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20 Ottobre 2025 - 22:12
Vincenzo De Luca
Ci risiamo. Anche quest’anno, il Governo promette di “rafforzare la sanità pubblica”. Il ministro della Salute Orazio Schillaci lo dice con tono solenne, durante una cerimonia elegante al Ministero: “Assumeremo 20mila infermieri in più rispetto al turnover naturale”. A sentirlo così, uno quasi ci crede. Poi, però, basta ricordare che appena qualche giorno fa, a Palazzo Chigi, gli stessi annunci parlavano di 6.300 assunzioni.
E allora uno si chiede: com’è che nel giro di una settimana, da tremila scarsi siamo passati a ventimila tondi tondi? Magari tra un comunicato e l’altro è intervenuto lo Spirito Santo, che ha moltiplicato non pani e pesci, ma turni e camici bianchi.
Il ministro, si sa, ci tiene a sottolineare che il Governo “sta facendo la sua parte”. Ma la frase chiave, quella che andrebbe incorniciata e appesa nelle corsie d’ospedale, arriva subito dopo: “Ora tocca alle Regioni, che devono fare il loro con le loro capacità finanziarie”. Tradotto dal burocratese: noi l’abbiamo detta, la promessa. Ora arrangiatevi voi, e se non riuscite a mantenerla, pazienza.
In fondo, è la grande tradizione italiana del rimpallo: a Roma si annuncia, nelle Regioni si spiega perché non si può fare. E nel frattempo gli ospedali continuano a svuotarsi, i pronto soccorso scoppiano, e gli infermieri – quelli veri, non quelli immaginari della manovra – si spaccano la schiena.
Schillaci prova anche a rassicurare: “Con l’aumentare del Fondo Sanitario crescerà anche la possibilità di assumere nuovo personale”. Certo. Peccato che il Fondo cresca meno dell’inflazione e che, a conti fatti, la coperta sia sempre quella. Solo che ogni anno diventa un po’ più corta.
E quando si parla di “coperta corta”, c’è sempre qualcuno che la strappa. In questo caso, è il governatore della Campania Vincenzo De Luca, che da Pomigliano d’Arco – tra una posa di prima pietra e l’altra – spara a zero: “Ho letto la bozza di bilancio: vogliono assumere 6mila infermieri e mille medici in tutta Italia. Ma sono dei cialtroni! Solo in Campania ce ne servirebbero 18mila in più”.
È il solito De Luca, ruvido e teatrale, ma almeno ha il merito di dire quello che tutti pensano: che le promesse di Roma sono buone solo per i titoli dei telegiornali. In corsia, invece, mancano le persone, e spesso anche i cerotti.
Dal fronte politico, arriva poi Orfeo Mazzella, senatore del Movimento 5 Stelle, che parla di “promessa ambiziosa quanto irrealizzabile”. E come dargli torto? È la storia infinita della sanità italiana: ogni manovra annuncia un rinascimento, ogni finanziaria si rivela una carestia. Si promettono migliaia di assunzioni, stipendi “ritoccati verso l’alto”, liste d’attesa che si accorciano. Ma i cittadini, quando cercano di prenotare una visita, scoprono che il sistema sanitario è come una coda alle poste: lunghissima, lenta e con un solo sportello aperto.
Intanto, l’articolo 69 della manovra stabilisce che, per ridurre le liste d’attesa e fronteggiare la carenza di personale, nel 2026 le Regioni potranno assumere in deroga ai vincoli di legge, nel limite di 450 milioni di euro annui. Sembra tanto, ma basta fare due conti: 450 milioni divisi tra venti Regioni fanno poco più di briciole. Una manovra da miracolo economico... ma con il budget di un cinepanettone.
E c’è pure chi ricorda che il problema non è solo di soldi. L’assessore sardo Armando Bartolazzi lo dice chiaramente: “Non è tanto una questione di risorse finanziarie, quanto di disponibilità di personale”. Già, perché dopo anni di contratti precari, stipendi da fame e turni massacranti, chi è che vuole ancora fare l’infermiere in Italia? Ormai i giovani preferiscono emigrare: Londra, Zurigo, perfino Varsavia. Là gli stipendi sono doppi e gli insulti la metà.
E così, tra un concorso deserto e l’altro, si arriva al paradosso: i reparti chiudono non perché mancano i soldi, ma perché mancano le persone disposte a lavorare.
Bartolazzi invoca “bandi extra nazionali” e riconoscimenti economici adeguati a chi lavora in prima linea. Parole sacrosante, ma suonano come un disco rotto: si ripetono da anni, senza che nulla cambi.
Il Ministro Schillaci
Nel frattempo, in Veneto, i sindacati dell’Azienda Ospedale-Università di Padova denunciano “carichi di lavoro insostenibili” e chiedono un tavolo permanente di confronto.
È l’ennesimo allarme da una sanità che regge solo grazie alla buona volontà di chi la manda avanti ogni giorno. Medici, infermieri, operatori socio-sanitari che fanno doppi turni, dormono tre ore a notte e continuano a garantire cure e assistenza. Gli eroi del Covid, quelli che abbiamo applaudito dai balconi. Oggi nessuno li applaude più: gli tocca solo reggere un sistema che traballa come un ospedale da campo.
Ma tranquilli, il ministro assicura che il Governo “c’è”. E le Regioni pure. E i sindacati anche. Insomma, ci sono tutti, tranne gli infermieri che mancano.
Forse, più che un piano assunzioni, servirebbe un piano verità: smettere di raccontare che la sanità pubblica è in ripresa, quando in realtà è in prognosi riservata da anni.
In fondo, il copione è sempre lo stesso: annunci in pompa magna, tabelle colorate, promesse di stabilizzazioni. Poi, quando si scende nei reparti, si scopre che l’unico aumento certo è quello dei carichi di lavoro.
E ogni anno, tra un “in deroga ai vincoli” e un “compatibilmente con le risorse disponibili”, la sanità italiana sopravvive come un paziente in terapia intensiva: attaccata a mille tubi, mentre qualcuno – sorridendo – spiega che “tutto procede per il meglio”.
Insomma, la manovra del 2026 sembra più una pièce teatrale che un atto di governo. C’è il protagonista che promette, il coro delle Regioni che si lamenta, il governatore che sbraita, il sindacato che protesta e il cittadino che aspetta. Tutti recitano la loro parte. Ma il finale, purtroppo, è sempre lo stesso: liste d’attesa infinite, infermieri stremati e una sanità pubblica che continua a curare tutti, tranne sé stessa.
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