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L'Unione fa la forza
18 Ottobre 2025 - 22:29
“Ti chiamo per nome”: dieci ore di lettura a Ivrea per restituire voce ai 12.227 bambini uccisi tra Gaza e Israele.
Leggere quei nomi e quelle età, anche solo per dieci minuti, è stato emotivamente difficile per chiunque abbia partecipato. Sembrava di vederli passare davanti agli occhi, di immaginarne i volti, i sorrisi, i pianti. L’abbiamo fatto con l’intenzione di evocarli e farli rivivere almeno nei pensieri.
Il pensiero è andato alle mamme e ai papà (se ancora vivi) di quei bambini e quelle bambine, con il desiderio che l’eco delle voci potesse raggiungerli, che sapessero di non essere soli, che qualcuno condivideva, almeno in parte, il loro dolore. È stato un modo per non essere complici del silenzio, per far sentire la propria voce e il proprio dissenso a chi decide, a chi è stato autorizzato a decidere anche per noi.
Un dissenso che non ha nulla di politico o religioso, ma che si rivolge contro ogni guerra; in particolare, contro quelle che affamano e uccidono uomini, donne e soprattutto tanti bambini e tante bambine.
Una giornata inizialmente fredda, per quella parte di piazza Ottinetti in mattinata non ancora raggiunta dal sole. Qualche persona si fermava, incuriosita.
La lista era in ordine di età, all’inizio abbiamo letto soltanto i nomi di chi è stato ucciso quando non aveva compiuto ancora un anno, si ripeteva dopo il Nome la parola: “Di pochi mesi”. Bambini e bambine nati tra bombe e le macerie, senza cibo, senza acqua.
Poi andando avanti decidemmo di mischiare l’elenco e leggerlo a random senza seguire l’ordine di età… Non cambia molto vi assicuro!
La lettura continua con bambini, bambine, ragazzi, ragazze, tutti loro, nella loro vita non hanno mai conosciuto un periodo senza assedio o conflitto armato, tutti quindi chi prima o chi dopo nati durante i bombardamenti.
Questi bambini sono morti perché i soldati sono addestrati a sparargli in testa o al cuore senza empatia, alcuni medici hanno raccontato di un organo diverso colpito ogni settimana, in quella che sembra una gara tra i soldati per chi è il più preciso.
Questi bambini sono morti perché Israele lancia bombe sulle loro case, sulle loro tende, su di loro.
Questi bambini sono morti perché Israele può decidere quanto cibo, acqua e medicine può entrare nella Striscia.
Questi bambini sono morti per la sicurezza di Israele, perché quei bambini sono tutti o saranno terroristi.
Di fronte a questi crimini di guerra, l’unica risposta possibile di un governo morale sarebbe la condanna totale e un blocco economico e diplomatico con Israele. Se questo non accade, allora spetta ai cittadini colmare il vuoto: riunirsi, mostrare solidarietà al popolo oppresso, fare pressione sui propri governi affinché rispettino il diritto internazionale.
Eppure, chi lo fa spesso incontra ostilità, non sostegno.
Qualcuno si è fermato e ha ascoltato il susseguirsi dei nomi. Qualcuno ha provato a leggere e poi ha smesso perché troppo commosso. Qualcuno ha chiesto se si poteva fare una donazione e qualcuno ha espresso la propria rassegnazione: “che possiamo fare noi?”.
Il peso di quei nomi rende l’aria pesante, d’altronde ci sono cose che percepisci e che ti rimarranno impresse: quella di oggi è una di queste.
Qualcosa è mancato… mi sarei aspettato la presenza dei Consiglieri Comunali, del Sindaco, della giunta, ma forse erano occupati altrove, seppur l’iniziativa è iniziata alle 9.00 del mattino e conclusa alle 19.00. Mi correggo: c’è stata a un certo punto la presenza della Vice Sindaca Patrizia Dal Santo la quale ha letto anche alcuni nomi di bambini (credo a titolo personale), della consigliera comunale Vanessa Vidano e di un consigliere di opposizione Massimiliano De Stefano, che è rimasto per molto tempo ad ascoltare e lo ringrazio.
Chiudo con una riflessione: i bambini di Gaza scuotono le nostre coscienze e ci invitano a prendere posizione e ad agire: ogni piccolo gesto conta. Siamo chiamati a non essere indifferenti, a essere testimoni e a gettare semi di bellezza e gentilezza su questo mondo che sembra ogni giorno diventare più tetro e feroce. Non sta a noi sapere se germoglieranno o meno.
In fondo la piccola Anna Frank, che mi piace pensare oggi sarebbe palestinese, aveva ragione: c’è un disperato bisogno di credere nell’intima bontà dell’uomo e in quel cielo blu che oggi ci ha accompagnato.
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