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22 Ottobre 2025 - 10:52
“Da ponte a ponte”: il progetto da 2 milioni che vuole ricucire Po e Orco a Chivasso
Primo posto in graduatoria. Non è poco, ma neppure basta a spiegare cosa significhi davvero il progetto “Da ponte a ponte”. Chivasso si vede assegnare 2,1 milioni di euro dal programma europeo FESR per le infrastrutture verdi. Un finanziamento che, almeno sulla carta, dovrebbe cambiare il modo in cui la città si pensa: non più come margine della pianura, ma come pezzo del sistema naturale che la circonda.
Il titolo suona evocativo, quasi turistico. Ma dietro la formula c’è un piano tecnico: ricucire gli spazi tra il ponte sul Po e quello sull’Orco, oggi separati da parcheggi, aree incolte, residui industriali. Il progetto prevede interventi in otto sotto-ambiti, ciascuno con una funzione precisa: togliere asfalto dove non serve, creare zone drenanti, migliorare il deflusso idrico in aree dove l’acqua ristagna e gli alberi deperiscono. In sostanza, restituire al suolo la capacità di respirare.
La Regione Piemonte ha scelto di finanziare l’idea con 2.162.455 euro, piazzandola in cima alla graduatoria del bando “Corona Verde”. È un dato che fa notizia, ma non cancella le domande che seguono ogni finanziamento pubblico: quanto durerà, chi lo gestirà, e soprattutto — cosa cambierà davvero nella vita dei cittadini?
Il Comune presenta l’operazione come una tappa del percorso già avviato con il Parco del Sabiunè, l’ex area industriale tra Po e Orco destinata a rinaturalizzazione, anche quella sostenuta da fondi europei. Il collegamento non è casuale: entrambi i progetti condividono lo stesso lessico (“deimpermeabilizzazione”, “nature-based solutions”, “connettività ecologica”) e la stessa ambizione — ridurre il cemento, aumentare la permeabilità.
Ma tra la teoria e la pratica corre un fiume di burocrazia. E di fiumi, a Chivasso, ce ne sono due: il Po e l’Orco. Entrambi protagonisti di un paesaggio che il Comune vorrebbe trasformare in corridoio ecologico, ma che resta vincolato da limiti idraulici, servitù industriali, terreni privati e frammentazioni amministrative.
Gli interventi previsti, secondo le schede tecniche, puntano a “rendere più graduale il passaggio naturale–antropico”. Tradotto: creare un margine meno netto tra città e campagna. È un principio corretto, soprattutto in un’area come quella del Mauriziano, dove le piogge intense creano ristagni e le piante soffrono di stress idrico. Tuttavia, la manutenzione futura sarà decisiva. Senza un piano chiaro e risorse costanti, il rischio è che le opere si degradino in pochi anni.
Il sindaco Claudio Castello e l’assessore all’Ambiente Fabrizio Debernardi parlano di un successo del territorio. Ed è vero che Chivasso riesce a intercettare una quota rilevante dei fondi europei sulla transizione verde. Ma, per ora, si tratta di progetti su carta. Cantieri ancora da aprire, tempi di realizzazione incerti, rendicontazioni che dovranno passare al vaglio regionale e comunitario.
In questa fase, la notizia più rilevante non è il premio, ma la continuità di strategia. L’amministrazione Castello ha scelto di concentrare gli sforzi sull’ambiente come leva di rigenerazione urbana, rinunciando alla logica delle grandi opere.
La filosofia di usare soluzioni naturali per mitigare gli effetti climatici è ormai un mantra nei documenti europei. A Chivasso si traduce in una serie di microinterventi: terreni drenanti nei parcheggi, piantumazioni di essenze autoctone, piccoli bacini di ritenzione. Azioni sensate, ma che non bastano, da sole, a cambiare il volto di una città che per decenni ha vissuto di industria e cave.
Lo stesso Debernardi, che in questi anni ha impostato la politica ambientale comunale, ama dire che “non è un giardino, è un ecosistema”. E il messaggio è corretto: meno estetica, più equilibrio. Ma perché questa idea attecchisca, servirà anche una cultura civica nuova, capace di accettare erba alta, tronchi a terra e spazi non “ordinati” secondo i criteri del decoro urbano.
Il contesto regionale, intanto, spinge nella stessa direzione.
Il programma Corona Verde prova a cucire la frangia urbana torinese con i parchi fluviali e le aree agricole. L’obiettivo è creare una cintura continua di spazi naturali che riducano l’effetto isola di calore e aumentino la biodiversità. Chivasso, geograficamente, si trova in posizione strategica: punto di raccordo tra Po e Orco, porta d’ingresso orientale della cintura metropolitana. Ma essere “nodo” non significa automaticamente essere pronti.
Il bando regionale chiede anche risultati misurabili. Riduzione delle superfici impermeabili, aumento della capacità di drenaggio, mitigazione delle temperature. Parametri che richiedono monitoraggi costanti, strumenti di rilevamento, relazioni periodiche. Un apparato amministrativo che, per un Comune di medie dimensioni, può diventare pesante.
In prospettiva, Da ponte a ponte rappresenta un test. Non tanto ambientale, quanto amministrativo. Se il progetto verrà portato a termine nei tempi previsti e con la qualità promessa, potrà diventare un modello di buona pratica. Se invece si incaglierà tra ritardi, varianti e fondi residui, resterà l’ennesimo esempio di buone intenzioni finite nei faldoni.
Per ora resta un fatto: 2 milioni di euro pubblici affidati a un Comune che dovrà dimostrare di saperli usare. Il resto è cronaca futura.
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