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Cronaca
04 Dicembre 2025 - 14:51
Il rimpatrio è avvenuto il 2 dicembre, con un volo partito da Milano Malpensa e diretto a Banjul, in Gambia, scortato da personale della Polizia di Stato. Si chiude così la vicenda giudiziaria e amministrativa legata al ventiseienne gambiano indagato per la brutale aggressione avvenuta nei primi giorni di novembre a bordo del treno della tratta Ponte San Pietro–Milano Porta Garibaldi, uno dei casi che più aveva colpito l’opinione pubblica per la ferocia del gesto e l’apparente gratuità della violenza.
La ricostruzione dei fatti non lascia zone d’ombra. Il giovane è stato identificato come l’uomo che colpì con calci, pugni e pesanti minacce una modella brasiliana mentre il convoglio attraversava il tratto fra Carnate-Usmate e Arcore. La vittima aveva raccontato agli investigatori di aver temuto per la propria vita, ripetendo la frase rivoltale dall’aggressore, «mi ha detto che mi avrebbe uccisa», riportata agli atti così come pronunciata. Soltanto l’uso dello spray al peperoncino era riuscito a interrompere l’assalto, permettendole di allontanarsi e chiedere aiuto. Le lesioni riportate erano state refertate al pronto soccorso.
La mattina successiva, dopo un’attività di ricerca rapida e coordinata, l’uomo era stato rintracciato dalle forze dell’ordine. Condotto in questura per le verifiche sulla sua posizione, era emerso che il ventiseienne si trovava in condizione irregolare, con un permesso di soggiorno scaduto e mai rinnovato. A ciò si aggiungeva un foglio di via obbligatorio di quattro anni emesso in precedenza dal Questore di Palermo, ancora in vigore.
Il 5 novembre il cittadino gambiano era stato trasferito al CPR di Torino su disposizione della questura di Monza e della Brianza. L’autorità giudiziaria aveva poi convalidato il trattenimento, consentendo all’Ufficio Immigrazione della Questura torinese di avviare immediatamente le procedure di identificazione formale e di coordinamento con le autorità consolari del Gambia. Un passaggio indispensabile per ottenere il nulla osta al rimpatrio e inserire il nominativo nei voli organizzati per i rientri assistiti.
La nota diffusa dalla Polizia di Stato sottolinea come il lavoro congiunto delle diverse articolazioni abbia consentito di interrompere l’irregolare permanenza dell’indagato e di arrivare al rimpatrio in tempi brevi. Una procedura che, dal punto di vista operativo, richiede un incastro meticoloso fra misure di sicurezza, disponibilità dei vettori, documentazione consolare e disposizione dell’autorità giudiziaria. Nella comunicazione ufficiale, la Questura spiega che il provvedimento “sottrae un soggetto pericoloso dal contesto sociale e contribuisce concretamente alla sicurezza collettiva”, riflettendo il punto di vista istituzionale sulle finalità del rimpatrio.
Sul fronte penale, l’indagine aperta dalla Procura per l’aggressione di inizio novembre proseguirà secondo le norme del codice, e l’eventuale processo potrà svolgersi con l’imputato all’estero. Resta il dato di partenza: una violenza improvvisa, su un treno affollato, contro una giovane donna che viaggiava da sola. E resta un interrogativo che, al di là delle procedure amministrative, continua a pesare sulla percezione della sicurezza: la vulnerabilità di chi si sposta su mezzi pubblici, soprattutto quando l’aggressione avviene in spazi chiusi, senza possibilità di chiedere subito aiuto.
È un caso che ha attraversato più territori — Lombardia, Piemonte, e infine la frontiera aerea internazionale — mostrando come spesso la risposta alle aggressioni sui trasporti richieda un lavoro coordinato fra questure, uffici immigrazione, CPR e magistratura. Questa volta, il percorso si conclude con un rimpatrio eseguito in via definitiva. La vicenda giudiziaria, invece, non è ancora finita.
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