di Adriano Olivetti, e le case modello, chiuse o trascurate, raccontano oggi più decadenza che utopia.

Morale? Il mondo guarda avanti, Ivrea resta ferma.
“Serve una scossa”, dice Niccolò Bellazzini, brand manager di Sparco e proprietario di Villa Rossi, una delle residenze inserite nella core zone del sito Unesco. Tre anni di lavori per restaurarla, riportandola alla vita.

Costruita alla fine degli anni Cinquanta per i dirigenti Olivetti, era abbandonata e degradata. Oggi, finalmente, è tornata a splendere.
Bellazzini parla con l’autorevolezza di chi ha messo mano, cuore e soldi. “Un piccolo esempio – ci dice – di ciò che potremmo fare se solo credessimo di nuovo in noi stessi. Bisogna innalzare il livello in ogni ambito – politico, economico, culturale – se vogliamo che Ivrea torni a essere il motore di crescita di un territorio, il Canavese, in declino dopo la crisi Olivetti”.

“Sono portavoce di un malcontento diffuso tra i proprietari di beni residenziali inseriti nel sito Unesco”, aggiunge.
La proposta è chiara: convocare gli Stati Generali del patrimonio olivettiano, un grande evento programmatico – non commemorativo – che coinvolga Ministero della Cultura, Ministero del Turismo, Regione Piemonte, Soprintendenze, fondazioni, istituti bancari, enti turistici e gli stessi proprietari.

“Serve una ricognizione dello stato attuale, capire perché Ivrea oggi è così poco attrattiva e come costruire un piano a breve, medio e lungo periodo per invertire la rotta”, spiega. “Il Comune ha risposto positivamente, ma ora serve uno slancio vero. Non possiamo permetterci di perdere altro tempo”.

La sua è anche una denuncia politica e culturale: “In questi otto anni, a prescindere dai colori delle giunte, Ivrea non ha mai saputo costruire una governance efficace del sito. Gli eventi sono rimasti iniziative isolate, le risorse economiche scarse, e la promozione turistica pressoché inesistente”.

Eppure, anche con pochi mezzi, qualcuno ha dimostrato che si può fare.
Welchome to My House, l’iniziativa di una decina di volontari, ha riportato cittadini e turisti dentro le architetture olivettiane. “Una lectio magistralis di Michele De Lucchi, conferenze di altissimo livello, case aperte e partecipazione: il risultato è stato straordinario”, racconta Bellazzini. “Ma può bastare una manifestazione di pochi giorni per un patrimonio mondiale che cade a pezzi?”

unesco

La risposta è scontata: no.
“Dobbiamo essere più ambiziosi e volare più alto”, dice. “Ivrea è il 54° sito Unesco italiano, ma pochi se ne sono accorti. Bisogna trasformare questo riconoscimento in un brand di eccellenza, sinonimo di modernità, innovazione e saper fare. Dobbiamo abbandonare le solite liturgie nostalgiche che non generano appeal e costruire una nuova identità economica e culturale. L’Unesco non è un trofeo da esibire, è un impegno da onorare”.

Per farlo, serve una regia ampia.
Bellazzini immagina gli Stati Generali come una due giorni di confronto operativo, in cui “far toccare con mano a tutti gli stakeholder lo stato di fatto del patrimonio olivettiano, mostrare cosa stiamo sprecando e impostare un programma concreto, finanziato e realistico. Questo tipo di progetto può essere un volano economico e deve essere spiegato e compreso da tutti: solo così si potranno attrarre investimenti, aprire cantieri e attirare attenzione mediatica”.

Il richiamo è anche pratico.
“Gli istituti di credito – sottolinea – possono avere un ruolo cruciale nel sostegno ai restauri, così come le fondazioni e il FAI, che ha da poco acquisito il Convento. Serve trasparenza, sinergia e una visione che unisca cultura e impresa. E sarebbe importante coinvolgere anche il ministro Giuli, noto estimatore di Camillo e Adriano Olivetti: la sua presenza darebbe un segnale forte di attenzione nazionale”.

La parola chiave, per Bellazzini, è urgenza.
“Altrove la nomina Unesco è stata un punto d’arrivo. Per noi è stata solo un punto di partenza. Ma ci siamo fermati subito dopo. Ora è tempo di rimboccarsi le maniche, con senso di responsabilità, per evitare che una ricchezza contemporanea di valore mondiale si disperda per sempre”.

Insomma, mentre Alba investe sull’arte contemporanea, Ivrea continua a cullarsi nel mito del suo passato.
Ma un patrimonio Unesco non vive di nostalgia: vive di manutenzione, idee e visione.
E oggi, purtroppo, la città di Adriano Olivetti sembra aver perso tutto e tre.

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