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16 Ottobre 2025 - 19:03
Massimiliano De Stefano e Luca Spitale
E poi succede. Magari non è un miracolo, ma succede. Per un giorno è stata un pugno allo stomaco di un’intera città. Questa mattina, invece, era di nuovo una semplice panchina. Libera. Pulita. Vuota. Ma non più indifferente.
Perché a volte basta poco per cambiare tutto. Un racconto. Uno sguardo. Una voce che decide di non tacere. Il consigliere comunale Massimiliano De Stefano, quella donna – sulla trentina, rannicchiata in quell’angolo, sola nella notte – non l’ha solo vista: l’ha ascoltata, riconosciuta, raccontata. E quelle parole, buttate sui social con la forza di chi non vuole più fingere di non sapere, sono riuscite a toccare la coscienza di chi legge. Ma soprattutto, di chi amministra.
E così, dopo la denuncia, qualcosa si è mosso davvero. Un mucchio di telefonate, messaggi, passi veloci all’alba. E tra i primi a muoversi, senza delegare, senza aspettare la burocrazia, è stato Luca Spitale, presidente del Consiglio comunale.
Si è presentato di buon’ora, sotto un cielo grigio che sa di storie tristi. L’ha trovata lì, ancora avvolta nelle coperte, con gli occhi bassi e la voce quasi inesistente. Ma non era più sola. Perché intorno, piano piano, si erano radunate delle persone. Alcune arrivate per caso, altre dopo aver letto la notizia. Qualcuno con una coperta in più, qualcuno con un bicchiere di tè caldo, qualcuno con le scarpe, altri solo con la voglia di far sentire che c’è ancora umanità, anche in una città che troppo spesso si racconta solo con i protocolli e le delibere. E poi i carabinieri. Poi un'ambulanza. Anche la capogruppo del Pd Barbara Manucci.
Spitale non ha fatto proclami, non ha convocato conferenze stampa. Ha fatto ciò che dovrebbe fare un amministratore: ha agito. Ha chiamato, insistito, pressato. Ha voluto che quella donna non restasse “assistita a distanza”, come accade troppo spesso, quando la burocrazia diventa un modo elegante per dire “non è competenza mia”. Questa volta, invece, la risposta è arrivata.
La donna è stata accolta, seguita, affidata ai servizi sociali. Forse avrà finalmente un letto, un pasto caldo, un punto da cui ricominciare. Forse no. Ma almeno, stanotte, dormirà al coperto. E non è poco, in un Paese in cui anche la pietà, ormai, deve chiedere il permesso.
“Oggi la città si è mobilitata, tanti solleciti, diversi gesti nei confronti di chi aveva bisogno di essere vista, anche se non è stato facile”, ci racconta De Stefano, che questa storia l’ha vissuta fin dal primo momento. “Luca Spitale è stato il primo ad attivarsi. È stato un esempio di ciò che dovrebbe essere un amministratore pubblico. Con gesti concreti ha dimostrato empatia e capacità di intervento. Ciò che sorprende non è tanto il suo operato, quanto la mancanza di figure titolate pronte a intervenire in situazioni simili e di emergenza sociale. Ora la donna è assistita dai servizi sociali e confidiamo che riceva la minima assistenza. Ivrea ha bisogno di una rete di supporto attiva e presente sempre, anche in momenti di crisi.”
Parole semplici, ma pesanti. Perché raccontano due verità che si scontrano ogni giorno: la forza dell’umanità e la fragilità del sistema. La prima, quando c’è, funziona. La seconda, purtroppo, arriva sempre tardi.
Eppure, questa volta, qualcosa si è incrinato. Come se quella panchina avesse voluto gridare alla città: guardateci. Non guardate solo i palazzi, le vetrine, i festival, i protocolli, i tagli dei nastri. Guardate anche chi dorme su una coperta in mezzo alla piazza, chi raccoglie gli scarti del mercato, chi sopravvive tra la vergogna e il silenzio.
Ivrea, almeno per un giorno, si è mossa. E non per un evento, non per un comizio, non per una festa, ma per una persona dimenticata. È una cosa piccola, certo. Ma dentro quella piccola cosa c’è tutto il senso di una comunità.
La scena di stamattina, ai giardini, è rimasta negli occhi di molti. Una signora anziana ha lasciato un sacchetto, forse con dentro un panino. Un ragazzo ha offerto un tè caldo. Una donna, con la voce rotta, ha detto: “Non la conosco, ma potevo essere io.”. Eh sì, a volte, l’umanità può essere contagiosa.
In fondo, non è servito un piano strategico, né un bando europeo. È bastato un gesto. Un consigliere che ha guardato, un presidente che ha agito, dei cittadini che hanno risposto. Insieme hanno fatto ciò che la macchina pubblica spesso dimentica di fare: riconoscere una persona, restituirle dignità.
Ora quella panchina è di nuovo vuota, ma non è più anonima. È diventata simbolo di una città che, per un attimo, ha scelto di essere umana. E forse, un giorno, non servirà più un articolo di giornale per far scattare la solidarietà. Forse basterà l’abitudine di guardare.
Perché, come ha scritto De Stefano, “una città non si misura dai suoi palazzi né dai suoi festival, ma da come tratta chi non ha nulla.” E oggi, almeno per un giorno, Ivrea ha dato una risposta. Imperfetta, tardiva, ma sincera.
Certo, resta l’amarezza. Perché se serve un post su Facebook per muovere le coscienze, allora qualcosa, nel profondo, continua a non funzionare. Ma resta anche la speranza di un’umanità che, seppure a singhiozzi, riesce ancora a vincere sull’indifferenza.
E allora sì, succede. Succede che una storia di miseria diventi una storia di riscatto. Succede che una panchina diventi il punto di partenza per una riflessione collettiva. Succede che la politica, per una volta, smette di parlare e comincia a fare.
Succede, infine, che grazie a un post, a un gesto, a una città che ha deciso di fermarsi, oggi – almeno per oggi – nessuno dorme al freddo in piazza Freguglia.
E questo, comunque la si pensi, è già tanto.
Un grazie a Massimiliano De Stefano e a Luca Spitale, questa volta, ci va, con le lacrime agli occhi.
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