Cerca

Esteri

Colpo di Stato in Madagascar: il colonnello Randrianirina prende il potere e chiude l’era Rajoelina

La Capsat depone Rajoelina: la generazione Z in piazza, promesse di transizione e timori di un regime militare

Colpo di Stato in Madagascar: il colonnello Randrianirina prende il potere e chiude l’era Rajoelina

Colpo di Stato in Madagascar: il colonnello Randrianirina prende il potere e chiude l’era Rajoelina

Tra le strade di Antananarivo si respira un’aria carica di tensione, di quelle che si tagliano con un coltello. La folla riempie le piazze, gli occhi dei soldati si incrociano con quelli dei cittadini, e in lontananza i megafoni scandiscono parole che fino a poche settimane fa sembravano impensabili: “libertà”, “trasparenza”, “fine del regime”. È il 17 ottobre 2025, un giorno che segna la fine di un’epoca per il Madagascar. Alla Corte Suprema Costituzionale, il colonnello Michael Randrianirina, 51 anni, giura come nuovo presidente della Repubblica, portando al potere l’esercito e chiudendo il cerchio di una crisi che ha travolto il Paese in meno di un mese.

Tutto è cominciato quando l’unità d’élite Capsat – il Corps d’administration des personnels et des services administratifs et techniques – ha deciso di agire. Il colonnello Randrianirina, alla guida dei suoi uomini, ha preso il controllo dei punti nevralgici della capitale, sostenuto da una popolazione esasperata da settimane di proteste, blackout, mancanza d’acqua e un governo sempre più distante. Il 14 ottobre, con il sostegno dei manifestanti e l’appoggio di una parte significativa delle forze armate, la Capsat ha occupato i palazzi istituzionali, mettendo fine al potere di Andry Rajoelina, l’uomo che aveva dominato la scena politica malgascia per oltre quindici anni.

Il gesto è stato rapido, chirurgico, apparentemente inevitabile. Tre giorni dopo, la Corte Costituzionale ha ufficializzato il cambio di regime, con Randrianirina nominato presidente ad interim “per garantire l’ordine e la stabilità nazionale”. In realtà, l’ordine era già saltato da settimane. Tutto era esploso il 25 settembre, quando migliaia di cittadini – perlopiù giovani – erano scesi in strada per protestare contro i continui disservizi elettrici e idrici, le carenze alimentari e la corruzione dilagante. Il movimento, nato dal basso e sostenuto da quella che ormai tutti chiamano “la generazione Z malgascia”, è riuscito dove l’opposizione tradizionale aveva sempre fallito: scardinare un potere che sembrava intoccabile.

madagascar

Madagascar

In quei giorni, la rabbia ha superato la paura. I giovani hanno occupato le strade, le università, le sedi municipali. Sui social, le immagini delle proteste hanno fatto il giro del mondo: una gioventù stanca di promesse vuote, decisa a prendersi il proprio futuro. Quando l’esercito della Capsat si è schierato dalla loro parte, il destino del governo era già segnato.

Il 12 ottobre, in circostanze ancora avvolte dal mistero, Andry Rajoelina è fuggito dal Paese a bordo di un aereo militare francese. Il suo entourage parla di “minacce di morte” e “condizioni di sicurezza insostenibili”. Poche ore prima della fuga aveva tentato di sciogliere l’Assemblea Nazionale, ma la decisione è stata ignorata: il Parlamento ha scelto la strada dell’impeachment, dichiarando la decadenza del presidente e legittimando, di fatto, l’intervento militare. Da un luogo non precisato, Rajoelina ha poi diffuso un messaggio sui social in cui dice di trovarsi “in un luogo sicuro”, promettendo di “cercare una soluzione politica” ma senza fornire ulteriori dettagli.

Per molti malgasci, la sua uscita di scena rappresenta la fine di un lungo ciclo. Rajoelina era arrivato al potere nel 2009, proprio grazie a un precedente intervento della Capsat, quando a cadere fu il presidente Marc Ravalomanana. Allora era il giovane sindaco di Antananarivo, un ex DJ divenuto simbolo di modernità e di rottura con le vecchie élite. Oggi, ironia della storia, la stessa unità militare che lo aveva incoronato è quella che lo ha spodestato.

Il nuovo leader, Randrianirina, si presenta come un uomo pragmatico, deciso a “ristabilire l’ordine e garantire la transizione verso una nuova democrazia”. Ha promesso elezioni entro due anni e un processo costituente “aperto a tutte le forze vive del Paese”. Ma la comunità internazionale resta scettica. L’Unione Africana ha immediatamente sospeso il Madagascar, denunciando una “violazione dell’ordine costituzionale”, mentre le Nazioni Unite hanno chiesto “il ritorno rapido al potere civile”. Diversi governi europei e africani hanno espresso preoccupazione, invitando alla moderazione e al dialogo.

Nonostante il tono solenne della cerimonia di insediamento, la realtà nelle strade resta incandescente. I blackout continuano, i prezzi dei generi alimentari salgono, e nelle periferie si moltiplicano gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza. Il colonnello Randrianirina gode ancora del sostegno di una parte della popolazione, ma il rischio di un regime militare permanente aleggia come un’ombra sulla promessa di transizione. Le sue parole, pronunciate davanti alla Corte Suprema, hanno però colpito molti: “Non siamo qui per dominare, ma per servire. Non per comandare, ma per ricostruire.”

Dietro la retorica, resta una verità amara: il Madagascar è di nuovo davanti a un bivio, come già accaduto nel 1972, nel 1991, nel 2002 e nel 2009. Ogni volta, un colpo di Stato o una crisi istituzionale ha interrotto il cammino democratico dell’isola. Ogni volta, la speranza di rinascita è stata seguita da delusione e instabilità. Oggi la storia sembra ripetersi, ma con una novità: per la prima volta, la spinta viene dal basso, da una generazione giovane, connessa, consapevole, che non si accontenta più di parole.

Il futuro del Madagascar dipenderà dalla capacità del nuovo governo di dare risposte concrete ai bisogni reali: energia, acqua, lavoro, sicurezza. E dalla volontà dei giovani di restare protagonisti senza cadere nella trappola dell’autoritarismo. La comunità internazionale osserva, pronta a intervenire con pressioni o sanzioni. Ma, come spesso accade, la vera partita si gioca nelle strade, nei mercati, nelle case dei malgasci. È lì che si deciderà se il 17 ottobre 2025 verrà ricordato come l’inizio di una rinascita o come l’ennesimo giro di giostra nella lunga, tormentata storia politica del Madagascar.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori