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La grillina si "rolla" una sigaretta, il leghista di Ivrea se la ride e tutt'incontro decine di aziende "piangono"

In Consiglio regionale la capogruppo 5 Stelle si rolla una sigaretta “simbolica” per denunciare il disastro del settore canapa dopo il Decreto Sicurezza. Giglio Vigna la deride sui social. Ma a pagare non sono loro, sono migliaia di lavoratori dimenticati dalla politica.

La grillina si "rolla" una sigaretta, il leghista di Ivrea se la rie e tutt'incontro decine di aziende "piangono"

Alessandro Giglio Vigna

C’è chi accende una miccia e chi accende un dibattito. Sarah Disabato, consigliera regionale dei 5 Stelle, ha scelto il secondo — o almeno ci ha provato — rollandosi una sigaretta simbolica in aula per difendere il settore della canapa legale, finito nel tritacarne del nuovo Decreto Sicurezza voluto dal Governo di Giorgia Meloni.
Un gesto teatrale, certo. Ma in un’aula dove si dorme, almeno qualcuno ha fatto fumo.

Il primo a reagire fuori da lì, manco a dirlo, è stato Alessandro Giglio Vigna, deputato leghista e umorista a tempo perso.
“Consigliere Regionale dei 5S si rolla una canna in Aula... dice simbolicamente - ha scritto su Facebook - Poi simbolicamente avrà mangiato un kebab per la simbolica fame chimica?”

E poteva far finta di niente, lasciarlo lì a trastullarsi con i suoi fans, ma non ce l'ha fatta. Disabato, anziché ridere, gli ha risposto con un colpo basso ma lucidissimo: “Carissimo, spiegaci tu di quali sostanze avete abusato nel momento esatto in cui avete deciso di condannare centinaia di imprese oneste e migliaia di lavoratori di un settore legale…”

Tradotto: tu scherzi, ma là fuori c’è gente che non ride affatto.


Perché il problema vero è che la canapa industriale — quella legale, certificata e a bassissimo THC — è stata gettata nel calderone della criminalità.

Da mesi in tutta Italia, dal Piemonte alla Puglia, si moltiplicano sequestri e distruzioni di intere coltivazioni, spesso prima ancora delle analisi di laboratorio. È come arrestare un cuoco perché ha un sacco di farina in casa, nel dubbio che possa farci della coca.
Tutto questo è possibile per via di un comma del nuovo Decreto Sicurezza, che consente alle forze dell’ordine di intervenire anche solo in base a un sospetto, senza dover prima verificare il contenuto effettivo di THC.

Il risultato? Campi distrutti, raccolti buttati via, reputazioni rovinate e imprese sull’orlo del fallimento.


Eppure, la canapa industriale non è un capriccio da hippy. È una filiera che in Italia conta oltre 1.500 aziende agricole, più di un migliaio di addetti diretti e centinaia di imprese artigiane collegate: tessuti ecologici, cosmetici naturali, materiali da bioedilizia, farine e persino birre.
In Piemonte è nata una piccola rivoluzione verde: capannoni abbandonati trasformati in laboratori, giovani tornati a lavorare la terra, progetti con università e cooperative per sviluppare un’economia sostenibile. Tutto questo oggi rischia di essere spazzato via da un decreto scritto — diciamolo — più con il pregiudizio che con la logica.


Mentre gli agricoltori vengono trattati come criminali, la politica si divide tra chi rolla e chi sfotte. Da una parte chi prova a portare il tema in aula (con un gesto forse sopra le righe, ma pur sempre politico), dall’altra chi liquida tutto con una battuta da social.
Il problema, però, è che questa volta la “fame chimica” non è una battuta: è fame vera.

Centinaia di famiglie si trovano senza lavoro perché il loro prodotto — legale per legge — viene sequestrato in base a un’interpretazione arbitraria. E mentre si spengono i sogni di un’agricoltura pulita e innovativa, la destra moralista continua a promuovere birre, vini e grappe come orgoglio nazionale. Curioso, no? La canapa no, ma l’alcol sì.


Forse la Disabato, arrotolando quella cartina, non voleva solo provocare. Forse voleva far vedere, concretamente, che lo Stato oggi strappa e brucia ciò che fino a ieri incoraggiava.
Certo, rollarsi una sigaretta in aula può sembrare un gesto eccessivo. Ma in un Paese in cui si confonde la canapa con la marijuana e la coerenza con la comicità, serviva qualcosa che facesse un po’ di fumo per mostrare dov’è il fuoco.


Insomma, tra un kebab simbolico e un decreto reale, tra chi rolla e chi deride, resta una certezza: a perdere sono sempre gli stessi. Quelli che lavorano la terra, che rispettano la legge, che credevano nella transizione ecologica e oggi si ritrovano trattati come spacciatori.
Il Deputato leghista può anche ridere, ma i campi non ridono più.

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