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16 Ottobre 2025 - 23:16
Spari e sangue a Lima: la morte di Eduardo Ruiz Sanz scuote il Perù
La notte del 15 ottobre 2025, nelle strade centrali di Lima, si è consumata una tragedia che ha scosso l’opinione pubblica peruviana e ha messo in luce fragilità sistemiche radicate. Un uomo di 32 anni, Eduardo Ruiz Sanz, è morto, vittima di un colpo d’arma da fuoco; i feriti accertati sono oltre cento, e decine denunciano ferite da proiettili, gas lacrimogeni o manganellate. Quello che era stato convocato come un grande momento di protesta è degenerato in uno scontro violento fra cittadini e forze dell’ordine, con conseguenze che rischiano di segnare un punto di non ritorno per il tessuto civile.
Le ragioni della manifestazione erano chiare: indignazione diffusa contro un governo percepito come incapace di controllare la criminalità organizzata, la corruzione endemica, gli omicidi legati a estorsione e l’insicurezza quotidiana. Le proteste erano scattate anche in altre città come Arequipa, Cuzco e Puno. A Lima, c’erano momenti di blocco del trasporto pubblico tra il 13 e il 15 ottobre, con strade interrotte e rallentamenti crescenti. La giornata del 15 si era già presentata con tensioni alte, ma quanto successo nel tardo pomeriggio-notte ha superato ogni previsione.
Le versioni raccolte da testimoni, associazioni per i diritti umani e cronisti sul posto convergono su alcuni punti chiave: la manifestazione aveva cercato di avvicinarsi al Congresso, spingendo contro le barriere di sicurezza. La risposta della polizia fu immediata: lanci di gas lacrimogeni su vasta scala, cariche con i manganelli, uso di squadre antisommossa. In quel contesto, ruotando tra ali di manifestanti, gruppi minori avrebbero tentato di abbattere le barriere poste attorno all’edificio legislativo.
Secondo il Coordinamento nazionale per i diritti umani, la morte di Eduardo deriva da una dinamica drammatica: un agente in borghese, non identificabile — probabilmente un terna — sarebbe stato scoperto da alcuni manifestanti mentre si spostava in retrovia. Spaventato, avrebbe sparato un colpo nella massa per guadagnarsi la fuga. Il proiettile l’ha colpito vicino a Plaza Francia, una zona dove si concentravano giovani e famiglie mobilitate. Un video diffuso nelle ore successive mostra una figura su moto che sembra sparare verso la folla; non è stato ancora confermato ufficialmente, ma ha alimentato accuse di uso indiscriminato della forza.
Il Difensore civico peruviano ha riferito che il bilancio dei feriti è di 102 persone, di cui 24 civili e 78 appartenenti alle forze dell’ordine. Il numero indica che le forze di polizia hanno subito attacchi, ma anche che molte delle ferite che colpiscono civili hanno natura grave. Diverse testimonianze raccontano di manifestanti colpiti anche da proiettili, non solo da gas e oggetti contundenti.
Di fronte alle accuse, il presidente ad interim José Jeri, che ha assunto il potere dopo la rimozione della presidente Dina Boluarte, ha espresso cordoglio per la perdita di Eduardo e ha chiesto che vengano accertate le responsabilità con un’indagine “imparziale e trasparente”. Il nuovo capo del ministero dell’Interno, Vicente Tiburcio, ha sostenuto che “non vi era alcun agente in servizio nell’area dove si è verificato il fatto”, un’affermazione che molte organizzazioni civili considerano poco credibile, data la densità dell’azione di polizia in quel settore.
Avvocati per i diritti umani, come Rocío Silva Santisteban, denunciano che il governo ripete un copione già visto: negazione e minimizzazione delle responsabilità. Hanno chiesto la costituzione di una commissione indipendente con osservatori internazionali per controllare le indagini e impedire che eventuali colpe rimangano impunite.
