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23 Ottobre 2025 - 09:01
C’è un angolo di Piemonte, tra le colline e le vigne che circondano le acque tranquille del Lago di Candia Canavese, dove il vino non è solo bevanda, ma racconto, identità, scelta consapevole.
È qui che La Residenza del Lago, storica realtà a conduzione familiare, è stata inserita tra i ristoranti con le migliori carte dei vini selezionati per “Cellar Door 2026”, il riconoscimento assegnato dalla rivista Decanto Wine a quelle insegne italiane che non si limitano a servire vino, ma lo raccontano, lo esplorano, lo valorizzano.
Non è un premio qualunque, e non è una lista qualsiasi. “Cellar Door”, da quest’anno, è ospitato all’interno della guida Untold – edizione On Tour, che mappa i distretti del vino italiani con uno sguardo sempre più attento al turismo esperienziale e al nuovo profilo del viaggiatore del gusto: il gastronauta. Un neologismo che dice già molto: l’esploratore del sapore, il curioso del territorio, il cercatore di calici autentici.
E proprio ai curiosi che vogliono conoscere il vino partendo dai luoghi, La Residenza del Lago offre una carta pensata come una mappa: territoriale, identitaria, selezionata con passione e costanza nel tempo.
Nel panorama dei locali piemontesi selezionati da Decanto Wine, ci sono anche tre realtà canavesane: L’Incanto a Caselle Torinese, l’Osteria Passami il Sale a Venaria Reale, e proprio La Residenza del Lago di Candia, che oggi andremo a scoprire più da vicino.
Alcuni dei tanti vini offerti dalla Residenza del Lago
Il riconoscimento al locale di Candia non è arrivato solo per la posizione suggestiva, incastonata tra lago e vigneti, ma per una scelta coerente e radicale: dare spazio ai vini del territorio, in primis l’Erbaluce di Caluso, vino bianco simbolo del Canavese, nelle sue declinazioni più autentiche.
A raccontarcelo è Federico Nuccio, che insieme a Nella Mancini gestisce La Residenza del Lago da quasi trent’anni: una storia di famiglia, di dedizione, di attenzione artigianale.
“Abbiamo aperto nel 1996, a conduzione familiare - racconta Federico Nuccio - All’inizio eravamo io e mia madre, oggi ci siamo io e mia moglie. A breve raggiungeremo i trent’anni di attività, sempre gestiti in famiglia, e siamo presenti nella Guida Michelin dal 1998. Io sono sommelier professionista, ho fatto i corsi ormai vent’anni fa, e questa mia passione per il vino mi ha portato a costruire, in quasi trent’anni, una carta che è il frutto di un amore vero, coltivato giorno dopo giorno, produttore dopo produttore”.
Un lavoro lungo e meticoloso, che nel tempo ha dato vita a una selezione profonda e coerente, capace di raccontare il territorio in tutte le sue sfumature.
“La carta è pensata con un focus sul territorio - prosegue - abbiamo costruito un percorso che parte dal Canavese e si allarga, senza mai perdere il punto di vista: proporre vini che raccontano qualcosa, che hanno un’identità forte. Si apre su tutta la regione, uno step fondamentale per un locale radicato nel territorio, ma poi si estende anche a livello nazionale e internazionale, con un’ottima copertura europea”.
Federico Nuccio
La selezione di etichette, infatti, non si ferma ai confini locali, ma include bottiglie italiane ed europee: dalla Borgogna alla Champagne, dalla Germania alla Slovenia.
“È una carta che vive – aggiunge – e che si aggiorna con quello che scopriamo, assaggiamo, conosciamo. Ma il cuore resta qui: l’Erbaluce di Caluso, il Nebbiolo canavesano, la Barbera del Canavese, i vitigni autoctoni. Grande attenzione alle Langhe e alle piccole realtà che fanno un lavoro straordinario, spesso in silenzio. Tutti i vitigni piemontesi sono rappresentati nella nostra carta”.
Sarebbe facile trasformare tutto questo in una celebrazione autoreferenziale. Ma l’approccio di Cellar Door è l’opposto: premiare chi mette il vino al centro di una narrazione territoriale e autentica, chi costruisce esperienze partendo dal bicchiere, non da una strategia di marketing.
“L’idea è quella di poter proporre anche bottiglie importanti al calice - spiega Nuccio - Per questo utilizzo un sistema che si chiama Coravin, che permette di estrarre anche solo un bicchiere da una bottiglia di pregio, senza comprometterla. È una particolarità che mi è stata riconosciuta, perché consente accessibilità a vini che normalmente si potrebbero degustare solo acquistando l’intera bottiglia”.
Una filosofia dell’accessibilità e della condivisione, che si riflette nell’intero approccio del locale e che trova ora un riconoscimento ufficiale.
“Quando abbiamo ricevuto la notizia della selezione – continua Nuccio – è stato come ricevere una conferma: che questo nostro modo di lavorare, così legato alla terra e alla ricerca, è percepito anche da fuori. Non è solo una bella carta dei vini. È un progetto culturale, un modo per restituire valore a un territorio troppo spesso poco raccontato”.
E se è vero che il Canavese non gode ancora della stessa fama enologica di altre zone piemontesi, è altrettanto vero che sta crescendo una nuova generazione di ristoratori, produttori, appassionati, che sta riscrivendo la mappa del gusto partendo da qui. Dalle vigne intorno a Caluso, da quelle bottiglie di metodo classico che sfidano la Champagne, dai rossi di struttura che sorprendono chi li assaggia alla cieca.
Dietro ogni bottiglia scelta, c’è una storia. E spesso anche un viaggio.
“Questa passione per il vino – confessa Nuccio – mi ha portato anche lontano. Ho visitato cantine in Francia, in Spagna, in Germania. Ma ogni volta che torno qui, capisco quanto valore abbia il nostro territorio. E quanto sia importante che chi viene a mangiare da noi lo scopra attraverso il calice. La bellezza risiede anche nella condivisione, e questa passione mi ha fatto conoscere persone straordinarie”.
Perché oggi il vino non si beve soltanto: si ascolta, si tocca, si incontra. Si accompagna alla cucina, quella curata da Nella, con equilibrio e precisione, ma soprattutto si apre, come una porta sul mondo.
La carta dei vini della Residenza del Lago è una sorta di itinerario guidato. C’è il Piemonte, ovviamente, in tutte le sue sfumature. Ma ci sono anche incursioni tra Riesling della Valle del Reno, Syrah toscani, spumanti d’oltralpe, e poi bottiglie rare, piccole produzioni, nomi noti e outsider. Tutto scelto con il filtro della competenza e dell’entusiasmo.
In una terra che ha ancora molto da raccontare, riconoscimenti come questo diventano non un traguardo, ma un punto di partenza. Perché se è vero che il vino è territorio, è anche cultura. E raccontarlo, con coerenza e passione, è il gesto più politico, e poetico, che un ristorante possa fare oggi.
La cucina di Nella
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