Per leggere questo episodio nella sua dimensione più ampia, è indispensabile analizzare il contesto peruviano degli ultimi anni. Il Perù ha vissuto una crisi politica continua: dal 2018 si sono avvicendati numerosi presidenti, con destituzioni, scandali di corruzione e governi di transizione che faticano a imporre una linea stabile. In questo vuoto istituzionale, la criminalità organizzata ha guadagnato terreno e molte aree urbane restano fuori dal controllo dello Stato. Le forze dell’ordine sono spesso mal pagate, sotto formazione e attraversate da casi di collusione con rete criminali.
Le cifre relative agli omicidi legati alla criminalità nel 2025 mostrano un aumento significativo rispetto all’anno precedente: specialmente, il fenomeno del sicariato e della estorsione nelle periferie urbane si è radicato. Molti cittadini ordinari vivono condizionati dalla paura, senza fiducia nelle istituzioni. Qui entra in gioco la generazione più giovane, che nelle città come Lima cerca un senso di agenzia: protesta socialmente, scende in strada, reclama visibilità. In quel quadro, la morte di Eduardo diventa un punto di rottura simbolico: un ragazzo qualunque, vittima di una scintilla esplosa dal contrasto tra un esercito urbano frustrato e una piazza affamata di cambiamento.
I social media hanno amplificato il dolore e la rabbia. L’hashtag #EduardoVive ha raggiunto centinaia di migliaia di visualizzazioni in poche ore. Si sono moltiplicate le immagini di piccoli altari davanti a Plaza Francia, nel centro storico, e all’ingresso del Palazzo di Giustizia. Fiori, candele, cartelli scritti a mano: “Nos quitaron un hermano, no el valor de seguir” — non ci hanno tolto il coraggio di continuare. Quei gesti diventano forma materiale di protesta, memoria spontanea davanti all’ipotesi che il sistema giudiziario passi sopra la morte.
La Procura di Lima ha aperto una inchiesta per omicidio volontario. Fonti vicine all’indagine riferiscono che i proiettili recuperati dal corpo di Ruiz Sanz proverrebbero da arma d’ordinanza, un dato che se confermato metterebbe in crisi la versione ufficiale del ministero dell’Interno. Tuttavia, il sistema giudiziario peruviano è noto per la lentezza delle procedure, per la mancanza di trasparenza e per pressioni politiche che spesso orientano gli esiti. Le associazioni civili insistono perché l’indagine sia condotta fuori dalle logiche interne statali, con garanzie internazionali.
Nei giorni successivi alla tragedia, Lima ha tentato un’esistenza normale: le barricate sono state rimosse, il traffico ripristinato, i commerci riaperti. Ma rimane negli animi una tensione latente. Nel quartiere di Breña, dove Eduardo abitava, i suoi amici hanno organizzato una veglia: chitarre, musica popolare, volti stretti in un abbraccio presente. “Non era un violento, era uno di noi, un ragazzo che voleva un futuro onesto”, ripetono tra le lacrime.
Mentre il governo promette riforme e il Parlamento annuncia audizioni, molti cittadini mostrano scetticismo. Le parole, ormai, pesano meno dei fatti. Il 15 ottobre è diventato una data che si ammanta di simbolismo e dolore: non soltanto per la morte di Eduardo Ruiz Sanz, ma per la domanda che permane nelle coscienze — chi garantisce che non accada di nuovo, e chi pagherà con la propria coscienza se la verità sarà taciuta?
Eduardo è diventato involontariamente un simbolo di un Paese che chiede giustizia senza certezza di ottenerla. Il suo nome è un monito: in Perù, l’equilibrio fra diritti e repressione è sottile, e uno sparo isolato può trasformarsi in ferita nazionale. La notte del 15 ottobre resta segnata, e la sfida per chi governa è quella di trasformare un dolore individuale in un punto di svolta collettivo. La memoria, la giustizia, il riscatto: sono le dimensioni che devono essere messe alla prova, se il Perù vuole evitare che ogni protesta finisca con un altro nome, un altro volto, un altro silenzio.
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